Procida 1799. Cap. V “Un posto nella storia”

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Creato Lunedì, 25 Gennaio 2016 17:48
Ultima modifica il Lunedì, 25 Gennaio 2016 18:33
Pubblicato Lunedì, 25 Gennaio 2016 17:48
Scritto da Antonella Orefice
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Quei due giorni trascorsero in fretta tra ansie e problemi di ordine pubblico; l’arresto del marinaio aveva aggravato il malcontento tra il popolo che più si sentiva minacciato, più osteggiava il nuovo Governo. In occasione dell’assemblea i saloni del castello furono illuminati a giorno come per la proclamazione della Repubblica, ma l’entusiasmo di allora si stava lentamente affievolendo. I rappresentanti che intervennero erano poco più di una trentina compreso i procidani; la preoccupazione stava prendendo il sopravvento ed andava affrontata. Il Ministro della guerra, Gabriele Manthonè, fu accolto calorosamente dagli altri funzionari del Governo e prese subito la parola.

- Cittadini  Rappresentanti! Ci è giunta voce che anche su quest’isola i realisti stanno tramando contro il nostro Governo ed è questo il motivo per il quale abbiamo indetto quest’assemblea straordinaria. Converrete con me che bisogna garantire un Corpo di Guardia più numeroso, e per ottenerlo bisogna essere persuasivi e cercare nel popolo la maggior difesa.

 

A Napoli le nostre guardie pattugliano strade e contrade vicine, ma la situazione continua ad essere difficile. Purtroppo siamo stati costretti a condannare alla fucilazione diversi realisti che cospiravano per un ritorno del Borbone. L’esercito francese ci ha appoggiati ed ha seguito le nostre spedizioni dall’Abbruzzo alla Calabria. Noi contiamo molto sul loro aiuto, pur se abbiamo appreso con rammarico che tra non molto torneranno a nord dell’Italia.

Le gabelle imposte sono state un’esigenza impopolare, ma inevitabile perché abbiamo da affrontare delle spese ingenti. Il despota ha portato via tutte le ricchezze da Napoli e noi per coniare delle nuove monete saremo costretti ad usare i metalli ricavati dalla fusione di vecchie campane e ad imporre ulteriori tasse. Sono scelte perentorie, non abbiamo alternative. Non dobbiamo abbassare la guardia, né dobbiamo lasciarci sopraffare da questa iniziale penuria. Lentamente le cose si assesteranno, non dobbiamo solo sperarlo, ma adoperarci affinché le nostre leggi siano rispettate e le cospirazioni nemiche soffocate sul nascere. Dobbiamo stare con la mano alla spada, perché un ritorno di Ferdinando significherebbe morte per tutti. E noi la libertà conquistata la difenderemo sempre e comunque andranno le cose. Viva la Repubblica Napoletana. Viva la libertà!

Uno scroscio di applausi e la parola passò alla direttrice del Monitore Napoletano.

- Repubblicani, voi tutti abitatori di qualsiasi parte degli Stati Napoletani, di cui il cuore batte per la libertà, fatene conoscere al popolo gli inapprezzabili vantaggi. Riunitevi gli uni con gli altri. Non temete  il ferro del tiranno. Andate, parlate, formate delle assemblee generali di cittadini amici della libertà. Leggete i proclami del Generale in Capo dell’armata Francese e quelli del Governo provvisorio della Repubblica Napoletana. Alberi della libertà ne saranno piantati ancora tanti e sarà posta la coccarda rossa gialla e blu sulle divise di tutti  i figli della Repubblica. Non saranno le avversità a farci arrendere. Non ci arrenderemo mai perché solo i folli possono preferire quel misero despota alla nostra  Repubblica. Restiamo uniti e dimostriamo fermezza di spirito, sempre! Viva La Repubblica! Viva la libertà.

Ancora lunghi applausi. Poi fu la volta del presidente della Giunta esecutiva Giuseppe Logoteta.

- Io vi prego, Cittadini, di ascoltare con la vostra solita compiacenza la voce di un uomo che da venti anni è stato un Repubblicano deciso, pronto sempre a morire per la causa pubblica. Voi avete già l’anima accesa dal sacro fuoco della libertà, ed il vostro cuore è ricolmo di quelle virtù che caratterizzano i veri Repubblicani; ma permettete che io vi esponga il vero stato delle cose attuali, per dissipare dalle vostre menti gli allarmi che alcuni, inconsideratamente vanno spargendo, ed altri per pescare nel torbido aumentano all’infinito. Io vi invito ad ammettere questa premessa, cioè che lusingarvi o darvi un salutare consiglio come nelle attuali circostanze sono due cose impossibili.

