L'esilio di Giuseppe Maria Capece Zurlo

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Il 1799 fu, come è noto, un anno di grande travaglio politico e sociale per il Regno di Napoli. Il regime repubblicano e poi la restaurazione monarchica causarono nelle opposte fazioni, a fasi alterne, incontrollato entusiasmo e profondo scoramento.

Nel furore della reazione, numerose furono le condanne a morte o all’esilio per quelli che avevano sposato, in maniera più o meno aperta e convinta, la causa della Repubblica Napoletana. Tra coloro per i quali la Corona borbonica decretò la damnatio memoriae spicca il cardinale Giuseppe Maria Capece Zurlo, arcivescovo di Napoli. Ferocemente apostrofato dai suoi detrattori oppure esaltato come martire dai suoi sostenitori, Capece Zurlo ha attirato l’attenzione dei suoi contemporanei e, fin dalla seconda metà del XIX secolo, l’interesse degli studiosi.

Sebbene la più recente ricostruzione biografica metta in luce interessanti questioni legate all’esperienza pastorale di Capece Zurlo prima a Calvi (1756-1782) e poi a Napoli (1782-1801), resta, tuttavia, avvolto nell’ombra l’ultimo periodo della sua lunga giornata terrena, trascorso in esilio nel palazzo abbaziale di Loreto di Montevergine.

 

Nonostante che fosse nota, almeno dal 1861, la sua cosiddetta “lettera apologetica” – un documentato memoriale inviato a Ferdinando IV con l’intento di rigettare le accuse sul suo presunto coinvolgimento nelle vicende repubblicane – i ricercatori non hanno sentito il bisogno di andare oltre quanto da altri scritto in precedenza. Si è dato, ad esempio, quasi per scontato che il memoriale fosse un unicum, senza domandarsi se la sua comprensione potesse essere completata con il ritrovamento di ulteriore documentazione.

A tale scopo è stato necessario condurre nuove indagini, che hanno consentito di ricostruire in maniera dettagliata quanto avvenuto durante l’esilio dell’arcivescovo di Napoli e di completare le informazioni già note agli studiosi.

 

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