Padre Giovanni da Pescopagano e la sua “Enciclica”

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Uno dei casi da cui si evince maggiormente la divisione del clero meridionale dopo la proclamazione del Regno d’Italia fu l'elezione a Padre Provinciale dei Cappuccini di Giovanni da Pescopagano nella provincia monastica di Basilicata e Salerno.

Essendo costui un ardente liberale, la sua elezione, avvenuta il 29 agosto 1861, fu avversata dal clero legittimista e provocò il rifiuto di riconoscerne la validità da parte del Padre generale dell’Ordine dei Cappuccini.

Oltre ad esprimere con molta ostentazione e passione il suo essere un frate liberale al punto da “portare sempre una coccarda tricolore intorno alla vita”, il nuovo Padre Provinciale propagandava tanto la sua immagine.

Quando seppe che la sua elezione era osteggiata, in aperta polemica col clero, scrisse un opuscolo, con il titolo pomposo di “Enciclica, in cui esprimeva apertamente le sue idee.

In effetti i contenuti dello scritto rivelavano le motivazioni della sua adesione al nuovo corso liberale dell’epoca e, sostenuto anche dalle autorità civili, si compiaceva dell’appellativo di “frate esaltato” con cui era stato etichettato.

Dopo aver riflettuto sulla quella che considerava la schiavitù dell’antico regime, Padre Giovanni riteneva la sua una “missione di religione e di civiltà”, invitando tutti i confratelli e il clero a sostenere la nuova “causa della Religione del Cristo e della Patria”.

 

“La libertà e la fraternità – affermava  il Padre Provinciale - corrispondono all’ umiltà, giustizia ed amore, le quali ci condussero per fini altissimi alla meta; e per la vostra docilità, o Fratelli devoti alla nobile e santa causa nazionale, raggiungemmo la gloriosa impresa, riconoscendo noi nella volontà dei nostri elettori quella di Dio, il quale alle opere più ardue innalza talvolta uomini sepolti nella sventura”

Padre Giovanni difendeva la sua elezione, sostenendo che avrebbe seguito la “sublime virtù” della carità come la base del suo incarico, “per portare in mezzo a voi la luce del progresso civile e della nazionalità italiana, armonizzata col sacro carattere che ci riveste, pel quale siete in mezzo agli uomini con una missione in cui…[…] non a dominare, ma a servire: non ad odiare, ma ad amare; ed in tal sentiero di limpidi affetti, siam certi che brucerà vigoroso il limiamo, a fine di prestar culto al merito ricinto di fresco alloro, e rendere onore alla carità assisa piena di gloria sull’ara della patria, la quale risuonando come parola sacra dell’Evangelio, dice ai popoli della terra: la mia voce è la legge della vostra libertà”

Dopo aver ribadito di essere stato eletto con “ tutte le forme della regola canonica”, Padre Giovanni raccomandava ai “frati retrivi” di accettare “una politica illuminata”, condannando il sostegno che fornivano al brigantaggio” contro la redenzione italiana, contri i diritti di civiltà e di progresso, di patria e di libertà”.Tuttavia, come scrive un suo biografo, Alfonso Conte, vi era “un contesto caratterizzato da estremismi da una parte e dall’altra” e pertanto Padre Giovanni assunse gradualmente “atteggiamenti sempre più radicali, accentuando il distacco dalle gerarchie schierate su posizioni filo-borboniche”.

In effetti, era successo che nel 1862, in tale contesto di estremismo da ambedue le parti, Padre Giovanni aveva appreso che “ad Avigliano, l’arrivo di Crocco aveva visto sacerdoti festanti e altri che si contrapposero pagando un duro prezzo”.

Tra gli episodi di omicidi da parte dei briganti, un caso eclatante ed esemplificativo del clima di violenza fu l’assassinio di padre Giuseppe da Campora, autore di un opuscolo contro il potere temporale del papa, e simpatizzante  del Padre Provinciale della Basilicata e di Salerno. Padre Campora fu assassinato nella piazza principale del paese, il 3 giugno 1863, dopo che gli fu intimato di gridare “Viva Francesco II”, il padre cappuccino Campora aveva risposto con un “ Viva l’Italia”.

Nel febbraio 1863 Padre Giovanni ebbe anche l’incarico di provvedere alla cura religiosa e morale nelle carceri cittadine  e a darne notizie fu il giornale cattolico filoliberale “L’Avvenire” con parole di elogio per il Padre Provinciale, ma le cose stavano per cambiare.

Dopo la vicenda di Aspromonte, il governo aveva iniziato la via diplomatica con le gerarchie vaticane per la “questione romana”. Gradualmente Padre Giovanni fu isolato, e si poté, pertanto, procedere alla sua rimozione da Padre Provinciale dei Cappuccini della Basilicata e di Salerno con un provvedimento di espulsione da parte del Padre generale dei Cappuccini.

La reazione fu durissima e Padre Giovanni accusò apertamente le gerarchie ecclesiastiche romane di sostenere le attività dei briganti “Cipriano la Gala, D’Avvanzo, Chiavone, Tardia, Crocco e di simile merce”, i quali avevano provocato “timori e palpati al viandante, guerra fratricida ai paesi, distruzione nelle campagne, mendicità ai ricchi, morte ai poveri, violenti stupri alle donzelle, vandaliche stragi alla vita umana, lutto, pianto e desolazione alle madri, alle spose, ai figli”.

La sua parabola era ormai tristemente discendente, come quella dei democratici e radicali civili. Ciononostante partecipò, a Firenze nel 1865, al sesto centenario della nascita di Dante Alighieri in rappresentanza del “sodalizio napoletano” con una tale baldanza che  Luigi Settembrini scrisse di lui  sul ‘Giornale d’Italia’:  “Padre Giovanni da Pescopagano ebbe la più grande parte di trionfo”.

 

Bibliografia:

Enciclica del Molto Revendo P. Giovanni da Pescopagano- Napoli 1861
Alfonso Conte- “Con il drappo tricolore cinto al saio”: i francescani salernitani nel processo di unificazione in AAVV- Unificazione e mezzogiorno- Meridiana 78- Viella- 2013

 

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