Ludovico Omodei, un religioso francescano del XVII sec. esperto di enigmistica

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La fiorente comunità francescana di Manduria ha annoverato, fra i suoi più importanti esponenti, il concittadino padre Ludovico Omodei (al secolo Giovanni Lorenzo Omodei) frate chierico, vissuto nel XVII secolo, che vestì l’abito dei Minori Osservanti, all’epoca insediati nel locale convento di S. Francesco d’Assisi.  A lui è intitolata una via del centro storico, in passato denominata Via Spirito Santo.

Com’è noto, il dotto frate mandurino diede un importante contributo al completamento della fabbrica del citato convento e dell’annessa chiesa, ricoprì all’interno dell’ordine minoritico e, più precisamente, della provincia monastica di S. Nicolò (di cui Manduria, all’epoca denominata Casalnuovo, faceva parte) importanti cariche tra cui quelle di Predicatore generale (Concionatore), di Lettore in Teologia e di Definitore e fu autore di varie opere letterarie tra le quali quella dal titolo “Hecatombe anagrammatica Immaculatae conceptioni beatissimae Virginis, & Matris Dei Mariae ex distico illo in missa eiusdem”, scritta interamente in latino e stampata in Lecce nella celeberrima tipografia di Pietro Micheli nell’anno 1682.

Proprio su quest’ultima singolarissima opera intendiamo soffermare la nostra attenzione, sottolineandone, soprattutto, tre aspetti.

Il primo riguarda il collegamento con la devozione mandurina per l’Immacolata Concezione e con la pratica del digiuno a pane acqua, introdotta e diffusa dalla confraternita costituita sotto lo stesso titolo.

 

Il testo, infatti, offre significative conferme sull’origine locale della pratica devozionale e sull’importante ruolo che ebbe, nella sua diffusione, il Cardinale Giuseppe Renato Imperiali, appartenente alla casata principesca feudataria di Manduria.

Nell’apertura del volume infatti, sotto lo stemma del cardinale, figura una “dicatio” dell’autore al citato protettore della confraternita mandurina (cfr. immagini a lato), del quale si loda ed esalta la devozione verso la Vergine Immacolata e si riconosce l’impegno profuso per la diffusione e la crescita della pratica del digiuno.

Il passo della dedica introduttiva, che presenta tali contenuti, è il seguente: “Magnae namque, ac laudabilis devotionis affectus erga Immaculatam Deiparam in tui animo, velut in quidam praegrandi Navi abundat; quia tibi non deest pia devotio in ieiunio in pane et aqua perpetuo in honorem Imaculatae Virgini Mandurij, alias Casalinovi retro ab hinc annis istituto, de qua pia devozione talis ignis in tuo animo exardescit  ut ne dum inviolabiliter fervas, verum et ut familiares, subditi omnes, ac etiam exteri fervent, curare non cessas”.

Va altresì evidenziato che a sottolineare ulteriormente i meriti dell’illustre porporato l’autore giunge, perfino, ad anagrammarne il nome (con il metodo del cd. anagramma letterale puro, di cui diremo più avanti), trasformando “Ioseph Renatus Imperialis” in “Piae Nitoris Mariae Phaselus “ (da tradurre: Vascello di splendore della Pia Maria ).

A parte ciò, la notizia relativa al digiuno è riportata anche nella nota che segue la “dicatio” al Cardinale Imperiali. Lo scritto, a firma di tale Frà Franciscus Maria Boniarensis, incaricato dai superiori della revisione e della censura del testo dell’Omodei, a proposito del digiuno in onore dell’Immacolata, recita testualmente “novus cultus Mandurij mirabiliter ortus” (un nuovo culto sorto mirabilmente a Manduria), e così conferma e riconosce l’origine mandurina del digiuno perpetuo  (Per una migliore comprensione si riporta l’intero passo: “Mandurinis autem saeculi huius Nova lux est, Maria sine labe originali Concepta, utrisque inter tempestates, ac fulmina fulgens : novus cultus Mandurij mirabiliter ortus, Ieiunium scilicet perpetuum Conceptae Virgini sacrum, taquam vigilia proximam praevenit festivitatem, Orbis Votis, Urbis Suffragijs, omnium calculis, Celestium, Terrestrium et Infernorum expetitione, expectatione, confessione conclamatam….. ).

