Napoli 1799. Cap. XIV – Il cardinale Ruffo e l’esercito sanfedista

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Mentre la giovane Repubblica napoletana consuma gran parte del suo tempo tra festini e balletti ed impone gabelle più ai sostenitori che ai nemici, il mai sopito amore per il re Borbone comincia a riprendere corpo tra la popolazione.

Le prime avvisaglie si hanno in Calabria. In questa terra, infatti, don Reggio Rinaldi, prete di Scalea, riesce ad organizzare una schiera di filomonarchici; fidando, poi, nel concreto aiuto del re, gli scrive chiedendogli un po’di soldi, qualche cannone ed un capo militare per  guidare la rivolta antifrancese. Ma il re delude le aspettative di Rinaldi e non risponde alle sue richieste.

Alla corte di Palermo, però, c’è Gennaro Rivelli (l’antico menino del re), che, dopo la fuga da Roma, ha seguito Ferdinando IV in Sicilia. Rivelli, una volta apprese le intenzioni di Rinaldi, immagina di poter facilmente progettare un piano che rimetta in sella la monarchia borbonica. A tal proposito invita in Sicilia, per un incontro, il curato di Scalea e, nel contempo, pensa al cardinale Ruffo come all’uomo capace di dare esito positivo al piano che sta elaborando.

Fabrizio Ruffo, “prete senza costumi e senza fede”, originario di Bagnara Calabro, dedito ad amicizie lascive, amante di una vita scellerata, ha ottenuto la porpora cardinalizia sotto il pontificato di Pio VI. Da cardinale, poi, ha avuto la responsabilità della tesoreria apostolica. Ma le ruberie ed i pessimi costumi del prelato hanno indotto il pontefice a revocargli la carica. Il Ruffo, privato degli agi e dei favori, si è rivolto allora a Ferdinando IV, che lo ha nominato intendente di Caserta e supremo vigilatore della colonia di S. Leucio.

 

Alla corte di Napoli il cardinale Ruffo continua a condurre una vita che contrasta con la sacralità della sua veste; è uno sregolato nei costumi e negli amori; pur di detenere il potere non lesina un iniziale appoggio  - forse anche per un interessata passione nei confronti di Eleonora Fonseca - alle idee rivoluzionarie. Poi, respinto sia dalla Fonseca che dagli amici idealisti della società di Posillipo, ne diventa il più fiero avversario.

Ora Ruffo, lontano dai piaceri e dagli intrighi di Napoli,vive a Palermo, al seguito di una corte che, popolata di inglesi e siciliani, un po’ lo disprezza e sicuramente non lo tiene in considerazione alcuna. L’occasione che gli si offre, quindi, su iniziativa di don Reggio Rinaldi e Gennaro Rivelli, è troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire, avendo intuito che può rappresentare il momento tanto agognato per rimetterlo in sella.

Il caso, intanto, vuole che dalle Puglie giungano notizie di sommosse popolari che hanno abbattuto gli alberi della libertà ed inneggiato al ritorno monarchico. E’ un momento propizio per sostenere, quindi, il progetto antifrancese. Ruffo è così investito della responsabilità di sbarcare in Calabria e valutare - a seconda della risposta delle popolazioni - se tornare in Sicilia o affrontare il percorso che porta allo scontro diretto con i Francesi.

Il 3 marzo 1799 il principe della Chiesa cardinale Fabrizio Ruffo, dopo aver celebrato una messa, stringendo con una mano la croce e con l’altra la spada, si rivolge al popolo calabrese: “Una malvagia schiera di eretici stranieri manomette gli altari di Dio e dei santi suoi. Il nostro re, l’amato signore nostro, erra al di là dei mari nella fedele Trinacria: quel buon principe addolorato non del perduto regno, ma delle vostre sventure e della profanata religione, m’ingiungeva di correre verso di voi per salvarvi dall’ultima ruina, ed in nome di Dio io venni a voi. I Francesi ed i loro compagni, i giacobini di Napoli, saccheggiano le chiese, devastano i conventi, violano le vergini di Cristo, maltrattano i frati, i preti, e turbano perfino il sonno pacifico dei sepolcri. Volete voi la visita dei Francesi? Desiderate voi prestare ubbidienza alla maledetta repubblica?

