Napoli 1799. Cap. XVII - Gennaro Rivelli

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Creato Martedì, 08 Dicembre 2015 14:54
Ultima modifica il Martedì, 08 Dicembre 2015 14:54
Pubblicato Martedì, 08 Dicembre 2015 14:54
Scritto da Ciro Raia
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Consuetudine della corte di Spagna, e perciò anche di quella di Napoli, era di affiancare ad ogni giovane principe o principessa un coetaneo (detto con voce spagnola menino), che fosse compagno di giochi, di studi e di tavola dei reali. Responsabilità del menino era sopportare i castighi al posto dei principi, in quanto, sin dall’infanzia, la persona di questi ultimi era considerata sacra.

Gennaro Rivelli, nato nel 1748, figlio di Agnese - la balia di Ferdinando - , è il menino del futuro re di Napoli. “Gennaro Rivelli era di mezzana statura, un poco inclinata sull’arco delle spalle… aveva lunghe braccia come quelle di un orango, le mani, pressocchè della stessa forma dei piedi e d’una spropositata grandezza, erano proprio le quattro zampe dell’orso a cui rassomigliava, anche per la brevità del collo e delle gambe”. I due ragazzi crescono insieme rozzi ed ignoranti; passano il loro tempo a cacciare, torturare animali, infastidire servitori  ed organizzare giochi al limite della decenza.

Quando il piccolo Ferdinando succede al padre Carlo, con gioia dice al suo compagno di giochi: “Sai che sono re e posso fare ciò che voglio, e tu, fratello di latte, sarai luogotenente mio”. Ma Gennaro resta alla corte di Napoli fino alla venuta di Maria Carolina. Subito dopo, infatti, la giovane sposa di Ferdinando, preoccupata dai modi rozzi e violenti del menino, chiede al marito di allontanarlo e di rimandarlo nei suoi possedimenti del Cilento.

 

Gennaro va a vivere, allora, a Vallo insieme al fratello prete Lorenzo, per carattere, cultura ed educazione, il suo esatto opposto.

Nel 1793, quando nel regno delle due Sicilie si temono le prime cospirazioni giacobine, la regina Maria Carolina, però, alla ricerca di fedeli spie da piazzare in ogni provincia, si ricorda del vecchio fratello di latte di Ferdinando e gli invia un biglietto: “Il re desidera rivedervi ed io ho bisogno dell’opera vostra. Affrettatevi, venite, troverete nella reggia la vostra antica stanza e potrete contare sulla particolare amicizia della vostra affezionata Carolina”.

Ritornato a Napoli, Gennaro si incontra subito con la Regina, che lo ragguaglia sulle congiure partenopee, sulle guerre in atto e gli dice: ”Voi sul re per gli antichi ricordi avete ancora influenza, voi dovete aumentare la sua severità contro i sudditi ribelli, egli deve sottoscrivere i nuovi editti che abbiamo preparato io ed Acton. Ve lo confido: Medici, il reggente della Vicaria, è un traditore, lo toccherete con mano, voi assisterete al convegno che terremo col re; oh vedrete che i giacobini ci vogliono uccidere”. Rivelli giura, così, di sterminare i giacobini sin dalle fasce; poi, la regina lo fa rifocillare e gli consiglia di andare a parlare col suo amico di infanzia, a Caserta, per scuoterlo dal torpore, “Aiutateci a puntellare il trono che vacilla e sperate tutto dalla nostra riconoscenza!”.

A Gennaro non sembra vero, essere di nuovo considerato importante dai sovrani di Napoli!

L’incontro di Caserta è un po’deludente. Il re è più interessato alla caccia ai fagiani che ai problemi del regno e, forse, si preoccupa anche che i piani di Maria Carolina e dell’Acton, che vedono giacobini dovunque, possano condurre alla decimazione dei sudditi.

Al rientro a Napoli la regina così apostrofa Rivelli: “E’vostro dovere servirci, il trono è in pericolo, spero che contribuirete colla vostra opera a salvarlo. Spiate, indagate quali sono i nostri nemici nella provincia di Salerno; assoldate altri fedeli, corrisponderete direttamente con me. Avrete pieni poteri presso l’intendente ed i sindaci, voi potete far processare ed incarcerare quanti crederete colpevoli di lesa maestà o semplici sparlatori del governo…siate inesorabile anche pei sospetti soltanto”.

