Napoli 1799. Cap. XV – La marcia sanfedista

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Il 31 gennaio 1799 - insieme al suo cappellano Annibale Caporossi, all’abate Lorenzo Sparziani, al tenente colonnello Domenico Petromasi ed al marchese Malaspina - il cardinale Fabrizio Ruffo, dalla corte borbonica di Palermo, giunge a Messina. Ha appena finito di dire a re Ferdinando:

“Eccomi, ove si tratta di sostenere l’onore della Religione, che vuole ubbidita la Maestà di un Principe dato da Dio, sarà un pregio della Porpora, che mi ricuopre, se rimarrà di sangue intrisa per la difesa di quel che prescrive colla sua legge. Io andrò girando per le provincie del Regno non con altro in mia compagnia, che col Crocifisso: voi frattanto, o Sire, scrivete alle potenze alleate, perché avvalorino la vostra gente con forze non equivoche, e sleali, e sperate nel Dio dell’eserciti, che sarà per proteggere l’innocenza vostra”.

Ha un seguito limitatissimo, scarse riserve finanziarie ed alimentari.

Nei giorni immediatamente successivi, centocinquanta armati, provenienti da S.Eufemia di Sinopoli, cominciano ad ingrossare l’esigua truppa del cardinale. Da Messina i sanfedisti attraversano lo stretto ed approdano a Scilla, dove effettuano il sequestro dei beni del duca di Bagnara (fratello del cardinale) e del principe di Scilla (cugino del cardinale); serve ad impinguare il fondo delle spese necessarie per la spedizione.

A metà febbraio le truppe sanfediste, ormai infoltite da quanti si sono aggregati nell’attraversamento dei comuni calabresi di Radicena, Lauriana, Gioia, Rosarno, giungono a Mileto.

Da quest’ultima cittadina, il 1° marzo, si spostano a Monteleone, luogo in cui il cardinale Ruffo è accolto in pompa magna e dove riceve la sottomissione dei deputati di Tropea e degli altri comuni circostanti. Ed è sempre a Monteleone, poi, che gli giunge una notizia attesa da tempo: a Salerno e nella sua provincia si sta raccogliendo un esercito di quattromila antigiacobini, pronto a raggiungere l’armata cristiana e reale del Ruffo.

 

Il 5 marzo i sanfedisti sono a Maida e, quindi, attraverso Catanzaro e Cutro, il 25 dello stesso mese, entrano trionfanti in Cotrone, città in cui il cardinale in persona, tra il tripudio della folla, abbatte l’albero della libertà e nello stesso posto, con le proprie mani, pianta una grande Croce.

Da Crotone i seguaci di Ruffo passano a Rossano dove si fermano qualche giorno, prima di raggiungere Cosenza e Paola. Con truppe ormai ben numerose i sanfedisti si lasciano alle spalle Tarsia, Cassano e fanno tappa a Trebisacce.

Attraverso Rocca Imperiale, quindi, entrano nella Basilicata e conquistano le cittadine di Policoro, Bernalda, Montescaglioso, Matera, prima di cingere d’assedio, l’8 maggio, la sfortunata e valorosa città di Altamura. Dopo il moltissimo sangue ivi sparso e le molte violenze inflitte ai “cittadini ribelli”, il cardinale Ruffo ed i suoi uomini prendono la strada che conduce a  Gravina e proseguono, poi, per Spinazzola, Venosa e Melfi, luogo in cui giungono il 29 di maggio.

Ora le bande sanfediste sono un vero esercito che marcia alla volta di Napoli.

Da Melfi, poi,i seguaci della Croce, attraversano Ascoli Satriano, Bovino ed Ariano Irpino, città da dove, attraverso Montefusco, giungono ad Avellino e, quindi, a Nola.

Nella città vesuviana i sanfedisti sono oltre cinquantamila.E’l’11 giugno e Napoli è ormai di fronte,a poche miglia!

Il 13 giugno, in compagnia delle truppe calabresi, moscovite ed ottomane, il cardinale Ruffo parte da Nola, supera Marigliano, ed attraverso la strada di Somma Vesuviana prosegue per Portici e si ferma nel territorio napoletano, tra San Giovanni a Teduccio ed il Ponte della Maddalena.

La sera dello stesso giorno comincia la battaglia tra sanfedisti e giacobini.   

Insorgenze, intanto, cominciano a registrarsi anche nei dintorni di Napoli. Nei casali di Puccianiello, Sala e Briano, nello stesso momento in cui l’Armata francese –prima di marciare verso Napoli - trasferisce il suo quartier generale a Caserta, i borboniani della provincia, guidati da Francesco Landi, segretamente si riuniscono per tramare ed organizzarsi contro la Repubblica ed i suoi simboli.

