Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Santa Felicita e la dea Mefite

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Gennaro Luongo

 

Premessa

Nel febbraio del 1995 si tenne a Squillace un interessante seminario sul culto dei santi, una delle numerose tappe dell’ormai lungo percorso di studi che impegna tanti studiosi, legati nella rete di amicizia tenacemente quanto calorosamente tessuta da Sofia Boesch Gajano.

In quel convegno, del quale ella tracciò, come suo costume, il bilancio e le prospettive, Marc Van Uytfanghe tenne una relazione ampia ed esauriente sulla nascita e sviluppo del culto dei santi, un tema storiografico problematico, rilevandone la complessità e invitando a rifiutare «les panacées et les explications monocausales, car cette histoire est complexe, en synchronie comme en diachronie»: «La question n’est pas de savoir si le cultedes saints, bel exemple de la conversion mutuelle du christianisme et de la culture antique (dans une ambiance d’otherwordliness), est un fact religieux (chrétien), anthropologique, psychologique ou sociologique, car il est tout cela à la fois; son essor résulte de l’imbrication de plusieurs facteurs et influences».

Con la metafora delle tegole di un tetto, egli concludeva che lo sviluppo del culto dei santi risulta dalla stretta concatenazione di fatti, concetti e sentimenti religiosi.

All’inizio di quel saggio, Van Uytfanghe respingeva la vecchia interpretazione radicale e semplicistica della Religionsgeschichtliche Schule che pretendeva di spiegare il culto dei santi come travestimento del politeismo antico – Les saints successeurs des dieux, secondo la formula fortunata di P. Saintyves4 –; ma rilevava i limiti della vecchia risposta cattolica,  non priva di forti preoccupazioni apologetiche, la quale rimarcava la netta rottura e la pressoché totale originalità del fenomeno cristiano. Sulla scia degli studi recenti sviluppatisi in un clima meno ideologizzato, lo studioso belga indicava la necessità delle debite nuances, richiamando quella continuità di “funzioni” attribuite a dèi ed eroi come più tardi ai santi, e insistendo soprattutto su quelle «strutture di accoglienza» proprie della religiosità naturale dell’uomo tardantico.

Soprattutto Van Uytfanghe sottolineava la necessità di distinguere la nascita e il primo sviluppo del culto dei santi dalla sua esplosione successiva nei secoli V-VI.

 

 

 

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