Il calendario marmoreo napoletano. Un approccio linguistico
Gennaro Luongo Il calendario è il documento principale del culto cristiano e, per quello che interessa qui, del culto dei santi. I primi documenti martiri ali nacquero proprio dall’esigenza di fissare nella memoria delle comunità i nomi e i giorni della morte dei testimoni della fede: dal Martirio di Policarpo alle lettere di Cipriano, fino alle puntigliose coordinate agiografiche degli atti e passioni emerge la preoccupazione di adnotare il dies natalis dei martiri, per farne annualmente la commemorazione. Se il termine Kalendae, da cui deriva il nostro calendario, ha rapporto etimologico con il verbo calo, -as (‘chiamare, proclamare, convocare’), il calendario inciso su materiale duro e imperituro è l’espressione più plastica che si possa immaginare per la proclamazione e l’appello. Ebbene, sono proprio la monumentalità e la completezza i caratteri più evidenti del Calendario Marmoreo Napoletano (CMN), un unicum tra le testimonianze epigrafiche e un documento di grande rilevanza nella tradizione dei calendari e martirologi medievali. Al di là delle diverse e talora contrapposte interpretazioni concernenti la datazione, icontesto religioso, le finalità perseguite dall’ideatore, il documento èuna testimonianza assai significativa sul piano culturale, storico e anchelinguistico della Napoli altomedievale. Ciò che, infatti, colpisce al primo sguardo di questo calendario inciso nel marmo, dopo che se ne sia conosciuto il contenuto, è la forte rilevanza del culto dei santi, i cui nomi sono presenti a centinaia ad occupare pressoché tutti i 365 giorni dell’anno: un’impressione che trova conferma nell’ampia epigrafe che corre lungo la cornice superiore della prima lastra marmorea: si tratta dei versetti 17-18 del Salmo 138 nella versione della Vulgata: <Mihi autem nimis honorati sunt amici tui Deus; nimis confortatus est principatus eorum. Dinumerabo eos et superarenam multiplicabuntur. Nell’intendimento dell’ignoto ideatore altomedievale lo spettatore doveva rimanere stupefatto e insieme stimolato dalla straordinaria teoria di nomi dei santi: alcuni gli erano familiari, come abituali compagni nel viaggio della vita, perché della propria città o regione, o perché universalmente noti; altri, meno conosciuti, ma pur essi inclusi nel libro degli intercessori e ausiliatori. Il lettore avrebbe conosciuto anche i nomi di taluni santi stranieri venerati con culto particolare nella città, la quale, già forte per tradizione secolare del duplice elemento greco e latino, registrava forti presenze di orientali (armeni, siriaci) e africani; avrebbe trovato anche molti altri nomi probabilmente del tutto ignoti, scovati dal redattore e destinati forse semplicemente a riempire gli spazi dei vari giorni. Insisterei su questo punto, perché investe il problema del valore del CMN, un tempo eccessivamente sopravvalutato come documento ufficiale della Chiesa napoletana e quindi testimone di primo ordine della sua liturgia: in linea generale e tanto più nel nostro caso, nella scia della critica più avveduta e in considerazione delle caratteristiche proprie del monumento, si deve pensare che la sola presenza del nome di un santo, se non puntellata da altro dato esterno, non significa di per sé necessariamente una reale diffusione del suo culto, ma potrebbe essere solo… un riempitivo. Diversa interpretazione richiederebbe ovviamente la presenza di santi stranieri in un calendario di piccole dimensioni e a carattere regionale: è il caso dei santi oltremarini segnati nella Depositio martyrum romana o anche nel Calendario Cartaginese.
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