Napoli 1799. Cap. XVI - Atrocita’ dell’esercito controrivoluzionario

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Creato Giovedì, 03 Dicembre 2015 18:11
Ultima modifica il Martedì, 08 Dicembre 2015 15:00
Pubblicato Giovedì, 03 Dicembre 2015 18:11
Scritto da Ciro Raia
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Cutro, Maida e Monteleone sono i primi paesi calabresi che, senza opporre resistenza, si offrono al trionfo delle truppe sanfediste. Subito dopo l’esercito controrivoluzionario muove alla volta di Crotone, città devota alla repubblica, difesa strenuamente dai suoi abitanti e da trentasei soldati francesi che, di ritorno dall’Egitto, lì si son fermati spinti da una tempesta.

Crotone combatte sin quando lo permettono le scarse armi e le scarse vettovaglie in possesso della gente; poi, stretta nella morsa dei borbonici,decide di chiedere patti di resa.

Ma il cardinale Ruffo rifiuta, perché, non avendo eccessivi soldi per sfamare l’ingordigia delle sue truppe, ha già promesso il sacco della città, “i palazzi dei nobili vennero presi di mira dapprima penetrandovi o dai portoni o dalle finestre, secondo che riuscisse più agevole, e spogliandoli di ogni oggetto prezioso, ed anche di ogni suppellettile più usuale e più ordinaria… ciò che non rubavansi, era in modo vandalico dai balconi e dalle finestre gittato sulla via e ridotto in frantumi. Fino i libri vennero trafugati; e, poiché quelle umane belve erano il 99 per cento analfabete, dopo tolti alle biblioteche, li sparsero pel fango delle strade come cose inutili ed inservibili”.

 

E quando Crotone cade definitivamente nelle mani sanfediste, alle luttuose scene di ogni battaglia, si aggiungono crudeli stragi di inermi, violenze inaudite ed atti di libidine.

Le donne, infatti, sono prima seviziate e poi tagliate a pezzetti; gli uomini, invece, sono spezzati in due da una sega. Non sfuggono al massacro né le suore, né gli anziani, né i bambini. Quindi, non ancora paghi della strage consumata, gli assalitori fanno razzia di tutto e non disdegnano di spogliare anche le chiese ed i conventi di ogni bene.

“Al terzo giorno, quando nulla più eravi da predare e distruggere in Crotone, il cardinale, che aveva fatto eccitare da Gennaro Rivelli le turbe ai saccheggi ed alle carneficine, alzato di nuovo nel campo magnifico altare ornato di croce celebrò di nuovo la messa quel prete guerriero della santa fede, indi vestito di ricca porpora, con aurea cintura e pistola e spada al fianco, lodò le gesta dei giorni scorsi, assolvè le colpe nel calore della pugna commesse e col braccio in alto disegnando la croce, benedisse di nuovo le malvagie schiere.

Dipoi lasciato presidio nella cittadella ed ai dispersi abitanti (avanzi miseri della strage) nessun governo e non altre regole che la memoria e lo spavento dei patiti disastri, si partì per Catanzaro, altra città di parte francese”.

Le nefandezze commesse a Crotone incoraggiano ogni atto di violenza nei confronti di qualsiasi cittadino simpatizzante della repubblica. Come avviene a Picerno, vicino Potenza, dove il vescovo Francesco Serao, conosciuto per le sue idee filogiacobine, è sorpreso dai sicari del Ruffo mentre sta pregando; quindi, trascinato in istrada, subisce il taglio della testa, che viene esibita  - per tutte le strade - sulla punta di una lancia, come emblema della capitolazione repubblicana. 

L’avanzata delle truppe sanfediste da Crotone riprende e non riserva trattamenti diversi ai popoli ed alle terre che si sono uniti sotto la bandiera della rivoluzione. Sono, infatti, in successione, assalite e distrutte Cosenza, Corigliano e Rossano; la città di Paola è bruciata; come sempre avviene dopo ogni capitolazione, gli abitanti sono straziati e seviziati.

Dalla Calabria le truppe sanfediste del Ruffo passano in Basilicata e si accrescono di un buon numero di ribelli provenienti dalla Puglia. Oltre cinquantamila crociati rivolgono le armi contro Gravina ed Altamura. E proprio nei confronti di quest’ultima cittadina barese si consuma un tremendo eccidio.