Essendo scoppiate delle insorgenze nella Repubblica Cisalpina l’armata Francese ci lascerà e sarà proprio allora che noi dobbiamo dimostrare la nostra fermezza, facendo vedere al mondo, che ha gli occhi fissi su di noi, che sappiamo difendere con energia la libertà che abbiamo conquistato e che ne abbiamo un vivo sentimento. Noi dobbiamo marciare con passo fermo, ed impavidi affronteremo la morte se le circostanze l’esigeranno, ma sapremo morire da forti. Si, come ha detto la nostra cittadina Eleonora de Fonseca facciamo inni patriottici, piantiamo nuovi alberi della libertà, ravviviamo lo spirito pubblico. Per la nostra fermezza i nostri nemici interni ed esterni saranno costretti a tremare al solo nome della nazione napoletana. Noi giuriamo di nuovo: vivere liberi o morire!! Viva La Repubblica! Viva la libertà!

 

L’inno della Repubblica del maestro Cimarosa fu il momento più solenne; lacrime di emozione, mani che si stringevano infondendosi coraggio e speranza. Erano tutti pronti a combattere, a difendere la Patria e soprattutto a morire con fermezza e dignità.

L’assemblea si concluse fra calorosi abbracci ed un arrivederci a presto, ma forse un po’ tutti nei meandri del cuore sentivano che quello era l’ultimo addio.

 

 

Erano circa le undici di sera quando i rappresentanti del Governo lasciavano l’isola a bordo di un vascello e Bernardo Alberini, con un vuoto immenso nel cuore, tornava al castello dopo aver salutato al porto gli amici; ne aveva percepito chiaro l’addio e già si sentiva un condannato a morte in attesa dell’esecuzione. Provò un’irrefrenabile voglia di piangere, di tirare calci, di urlare tutta la rabbia che gli rodeva l’anima: era  il prezzo della libertà, sempre più caro e amaro.

Si incamminò con passo svelto e la testa caotica per quella stradina lunga, scoscesa ed oramai familiare, fino a giungere nella piazza di Santa Maria delle Grazie. Inghiottendo a fatica la rabbia ed  il dolore, qualche lacrima gli aveva velato gli occhi turchini.

-          Bernardo!

Riconobbe subito la sua voce. Proveniva dall’oscurità della notte, ma  fu un bagliore di luce nell’ anima. Scrollò la testa, sgranò gli occhi, emise un colpo di tosse per schiarirsi la voce.

- Aurora……

- Vi stavo aspettando!

- Perdonatemi, sono stati giorni convulsi.

- Si, lo so, ho visto i rappresentanti del Governo arrivare da Napoli e poi ripartire. Cosa è successo, perché siete così preoccupato?

- Perché non abbiamo pace Aurora, i realisti stanno cospirando, quel maledetto Borbone ci sta col fiato sul collo e fra poco i francesi ci lasceranno e resteremo soli. Il ministro della guerra Manthonè è venuto ad allertarci e farci coraggio, così la marchesa de Fonseca e gli altri. Ora tutti in cuor nostro sappiamo quale tragico epilogo ci sta attendendo e soccomberemo perché non abbiamo i mezzi per difenderci. Questa è la verità! Ci consigliano di fortificare la Guardia Civica, ma oramai sono giorni che nessuno chiede più di essere reclutato e costringerli altro non sarebbe che una dannosa forzatura. La Patria va  difesa con amore e se questo manca, manca tutto! Mi sento perso, disperatamente solo!

- Non dovete essere triste, Bernardo, per quanto il destino ora possa sembrarvi doloroso ed incomprensibile,  un giorno vi ripagherà per ogni sacrificio. Ci sono persone che  pensano di vivere serene, evitando i pericoli, preservandosi dai cambiamenti , ed alla fine scoprono che non hanno mai vissuto e di loro non se ne serberà memoria. E’ il destino della gente che non fu mai viva. Voi non appartenete a loro. Voi state per guadagnarvi la gloria e quella rinascita che la vostra anima tanto brama.

- Questa è la cosa più bella che potevate dirmi, sembra assurdo, ma è l’unica speranza che mi accompagnerà fino alla fine, voglio crederci e voi mi state infondendo la forza di farlo. Mi sento distrutto, incatenato. Vedete, ho sempre affrontato questa rivoluzione con tutto me stesso ed ho creduto e credo nella causa repubblicana. Ma, ho sperato che il miracolo che si era compiuto potesse perdurare, espandersi, che finalmente tutta l’Italia seguisse il nostro esempio e con l’Italia l’Europa. Ho sognato delle nazioni europee unite, la libertà per tutti i popoli oppressi, ho creduto e combattuto sempre pronto a sacrificare la mia vita per la Patria. Ciò che mi fa star male adesso è che da un momento all’altro ogni cosa potrebbe tornare come prima, che quel maledetto Ferdinando e la sua dannata consorte austriaca torneranno ad imporre il loro dannato regime ed alla fine tutto ciò che abbiamo fatto non sarà servito a niente ed anche le nostre vite saranno state sacrificate inutilmente.