Ed, infatti, il 2 marzo, questi cospiratori assalgono il Palazzo e, dopo aver massacrato le guardie, sradicano l’albero della libertà. Solo l’intervento dei soldati francesi di stanza a Capua, Aversa e Napoli impedisce che la rivolta abbia un seguito. Altri tumulti si registrano a Capua ed in altri piccoli centri, quando le bande di Pronio e Pezza assediano Capua e tentano, inutilmente, di forzarne le difese.

Nel casertano, invece, si vive un periodo di relativa calma, che va sino agli inizi di giugno, periodo in cui si annuncia imminente l’arrivo delle bende sanfediste. Difatti, solo dall’8 giugno, i realisti casertani, appoggiati dagli insorgenti di Maddaloni e Marcianise, presidiano le piazze di Caserta, oppongono una forte resistenza ai Francesi, da San Leucio a Casapulla, ed abbattono tutti gli alberi della libertà.

Quando poi, il 14 giugno, agli ordini del colonnello De Gambs, arrivano i sanfedisti, allora i Francesi devono lasciare il territorio e sono costretti a contare anche molte perdite in vite umane.

A Napoli, città dilaniata dall’anarchia, e nella sua immediata provincia, le rivolte sono continue ed impegnano quotidianamente le truppe francesi. Già, infatti, Championnet, lungo la strada che lo porta nella capitale del regno, è chiamato a sedare le insorgenze di Giugliano e Sant’Antimo, di Secondigliano, Grumo Nevano e Casandrino. Innumerevoli insorgenze si contano, poi, anche nei centri vesuviani; a Nola è il vescovo Vincenzo Monforte ad animare il partito dei realisti, insieme al marchese della Schiava ed alla famiglia Vivenzio. 

Nella penisola sorrentina le ribellioni si contano sin da marzo; qui, infatti, la famiglia Masturzo si assume il compito di coordinare i borboniani dei casali di Massa, Airola e Ticciano insieme a quelli di Agerola, Lettere e Gragnano.

Ed in aprile il generale Macdonald è costretto ad intervenire a Castellammare, località in cui i realisti, insieme alle truppe da sbarco inglesi, stanno producendo un movimento di sommossa popolare. Lo scontro armato avviene sul fiume Sarno: i Francesi hanno la meglio; i ribelli sono respinti nei loro territori; Castellammare è messa a ferro e fuoco e molti ribelli sono giustiziati, mentre gli Inglesi sono fatti prigionieri.

Nell’avellinese, ad Altavilla, dopo il primo entusiasmo repubblicano, che porta ad abbattere tutti gli stemmi borbonici, l’eccessivo rigore del generale Sarazin, produce subito pentimento nella popolazione che, piange e maledice i patrioti, la libertà ed i maledetti Francesi. Volturara e Montella, sin dall’inizio, mal sopportano la presenza francese e continuamente insorgono, tanto da contaminare nella sommossa Mercogliano, Monteforte, Mugnano e Lauro.

Quando giungono le notizie dell’avanzata sanfedista, in molti centri irpini sono velocemente abbattuti i simboli repubblicani ed a Sirignano, a Quadrelle, a Mugnano del Cardinale, gli insorti “rovesciano gli alberi, alzano le Croci, armano e fanno festa al suono delel campane e al fragore di spari nei comuni di Baiano, Avella e Sperone”.

Nel salernitano, per i motivi noti, le municipalità repubblicane, nel giro di pochi giorni dalla loro costituzione, ritornano ad abbracciare la causa realista. In questa terra, infatti, il richiamo delle bende sanfedsiste, incoraggia i borboniani ad abbattere tutti gli emblemi repubblicani e ad innalzare la croce. Così, sin dal 1°marzo a Capaccio, Sicignano, Castelluccio, Polla, Sala Consilina sono erette croci sanfediste. Il cardinale Ruffo è talmente entusiasta da conferire a monsignor Ludovici l’incarico di plenipotenziario, al fine di costituire, al più presto, un nuovo governo civile e militare.

L’argine francese è sempre più debole e l’insurrezione si allarga a macchia d’olio. ”Le popolazioni sedotte erano abbandonate ad un inevitabile massacro, ma, per una funesta filiazione, il disordine attirava la forza francese, e la forza francese moltiplicava il disordine. Istizziti gli spiriti, partiti i Francesi, l’insurrezione tornava a riprodursi”.

 

 

 

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