Resta da segnalare infine, sempre sull’argomento,  che nel frontespizio del testo, è presente una bellissima vignetta xilografata dell’Immacolata Concezione (cfr. immagine a fianco), molto vicina, nel genere, a quelle riportate sulle pagelline consegnate agli iscritti al digiuno (o Carte di Casalnuovo).

 

Il secondo aspetto da considerare  riguarda l’uso del nome Manduria che, già nel secolo XVII, si andava affermando per prevalere su quello di Casalnuovo, segno evidente del fatto che la comunità cittadina non aveva mai perduto la memoria del suo importante passato e cercava, anzi, di recuperarlo e rivendicarlo.

L’autore, infatti, nel frontespizio dell’opera si qualifica esattamente come “R.P.F. Ludovico Omodei à Mandurio, alias à Casalinovo”, addirittura anteponendo il primo, più antico nome della città al secondo.

 

Il terzo aspetto, infine, indubbiamente più insolito ed interessante, riguarda il contenuto dell’opera che, come preannunciato dal titolo (l’ecatombe, infatti era nell’antica Grecia il sacrificio di cento buoi agli dei), ha ad oggetto l’offerta sacrificale simbolica di cento anagrammi alla Vergine Immacolata (“Hecatombe anagrammata Immaculatae Conceptioni Beatissimae Virginis et Matris Dei Mariae immolata ex centum anagrammata”).

Nell’introduzione a pagina 1, il padre Omodei fornisce la spiegazione della tecnica “enigmistica” impiegata: trattasi di anagrammi, letterali e numerici (i secondi molto in voga a quell’epoca), dei quali viene fatta applicazione per collegare tra loro parole e versi contenenti devote invocazioni alla Vergine Immacolata.

Come premessa, va detto che, in generale, è definito anagramma il gioco enigmistico, di origini molto antiche, mediante il quale le lettere componenti una parola o una frase vengono tra loro permutate in modo da ottenere altre parole o frasi di significato diverso (*).

E’ questo l’anagramma letterale che può essere: semplice (quando da due o più parole si ricavano altre composte dalle medesime lettere diversamente combinate, ad esempio: nave - vena), a frase (quando da una parola, anagrammando, si ricavano una frase o più, ad esempio: bibliotecario – beato coi libri). Vi è poi la frase anagrammata che si ha quando dalle lettere di una frase si ricavano una o più frasi diverse.

Tutti questi sono definiti anagrammi letterali puri, vi sono poi le altre forme più complesse sulle quali, per brevità, non ci soffermeremo.

Accanto agli anagrammi letterali erano in auge, al tempo dell’autore, anche gli anagrammi numerici, veri e propri rompicapo che oggi costituiscono un genere ormai desueto.

La tecnica dell’anagramma numerico (ampiamente spiegata dal padre Omodei nella sua introduzione all’opera) era la seguente: si assegnava convenzionalmente un valore numerico prestabilito ad ogni lettera dell'alfabeto e si formava l’anagramma di una parola o di una frase trovando un'altra parola o un’altra frase i cui valori numerici assegnati alle singole lettere alfabetiche, sommati tra loro, dessero lo stesso risultato.

Per la precisione, nel caso più semplice, a ciascuna delle lettere dell’alfabeto latino veniva assegnato un valore numerico a partire dalla lettera A che valeva 1, B che valeva 2, C che valeva 3 ed aumentando di una unità per volta fino a giungere alla Z che valeva 22. Questo tipo più semplice di anagramma che, in ogni caso è numerico, viene definito dall’autore “anagramma aritmeticum purum” con lettere numerate nel primo modo.

Nel caso più complesso (“anagramma aritmeticum purum” con lettere numerate nel secondo modo) si assegnava alle prime nove lettere dell’alfabeto (da A a I) la numerazione da 1 a 9, alle nove successive (da K a S) la numerazione in decine da 10 a 90,  seguiva l’assegnazione del numero 100 alla T, del numero 200 alla U e V (che una volta erano un'unica lettera), del numero 300 alla X e del numero 400 alla Z. La successione era quindi la seguente: A 1, B 2, C 3, D 4, E 5, F 6, G 7, H 8, I 9, K 10, L 20, M 30, N 40, O 50, P 60, Q 70, R 80, S 90, T 100, U e V (una sola lettera) 200, X 300, Z 400).

Come già anticipato, quindi, si anagrammava numericamente una parola (o una frase)  trovando un’altra parola o frase i cui valori numerici assegnati alle lettere, addizionati tra loro, dessero la stessa somma.