- Non avvilitevi, non sarà così. La Repubblica Napoletana anche se durerà solo pochi mesi, lascerà nella storia un segno indelebile e sarà di esempio a chi dopo di voi continuerà a combattere per la libertà. Un giorno i sogni di voi tutti  si realizzeranno e sarete ricordati quali gloriosi eroi della Patria.

- Le vostre parole mi confortano. Mi siete così cara, Aurora, così indispensabile. Gli unici momenti sereni che sto vivendo li devo a voi. Siete la cosa più bella che mi sia mai capitata nella vita ed avrei tanto voluto incontrarvi in un’epoca diversa e darvi tutto me stesso! Vi prego, fatemi una carezza…pur se in cuor mio lo so che siete e resterete sempre un sogno…

Non indugiò Aurora a tendere la mano verso le sue guance scarne,  coperte  da un lieve filo di barba pungente e dorata come i capelli. Bernardo le prese la mano e la trattenne sul suo volto socchiudendo le palpebre come un bambino desideroso di affetto.

- Non mi lasciate solo, vi prego.

- Non lo farò…. Non vi lascerò mai!

Si abbracciarono forte, a lungo, accarezzandosi con infinita tenerezza.

- Siete quanto di più bello io possa desiderare Aurora, statemi vicino, vi prego.

- Vi sarò sempre vicina anche quando i vostri occhi non mi vedranno. Non siete solo e non lo sarete.

- Perché ho imparato a sognarvi solo adesso? Mi tormenta questo pensiero! Perché solo ora?

- Perché  doveva essere così! In altro momento non avrebbe avuto senso tendervi la mano. Voi siete un eroe, siete uno spirito eletto e vi state guadagnando il vostro posto nella storia!

- Spero di guadagnarmelo anche nel vostro cuore…

- Di questo potete esserne certo!

- Non immaginate quanto mi consolino le vostre parole. Abbracciatemi ancora, vi prego, abbracciatemi forte e fatemi sentire che siete vera e non solo frutto della mia immaginazione.

- La storia ama i suoi ero…

- Ma io ora non desidero altro che essere amato da voi, tanto quanto vi amo io!

- Dovete essere forte, Bernardo, e non lasciarvi sopraffare dalle difficoltà. Non tormentatevi i pensieri, tutto  verrà da sé…..

- Col voi al mio fianco supererò ogni avversità!

- Sarò sempre al vostro fianco e vi accompagnerò oltre il tempo…ci siamo incontrati per questo!

 

 

Nonostante l’orrenda sensazione di avere il nemico col fiato sul collo, quel mattino i colori di Procida si erano ravvivati, la primavera sembrava volesse anticiparsi, le azalee, pur se in balia del vento, stavano rifiorendo, un tiepido sole avvolgeva l’isola, il mare era cristallino, placido, le stradine brulicavano di gente, botteghe di frutta, verdura e pesce, qualcuno seduto ai caffè si lasciava ritemprare dal gradevole profumo della salsedine e dei fiori, qualcun altro era intento a leggere gli ultimi fogli del Monitore che ancora riusciva ad arrivare da Napoli. Bernardo era uscito alla buon ora e si incamminava con aria frastornata per le vie del centro, buttando qua e là sguardi distratti; aveva la testa altrove, immersa in un frastuono di voci ed immagini richiamate alla memoria in un intricato groviglio di affetti,  tornavano frasi, volti, scene vissute e tutte filtrate al setaccio di un’angoscia avvilente. 

- Buon giorno Commissario! Come state? – lo prese sovrappensiero don Antonio Scialoja, stagliandosi di fronte con la sua lunga veste scura, il  personale distinto e la chioma canuta.

- Buon giorno, don Antonio! Sto bene, si, pur se stanco, preoccupato, ma sono ancora vivo ed in piedi e voi?

- Direi lo stesso. Stamane ho notato qualche persona in più in chiesa.

- Eh, già! Il predicare il catechismo repubblicano non ha reso certo la vita facile a voi sacerdoti!

- Per niente, mio caro Bernardo, per niente. Ma non dobbiamo disperare, lentamente tutti comprenderanno i benefici della Repubblica. Il buon Dio ci aiuterà.

- Confidiamo almeno in lui.

- Ho parlato tanto di voi a mio fratello Nicola, sapete, ed anche ai miei nipoti. Uno di questi giorni saremmo lieti di avervi nostro ospite a pranzo.

- Con piacere, ne sarò onorato.

- Cosa c’è Bernardo, vi sento un po’ giù di morale, ho visto che passeggiavate assorto, cupo. Sarà stata forse l’assemblea di ieri sera?

