Giuseppe Poerio, una vita per la Repubblica e la libertà

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Giuseppe PoerioGiuseppe Poerio aveva 20 anni quando giunse a Napoli nel 1795 dalla Calabria. Apparteneva ad una famiglia patrizia, ma, come tanti nobili, medici, avvocati, militari, letterati che furono i protagonisti della Repubblica Napoletana del 1799, rifiutò di vivere una vita agiata e tranquilla scegliendo di vivere e soffrire per l’affermazione degli ideali della Repubblica.

Nato a Belcastro, in provincia di Catanzaro, il 6 gennaio 1775, fu istruito nel collegio di Catanzaro. Secondo quanto di lui scrisse Benedetto Croce “a quattordici anni si era per irresistibile vocazione indirizzato agli studi giuridici; a sedici anni già arringava nei tribunali “ perché dotato di facile parola, e pertanto si avviò alla carriera forense. Aveva solo 16 anni quando patrocinò la sua prima causa penale.

Il brigadiere generale Dentice, preside della provincia, venne accusato per gravi delitti. Prescelse come suo difensore Giuseppe Poerio, che allora aveva appena 20 anni, e lo condusse a Napoli dove si occupò delle questioni che avrebbero negli anni interessato la politica, in quanto nei tribunali si discuteva e dibatteva del rapporto tra Stato e Chiesa, delle questioni feudali in relazione al progresso della società civile, dello stesso avanzamento nel settore dell’economia nonché delle riforme suggerite dall’illuminismo settecentesco, quali l’abolizione della tortura, l’obbligo di motivare le sentenze, la pubblicità dei giudizi.

Giuseppe Poerio apportava tutto il suo bagaglio di una cultura improntata ai concetti politici e sociali dell’illuminismo italiano ed europeo. Fu pertanto conseguente la sua scelta di prendere posizione per la Repubblica Napoletana nell’anno 1799, insieme a suo fratello Leopoldo e a suo cugino Salvatore Poerio, partecipando alla conquista di Castel Sant’Elmo il 21 gennaio del 1799.

 

Il 26 gennaio Giuseppe scrisse ad un amico repubblicano per comunicargli la bontà degli ideali repubblicani, dichiarandosi nei mesi successivi pronto a difendere la Repubblica.

Nel contempo inviò  lunghe lettere alla fidanzata Carolina Sossisergio,  dandole notizia di una sua partenza  per Auletta, in Calabria Citeriore, prevista per il 1 marzo, allo scopo di difendere la Repubblica con Pietro Malena, commissario di quel dipartimento, che avrebbe purtroppo trovato la morte per  mano dei sanfedisti, mentre il Poerio sarebbe riuscito  a salvarsi e tornare a Napoli, dove continuò a dedicarsi nella Sala Patriottica alla discussione sulle riforme dei tribunali.

Fino alla caduta della Repubblica, fece quanto poteva per ostacolare i controrivoluzionari, battendosi al Ponte della Maddalena, ma fu arrestato e rinchiuso in Castenuovo, convinto come gli altri patrioti, che i Borbone avrebbero rispettato i patti di resa, che prevedevano l’esilio a Tolone o Marsiglia.

Dopo l’annullamento dei patti della capitolazione, deprecato da tutte le potenze europee e dallo zar di Russia, Giuseppe, con il fratello Leopoldo fu gettato nelle carceri sotterranee di Castelnuovo, dove si ritrovò con Mario Pagano, Domenico Cirillo, Francesco Conforti, Pasquale Baffi, Giuseppe Logoteta ed altri patrioti, tra cui anche il grande matematico Annibale Giordano.

Il 27 agosto, la Giunta di Stato condannò Leopoldo alla “relegazione all’isola vita durante” e Giuseppe all’impiccagione, contrariamente a quanto si era stabilito precedentemente, mentre Salvatore Poerio fu rinchiuso nelle carceri di Aversa.