L’angelo mi confidò, ed io lo dico a voi; la croce sarà invincibile contro i Francesi e la repubblica. Qualunque fedele cristiano metterà sul suo petto o sul cappello una croce bianca, vada e non tema la morte, imperocchè se le palle degli empi non lo risparmiassero, egli sarà subito portato in cielo dagli angeli. Morite, e ne sarete convinti!… Io vi darò la croce, ma giurate di combattere per la santa fede, pel re, per la chiesa… Un’altra cosa mi rivelò l’angelo: la roba degli empi apparterrà ai buoni cattolici, e se alcuno di voi nel calor della pugna ed ispirato dalla fiamma divina trucidasse gli inermi, i vecchi, le donne, i fanciulli, io devo da oggi in virtù del mio sacro ministero così per questi come per gli altri peccati annunziarvene il pieno perdono e la più larga assoluzione della santissima nostra chiesa”.

La folla sembra impazzita alle parole del cardinale. C’è chi giura, chi chiede di esser segnato dalla croce bianca, chi brandisce le armi pronto ad entrare nell’esercito della santa fede.

Il cardinale Ruffo non si lascia sfuggire questo momento di intenso coinvolgimento e prosegure: “Fratelli miei inginocchiatevi… Io vi benedico e vi apro il tesoro della grazia. In nome del padre, del figliuolo e dello spirito santo. Ego absolvo a peccatis vestris facti et faciendi… Sorgete. Sorgete e venite a ricevere la croce. Venite. Iddio lo vuole”.

E così sotto gli occhi di un beffardo cardinale sfila l’esercito della santa fede; c’è don Reggio Rinaldi che, armato di tutto punto, guida cinquecento calabresi di Scalea; ci sono preti e monaci di tutti gli ordini; ci sono popolani e briganti come Michele Pezza (il famigerato Fra’ Diavolo) ed il feroce Gaetano Mammone, l’antico capo degli sbirri salernitani Gherardo Curcio (noto più col nome di Sciarpa) e Panzanera, bandito accusato di quattordici omicidi. E, quindi, ci sono Pronio, prima abate e poi predone nelle regioni abruzzesi, il marchese Rodio, il marchese del Bosco e tanti tanti altri combattenti, umili e meno umili, donne e bambini, ma tutti spinti dal desiderio di marciare su Napoli, la ricca metropoli da depredare e distruggere.

Prima di avviare le operazioni dei “nuovi crociati”, Ruffo si riunisce con i capi del suo esercito e stabilisce l’itinerario da seguire per l’avanzata verso la Campania. Al marchese Rodio ed all’abate Pronio è affidato il compito di andare in Abruzzi per, poi, convogliare i popoli insorti nelle Puglie. A Sciarpa e Panzanera è affidato, invece, il compito di marciare su Salerno e lì attendere istruzioni del cardinale prima di ripartire per Napoli.

Ruffo, invece, coadiuvato da Fra’ Diavolo e Mammone, tiene per sé il comando di quella parte dell’esercito che, attraverso la Calabria, punterà direttamente su Napoli.

Le bande sanfediste passano, dunque, pur tra nefandezze e crimini efferati, di successo in successo e conquistano molte città calabresi. “Dovunque le ‘masse cristiane’, inalberando i vessilli della Santa Fede… e le insegne del papa, dell’imperatore o dei legittimi sovrani, guidate da visionari… da prelati e da briganti… si scagliarono contro gli odiati giacobini, visti come nemici di Dio e del re ma anche come gli oppressori della povera gente, con cieca violenza e primitiva ferocia”.

Le vittorie, però, piuttosto che accrescere fanno diminuire di numero gli improvvisati soldati della santa fede. Molti guerrieri del Ruffo, infatti, dopo i primi saccheggi, immediatamente ricusando la fede controrivoluzionaria o l’amore per il re, ritornano nelle loro famiglie a godersi il frutto delle prime razzie.

Le vittorie delle truppe cardinalizie hanno un prezzo molto alto! Ruffo, infatti, quando conquista le città della Calabria meridionale, pubblica un editto col quale, nel riconoscere ai calabresi stessi ogni sorta di zelo e di ardimento, a nome del re, riconosce anche l’esenzione da tutte le tasse per la durata di dieci anni. Intanto dalla corte di Palermo arrivano premi ed incoraggiamenti. Ruffo diventa vicario generale di sua maestà; riceve, poi, rinforzi militari agli ordini del cavaliere Micheroux. Per cui, forte delle nuove milizie, ha gioco facile nella conquista dell’intera Calabria.