Con la patente di spia in tasca, Gennaro Rivelli fa ritorno nel suo Cilento. Qui si invaghisce di una giovane donna, di nome Luisa, che immediatamente chiede in moglie. Le nozze avvengono non per amore, ma perché la giovane cilentana ha escogitato un piano per poter essere vicina, da cognata, a Lorenzo Rivelli, il prete del quale è innamorata follemente. A nozze avvenute, poi, Luisa convince il marito a scrivere al re ed a rinunziare all’incarico ricevuto.

Per qualche tempo la vita dell’antico menino sembra mutata: è felice di avere una bella moglie; ha abbandonato i suoi vizi; vive del lavoro nei campi. Ed è ancora più felice quando la moglie partorisce due gemelli. Ma i bambini sono figli della relazione tra Luisa ed il cognato Lorenzo. Scoperta la verità, Genanro non esita ad uccidere la moglie. Scappa, quindi,in Calabria, dove trova asilo in un convento che ospita anche il celebre Frà Diavolo. Successivamente lascia anche il convento e riparte verso Napoli, dove conta di arruolarsi con le milizie che stanno per combattere contro la Francia.

Una volta arruolatosi, il Rivelli segue le truppe regie sino a san Germano, nei pressi di Frosinone, dove salva il re da un incidente causato dal suo cavallo. Per tale atto è ampiamente ricompensato: è, infatti, graziato per l’uxoricidio e nominato capitano per volontà del re.

Quando il cardinale Ruffo guida l’esercito della santafede, chiede che Rivelli gli sia compagno ed alleato nell’avventura. E’ l’occasione che Gennaro sogna. Finalmente, al servizio del trono, può dare legittimo sfogo alla sua violenza ed ai suoi istinti bestiali.

E così Rivelli, a capo di una banda di masnadieri, uccide, violenta, saccheggia. E’un mostro. E la sua bestialità si manifesta nell’episodio delle orsoline di Altamura e nell’offerta, a Napoli, al cardianle Ruffo delle teste recise dei giacobini.

Alla fine dell’anno 1799, dopo le tragiche imprese delle bande della santa Fede, Gennaro Rivelli lascia Napoli e torna a Campagna, in provincia di Salerno, dove si risposa con una giovane donna del luogo. Ma è un uomo finito. Lo accompagna il marchio dell’ultimo orrendo crimine che ha commesso nella lotta ai giacobini a Napoli: ha sgozzato una madre incinta ed il feto che serbava in seno; “Ho sgozzato la madre e poi l’ho sventrata perché era incinta all’ultimo mese,e volevo accertarmi se questi figli di giacobini portino fino da dentro il grembo della madre, scolpito in fronte, l’albero della libertà. E, maledizione a loro, ho constatato che è vero. Guarda la fronte, e ci vedrai una linea nera che la solca”.

Questo orrendo crimine lo allontana anche da Ferdinando, che non intende più incontrarlo.

-Sempre qui stai? Vattene, per te non ci sono né soldi né cariche. Ritornàte da dove sei venuto.

-Maestà, io sono il vostro fratello di latte. Vi ho amato e servito per tutta la vita…Vi ho sacrificato me stesso ed ogni affetto. E ora mi cacciate come un cane…

-Vattene da qui. Torna dai tuoi figli e dalla nuova moglie che ti sei fatto e che spero sarà meno sventurata della prima, quella che tu hai ammazzato.

-D’accordo, me ne vado, ma avrete sempre bisogno di me a Napoli.

Gennaro Rivelli è, ormai, evitato da tutti. Ha perso anche la protezione della casa reale.

A Campagna vivono anche i due figli della prima moglie, che fingendo di voler rappacificarsi col padre, cominciano a frequentarne la casa di Rivelli. E, una sera lo uccidono a coltellate, intendendo vendicare, così, la morte della madre e la follia del loro vero padre!

 

 

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