Gli altamurani difendono coraggiosamente la città fino allo stremo delle forze. Quando intuiscono che le torme controrivoluzionarie stanno per avere la meglio, molte persone - uomini e donne, vecchi e bambini -  cercano nella fuga una strada per la salvezza. Ad Altamura restano poche migliaia di cittadini, tutti condannati a morte dal cardinale Ruffo. I vecchi sono squartati, i bambini tagliati a pezzi, gli uomini e le donne bruciati a fuoco lento, sempre al grido di guerra “trucidate, spegnete col ferro e col fuoco il covo delle serpi... Iddio lo vuole”.

Tra quelli rimasti ad Altamura ci sono anche le suore di clausura dell’ordine di sant’Orsola, che attendono pregando il compimento della triste sorte. Nel convento si insinuano subito i sanfedisti guidati da Gennaro Rivelli che, armato di pistola e coltello, chiede alla madre badessa di mettere a disposizione dei suoi uomini i migliori cibi ed i migliori vini.

-Olà mie tenere colombe, cessate dal guaire e andate a provvedere e qui recate quanto avete di meglio di cibi e di vini. Eseguite o morrete.

-La nostra regola ci vieta il vino, poco e generoso ne serbiamo per le ammalate. Le provviste in parte distribuimmo ai cittadini.

-Oh brave! La repubblica penetrò anche nel convento.Brave le cittadine suore!

-Scarsi viveri dunque abbiamo e tutti ve li offriremo, ma nel refettorio, non qui nella chiesa, nella casa del Signore.

-Precisamente qui. Farete portar qui tutto, perché mia reverenda suora dovete sapere, e l’ha detto sua eminenza il vicario generale del nostro re e del papa, che la chiesa dove sono entrati i repubblicani non è più sacra, ivi Dio fuggì, e non ci rimase che il diavolo. Questo tempio è contaminato, è interdetto e deve o riconsacrarsi dal nostro cardinale o abbruciarsi come si fece a Paola ed a Crotone.

-E voi avete la croce sul petto?

-La diede a tutti il nostro Ruffo, quel santo servitore di Dio, insieme a milioni d’anni di indulgenza; ma ritorniamo alla chiesa mutata in sala repubblicana ed insozzata, se vi resta ancora qualche scrupolo, oh santa madre noi ve lo leveremo, fate recar qui i paramenti di festa e di duolo, le stoffe a fiori vermigli e i panni neri e vedrete come tutto sarà coperto: ma si faccia presto.

Agendo sulle atterrite suore, Rivelli ed i suoi uomini ottengono cibi e vini. Mangiano, si ubriacano, bestemmiano e, infine, violentano le vergini di sant’Orsola. Poi, una volta sfogati gli istinti animaleschi, trucidano le sconsolate religiose con le lame dei coltelli. Sul pavimento della chiesa restano - orrendamente mutilati - quaranta corpi di suore orsoline!

“Un convento di vergini empiamente profanato, tutte le malvagità, tutte le lascivie saziate; non ad Andria, non a Trani, forse ad Alessia ed a Sagunto (se le antiche storie sono veritiere) possono assomigliare le rovine e le stragi di Altamura”.

Anche la capitolazione di Napoli registra orribili comportamenti sanfedesti. Il cardinale Ruffo ha promesso alle sue truppe un premio in denaro per ogni testa recisa di repubblicano. La notte del 13 giugno il porporato è accampato al ponte della Maddalena; ai suoi piedi giacciono innumerevoli teste recise che un segretario compiacente ha pagato, attingendo a piene mani sacchi di monete d’argento, frutto di donazione reale e di razzie.

Ogni testa sei ducati! Qualche piccola discussione si accende per i teschi dei bambini, per i quali la ricompensa è di solo tre ducati! Di nuovo la ferocia di Rivelli si dispiega in tutta la sua atrocità. Egli entra nella tenda del cardinale mostrando due teste recise: quella di una donna e quella di un bambino. Poi, rivolgendosi al porporato che appare sconvolto dalla vista di quelle due teste, dice: “Qui ci vuole giustizia e pagar subito.