Il 27 settembre la condanna per Giuseppe fu commutata in ergastolo e, il 30 settembre, fu imbarcato per Palermo, dove giunse il 6 ottobre per essere condotto nella “fossa” penale di Santa Caterina nell’isola di Favignana. “Era questa- scrisse Croce- una grotta, alla quale si scendeva dal castello per una lunga scala tagliata nel sasso, con fioca luce, priva di ogni raggio di sole e umidissima”.

Dopo la vittoria di Napoleone a Marengo, gli Stati italiani furono costretti a concedere la costituzione e l’indulto per i condannati politici; quindi, il 28 giugno 1801, Ferdinando IV di Borbone fu costretto a concedere l’amnistia ed anche  i  Poerio, dopo due anni di dura prigionia, furono rimessi in libertà.

Nello stesso anno 1801 Giuseppe sposò l’amata Carolina Sossiergio, dal cui matrimonio nacquero i due grandi patrioti del Risorgimento Alessandro, nel 1802, Carlo, nel 1803, e Carlotta nel 1807.

Giuseppe fu  nominato dal re Giuseppe Bonaparte preside di Lucera e poi, nel 1807, intendente della provincia di Capitanata e del Molise. Durante il decennio francese ebbe diversi incarichi, ma con la caduta di Gioacchino Murat e il ritorno dei Borbone, fu  mandato in esilio a Firenze. Tornato a Napoli, nel 1819, fu uno dei grandi animatori del moto insurrezionale del 1820, a causa del quale il re fu costretto a concedere la costituzione. Poerio fu eletto deputato e nel 1821, in seguito alla fuga di Ferdinando I da Napoli, e con un discorso in Parlamento, protestò fermamente contro l’invasione austriaca del Regno di Napoli.

Seguì una tremenda persecuzione contro i liberali napoletani in attesa del confino. Poerio, con la sua famiglia, fu esiliato prima a Trieste e poi a Gratz, in Austria. Nel 1823, ebbe il permesso di lasciare Gratz per potersi recare con i suoi familiari nel Granducato di Toscana.

Verso la fine del 1829 alla moglie Carolina ed ai suoi figli Carlo e Carlotta furono dati i permessi di rientrare, prima a Catanzaro, e l’anno successivo a Napoli; mentre a Giuseppe ed al figlio Alessandro fu negato il rientro.

Anche durante il periodo del soggiorno a Firenze Giuseppe entrò in contatto con i maggiori rappresentanti del liberalismo toscano ed altri esiliati liberali, avendo abbracciato posizioni più moderate. Tuttavia, alla notizia della rivoluzione francese del luglio 1830, ideò con altri liberali un piano per convincere il granduca Leopoldo II a seguire le nuove idee, ma esso fu ostacolato dalla dura opposizione del primo ministro Torello Ciantelli. Cosi il Poerio fu di nuovo costretto, insieme al figlio Alessandro, all’esilio in Francia.

Durante questo periodo  scrisse una lettera- testamento al figlio Alessandro, raccomandandogli di raccogliere le memorie della sua vita, che avrebbe potuto avere dalla madre:

“Ella sa che io ho onorato e praticato sempre la virtù, che ho appassionatamente amato la mia patria, che non ho tradito alcuno dei miei doveri come uomo pubblico. Nella mia eredità non troverai ricchezze, ma nell’istoria della mia vita la più grande delle ricchezze per un figlio amorevole: la pruova la più luminosa che il di lui padre volle il Pubblico Bene, e soffrì sempre per averlo avuto, e sempre innocentemente”

Giuseppe Poerio morì a Napoli il 5 agosto 1843. I suoi figli  Alessandro e Carlo divennero  il simbolo vivente dell’oppressione borbonica, relegati nelle più dure carceri del Regno.

 

 

Bibliografia:

Benedetto Croce- I Poerio- Una famiglia di patrioti- Adelphi- 2010

 

 

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