Ovviamente le parole o le frasi risultanti dall’anagramma avevano significato diverso rispetto alla parola o alla frase da cui si era partiti, e, molto spesso, anche un numero diverso di lettere. L’esempio classico, ma anche, più semplice è la parola  paese che è l'anagramma numerico di Roma (somma comune 161).

Con questa tecnica enigmistica, il padre Omodei procede, nella sua opera, alla trascrizione di ben cento frasi diverse contenti invocazioni o lodi alla Vergine, le quali sono accomunate tra loro, oltre che dalla dedicazione, anche dal fatto di essere ciascuna l’anagramma letterale o numerico dell’altra.

Nello specifico, l’autore parte da una frase contenente un elogio all’Immacolata tratto dal messale: “Virgo Dei Genitrix, quem totus non capit orbis, in tua se clausit viscera, factus homo”.

Da questa frase compone una prima terna di anagrammi (invocazioni riportate, rispettivamente, alle pagine 3, 4 e 5 – cfr. immagini a fianco) il primo come anagramma letterale puro, il secondo ed il terzo come anagrammi numerici o aritmetici puri ottenuti, rispettivamente, con il primo metodo e con il secondo.

Per queste frasi anagrammate il valore numerico o somma assegnata è, rispettivamente, 69 per la prima (ricavata appunto con la tecnica dell’anagramma letterale), 829 per la seconda e 4087 per la terza (ricavate con la tecnica dell’anagramma numerico).

L’autore prosegue poi di tre alla volta e così trascrive e riporta lodi o invocazioni il cui valore numerico è sempre con la sequenza 69, 819 e 4087. Per esempio, hanno anagramma numerico 69 la prima invocazione, la quarta, la settima, la decima e così via a proseguire.  Hanno anagramma numerico 829 la seconda, la quinta, la ottava, la undicesima ecc. Hanno anagramma numerico 4087 la terza, la sesta, la nona, la dodicesima ecc.

In tal modo, dei cento anagrammi composti, il padre Omodei ci informa che trentaquattro sono letterali (“triginta quatuor sunt litteralia”), trentatré sono numerici  del primo tipo (“triginta tria sunt arithmeticalia, numerando litteras alphabeticas a prima littera A, usque ad Z , simplicibus numeris, scilicet A 1, B 2, C 3, D 4, et sic usque ad ultimam, addendo semper unum numerum cuilibet litteram”), e trentatré infine sono numerici del secondo tipo (“triginta tria sunt etiam arithmeticalia, sed numerando litteras a prima littera, A, usque a littera I, numeris simplicibus; a lettera vero, K, usque ad litteram, S, decenarijs numeris, ut K, 10, L, 20, M, 30, &c. et a littera, T, usque ad Z, centenarijs numeris, ut T, 100, V, 200, &c.”).

Il procedimento viene seguito fino ad arrivare al numero di cento anagrammi (che costituiscono il contenuto dell’opera), il tutto secondo un sistema matematicamente armonico che porta ad ottenere nuovamente, in chiusura, l’elogio di partenza.

Così, l’autore spiega il procedimento tecnico seguito: “Anagrammata vero sunt hoc modo disposta: primum est litterale, constans ex litteris 69 (…) Secundum est arithmeticum constans ex numeris 829, correspondens litteris primo modo numeratis; Et tertium est etiam aritmeticum, constans ex numeris 4087, correspondens litteris secundo modo numeratis; et sic deiceps usque ad ultimum, quod utique est litterale. Ac proinde dictis litteris et numeris anagrammata connexa faciunt ELOGIUM : Virgo Dei Genitrix, quem totus non capit orbis, in tua se clausit viscera, factus homo”.

Si torna quindi all’elogio da cui si è partiti.

Segnalata, in tal modo, la singolarità dei contenuti che il testo presenta, ci scusiamo per le ostiche trascrizioni di brani in latino (che, tuttavia, riteniamo indispensabili per la comprensione dell’opera) lasciando al volenteroso lettore il piacere di cimentarsi con le non comuni competenze teologiche e (per quel che più interessa il presente contributo) enigmistiche del dotto frate mandurino.

In chiusura si impone un’ultima considerazione: il testo si colloca a metà strada fra antico e moderno, così come attestano, da un lato, l’impostazione letteraria classica, evidenziata anche dall’uso della lingua latina al posto del volgare italiano, dall’altro la passione per un genere enigmistico (l’anagramma in genere e, soprattutto, quello numerico) che presenta molti collegamenti con il calcolo combinatorio posto a base della scienza informatica. 

 

 

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