- Don Antonio, siamo tutti sulla stessa barca. Oramai è inutile fare previsioni, se tutto andrà male finiremo sulle forche!

- Ma questo era risaputo fin dall’inizio, mio caro figliolo, e non serve a nulla pensarci adesso. E comunque le sofferenze purificano l’anima e preannunciano grandi gioie. Venite, consoliamoci con un buon caffè caldo.

- Volentieri, stanotte ho dormito malissimo.

- Figliolo, voi avete bisogno di recuperare tutte le vostre forze. E’ vero, la situazione è difficile, non lascia un momento di respiro, ma così facendo la rendete ancora più grave! Ma cos’altro vi tormenta? Dai vostri occhi traspare una malinconia profonda. Siate sincero, c’è forse lo zampino di una  donna?

- Non vi si può nascondere nulla!

- Eh, da buon sacerdote ho imparato a leggere nelle anime e la vostra è limpida, ma triste come solo una donna può renderla. Suvvia, Bernardo! Siete un uomo valoroso. Quale donna potrebbe resistervi!

- La più dolce, la più sensibile e la più surreale che io abbia mai incontrato!

- I vostri occhi scintillano nel dire di lei, ne siete proprio invaghito!

- No, non ne sono invaghito, io sono certo di amarla, ma mi tormenta il pensiero che non potrò mai renderla felice come avrei voluto. Lei resterà per sempre un sogno irrealizzabile!

- E perché, cosa ve lo vieta?

- Questo tempo, questa epoca, questa incertezza che non ci da pace! La nostra esistenza sta per concludersi, tutto potrebbe finire in un solo istante.

- State dando per scontato il ritorno del Borbone e la fine di tutto! Ma allora, scusate, perché continuate a stare qui? Tornatevene a Napoli, riparate a Parigi, da qualche parte, portate questa donna con voi e salvatevi la vita. Cosa vi impedisce di farlo? In tanti stanno partendo.

- Io no! Ho promesso di combattere per la libertà e la Repubblica e lo farò fino alla fine. Ma spero solo di morire sul campo di battaglia e non sul patibolo.

- Chi può dirlo, Bernardo, chi può dirlo! Solo il buon Dio sa cosa ci aspetta. Comprendo il vostro dolore perché anch’io vedete, quando guardo i miei nipotini negli occhi, lo penso: quale ricordo poteranno di me, cosa ne sarà di loro se i Borbone torneranno? Per la mia vita non temo,  i miei capelli sono bianchi, ho già vissuto abbastanza e fatto tanto per curare il male incancrenito dell’ignoranza, ma loro…..loro sono così giovani, ed anche voi lo siete! Credetemi, non vi sto parlando né da sacerdote, né da rappresentante del Governo, ma da amico. Il vostro volto è permeato di tristezza come mai prima d’ora. Quando siete arrivato qui eravate vivido di entusiasmo, fiero di intraprendere un cammino nuovo, e non dico che ora quello spirito è andato perso perché siete sempre ligio al vostro dovere, ma la rassegnazione che trapela dai vostri occhi ora è immensa e mi fa male vedervi così!

- Ogni volta che la incontro un incantevole sogno diviene tangibile. Forse lei è essenza del mio pensiero, voce della mia solitudine, ma colma il vuoto che mi porto nel cuore, mi fa sentire compreso, non tarpa le mie ali, mi aiuta a volare. Maledico il mio destino… maledico questo tempo infame che ci ha resi morti prima ancora di ucciderci! Maledico i Borbone e la loro sciagurata stirpe!

- Non maledite, Bernardo, non maledite. Amate, invece, concedete al vostro cuore il privilegio di amare. L’amore rende l’anima viva! Tutti in questo momento abbiamo nelle vene lo stesso veleno, ma non dobbiamo farci vincere. L’amore è il suo antidoto, e ci darà la forza di affrontare le avversità che ci aspettano, di sperare ed anche di morire quando arriverà il momento. Non disperate, non disperatevi. L’amore vince su tutto… anche sulla morte! Seguite il vostro cuore, Bernardo, sono tante le vie del Signore, quello che oggi può essere dolore, domani potrebbe essere un’immensa gioia. Lasciate fare al tempo, non vi avvilite.  Se il vostro cuore vi dice di amarla, amatela, pur se è solo un sogno…. I sogni sono la ricchezza dell’anima.

 

 

 

 

Procida 1799. La rinascita degli eroi. Introduzione di Renata De Lorenzo

Procida 1799. Cap. I "Un destino segnato"

Procida 1799. Cap. II "La luce dell'Aurora"

Procida 1799. Cap.III "Il dolce soffio della Libertà"

Procida 1799. Cap.IV "Luci ed ombre della Repubblica"