Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Gli italiani e le leggi razziali

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La persecuzione degli ebrei in Italia fu avviata nel settembre del 1938 quando, dopo una virulenta campagna di propaganda sui giornali, il regime fascista introdusse l’antisemitismo nell’ordinamento giuridico attraverso le leggi razziali, che privarono gli ebrei dei diritti civili e dell’uguaglianza con gli altri cittadini in tutti i campi della vita sociale, economica e professionale, creando quello che Primo Levi ha definito un «regime di segregazione».

Da parte degli italiani, a livello popolare, non vi fu alcuna opposizione di un certo rilievo o degna di nota.

La Casa Reale ed il Vaticano, le uniche e uniche istituzioni  alternative al fascismo sopravvissute – abbandonarono gli ebrei al loro destino. Vittorio Emanuele III firmò tutte le leggi e quando, il 10 settembre 1938, fu informato da Buffarini Guidi su come Mussolini intendeva impostare la politica antisemita, non protestò, limitandosi a rivendicare rispetto per chi poteva vantare meriti patriottici e a manifestare in privato a Mussolini, come riferisce Galeazzo Ciano, «infinita pietà» (Diario 1937-1943, Rizzoli, Milano, 1980).

Pio XI e Pio XII espressero in più occasioni dubbi sulle leggi persecutorie e da parte di alti esponenti delle gerarchie ecclesiastiche non mancarono voci di protesta (il cardinale di Milano Schuster nell’omelia del 13 novembre 1938 definì il razzismo un’eresia), ma la portata della condanna fu del tutto limitata. La diplomazia ecclesiastica, anche per timore di ripercussioni sui diritti acquisiti col Concordato,si limitò a pretendere la tutela dei matrimoni misti e che venissero evitate misure troppo eclatanti (segni distintivi, confisca dei beni) che avrebbero messo in imbarazzo il Papa.

 

 

 

 

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