Col bando si promisero sei ducati per ogni testa repubblicana, non si spiegò né grossa né piccola, perché i piccoli si fanno grandi e son peggio di questi. Io, a mo’di esempio, ho tagliato questo capo ad una repubblicana conosciuta, - la chiamavano la madre dei poveri - una peste, un diavolo che soccorreva tutti per farli nemici al re: era gravida, la sventrai… La sventrai… e che credete? guardate il teschio del bambino… non vi distinguete scolpito sulla fronte l’albero della libertà? Eh, che repubblicano doveva essere… or son cadute le due teste. Su, a me i dodici ducati”.

Le teste recise dei repubblicani son talmente tante che Ruffo è costretto ad emettere un nuovo bando: “che si uccidessero tutti i repubblicani, ma che le loro teste niun prezzo si pagherebbero”.

Gaetano Mammone, il brigante diventato generale di Ferdinando IV, addirittura succhia il sangue delle sue vittime, mentre altri sanfedisti mangiano pane e carne dei cittadini ammazzati. Qualcuno, su un improvvisato banco di vendita, offre “a sei grani al rotolo la carne dei repubblicani!”.

Anche il corpo di Michele Marino,’o pazzo, è ridotto in piccole porzioni e venduto come carne di animale, mentre i lazzari sanfedisti cantano “Michele ‘o pazzo/s’ha magnato ‘a pizza/nun me n’ha dato a me;/ppò,ppò/Tien’’a zella a lu lampione”.

Si racconta anche che con le teste repubblicane qualcuno abbia giocato a bocce!

“Cadde la Repubblica in quel dì nefasto. La canaglia, lurido pattume di tutte le immondizie dell’anima umana, vermi schifosi della Santa fede, andavano per le strade urlando nel loro linguaggio:        

 

E’venuto lo papa santo [1]

c’ha portato li cannoncini,

p’ammazzà li giacobini.

E teccote ccà,teccote ccà,

cauce nfaccia alla libertà!

 

A questo canto infame si accoppiavano inaudite oscenità e barbarie. I repubblicani caduti nelle mani di questi antropofagi venivano  strascinati semivivi e seminudi per le pubbliche strade.

Ad alcuni si scuoiava il petto e le spalle per la diceria fatta correre dal Ruffo che molti patrioti vi portassero dipinto l’albero della libertà; altri veniano tratti in riva al mare ed ivi, coperti di orride ferite, erano gittati ad affogare nelle onde; ad altri si conficcavano chiodi in su la cervice e dietro gli orecchi; ad altri si mozzavano i genitali, e così mutilati eran esposti a ludibrio nelle piazze dove intorno ad essi si faceva un bailamme infernale cantandosi empie ed oscene canzoni frammischiate a litanie.

Venerande matrone e pudiche donzelle erano tratte ignude nel mezzo di quei bruti, che gareggiavano su quelle infelici ne’ più esecrabili insulti.

Le nefandezze commesse da’ Sanfedisti nei quattro giorni 13, 14, 15 e 16 giugno hanno pochi riscontri nella storia delle umane ferocie … Non posso ricordare quelle scene senza raccapriccio ed orrore… L’eccidio cominciò nella notte dal 13 al 14 giugno.

L’alto silenzio della notte era rotto dalle grida strazianti delle vittime e dalle oscene ridde de’carnefici. Sanguinose ecatombi rischiarate da sinistre faci e accompagnate da canti infernali faceano tremare il cuore degli abitanti di un rione, che cercavano di nascondersi ne’più segreti ripostigli e sotterranei. Luguibri e trepidanti fantasime si vedevano attraverso le deserte vie di Napoli per andare forse a chiedere a’visceri della terra per sottrarsi a morte straziante...

Le madri, le spose, le sorelle, le figliuole, tendevano, pallidissime di terrore, gli orecchi al minimo lontano vocio che annunziasse lo appressarsi delle belve  assetate di umano sangue, o genuflesse a’piedi di qualche immagine della Madre di Dio, ne imploravano, nelle convulsioni dello spavento, l’ausilio e la protezione”.

 

 
 


 

[1] Una fonte anonima racconta che Ruffo si sia proposto come Antipapa, “allorchè in Calabria si proclamò papa”.La notizia è riportata in Maria Antonietta Macciocchi, Cara Eleonora, Rizzoli,Milano, 1993.

 

 

 

 

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