Con ferocia inaudita, quindi, conquista anche la Puglia e la Basilicata. “Nessuna pietà sentirono i crociati: donne, vecchi, fanciulli uccisi; un convento di vergini empiamente profanato, tutte le malvagità, tutte le lascivie saziate; non ad Andria, non a Trani, forse ad Alessia ed a Sagunto (se le antiche storie son veritiere) possono assomigliare le rovine e le stragi di Altamura. Quell’inferno durò tre giorni, e nel quarto il cardinale assolvendo i peccati dell’esercito lo benedisse e procedè a Gravina che pose a sacco”.

Di vittoria in vittoria,di saccheggio in saccheggio, le truppe sanfediste del cardinale Ruffo arrivano nei pressi di Napoli.

La notte del 12 giugno 1799 il porporato è accampato nei pressi di Vigliena, una piccola rocca che difende la città partenopea dal lato del ponte della Maddalena. L’assalto è ormai deciso: un banditore del campo, a nome del cardinale, promette sei ducati di mancia per ogni testa di repubblicano recisa! Ruffo stesso, in sella al suo cavallo, esorta e benedice i suoi uomini: “Per la fede, per Dio, combattete, vincete e sterminate; in quella città (e stende la destra verso Napoli) stanno Amaleciti [1], Amorrei [2], tutti figli di Moloch [3], tutti empi sacrileghi, tutti rei di mille morti. Non risparmiate nessuno, né il sesso, né l’età vi renda pietosi.Ricchezze ed onori avrete sopravvivendo alla battaglia,indulgenza plenaria e vita beata morendo. Su, all’armi: Dio vuole oggi il suo diletto Ferdinando padrone di Napoli”.

 L’alba del 13 giugno è un’alba di sangue. Cade, sotto gli assalti sanfedisti, la fortezza di Vigliena, ma non senza un’eroica difesa dei repubblicani.

“Si risolvevano i repubblicani a morire da uomini forti. Spartani volevano essere e Spartani furono!.. Ma gli Spartani avevano uno stato e una patria, essi non avevano più né l’uno né l’altra. Perciò perirono senza frutto in ciò molto più da ammirarsi degli Spartani…Udissi tutto ad un tratto nella spaventata Napoli un rumore come di un tuono, tremò la terra, pure il Vesuvio non buttava; veniva dal forte di Villiena. Lo aveva il cardinale assaltato con tutte le sue forze: vi si difendevano i calabresi non come uomini,ma come leoni. Pure i regi combattendolo da tutte le parti con le artiglierie l’avevano smantellato, non una, ma più breccie aprivano l’adito ai vincitori. Entrarono a forza ed a furia; gente disperata ammazzava gente disperata;né solo i vinti perivano. Nessuno si arrendè; tutti furono morti; date a chi gli uccideva innumerevoli morti. Restavano una mano di pochi, la rabbia gli trasportava, feriti ferivano, minacciati ferivano, ammoniti dell’arrendersi ferivano. Pure l’estrema ora giungeva. Anteponendo la morte di soldato alla morte di reo, né soffrendo loro l’animo di venire in forza di coloro che con tanta rabbia aborrivano, un Antonio Toscano che gli comandava e che già stava con mal di morte per ferite e sangue sparso, strascinossi a stento e carpone al magazzino delle polveri, e con uno stoppaccio acceso postovi fuoco, mandò vincitori, vinti, e rovinate muraa all’aria:atto veramente mirabile e degno di eterna memoria nei secoli: tutti perirono. Questa fu la cagione del tono e dello spavento di Napoli”.

La strada per Napoli ora è veramente spianata. Il cardinale Ruffo siede, da trionfatore, tra i suoi accoliti e le tante teste recise dei morti repubblicani. “Vari erano i generi delle morti: il ricco ammazzato sull’atrio dei suoi palazzi, il povero sulle scalee e sulle porte delle chiese: chi era lacerato, vivente ancora, a brani a brani, chi strangolato, chi arso. Ardevano qua e là orribili roghi e gli uomini gettati a furia dentro vi si abbruciavano. Godevano i barbari ed a guisa di veri cannibali facevano intorno le loro tresche, le loro grida e loro danze festevoli. Un prete venuto con Ruffo si vantava d’aver mangiato carni di repubblicani abbrustolite!”.

Ma i repubblicani napoletani non demordono, non intendono capitolare. Atti di eccelso eroismo connotano le giornate successive. La difesa è sempre strenua e coraggiosa. E’la difesa di un pugno di uomini che, ingannati dalla Francia già pronta a negoziare col cardinale il prezzo del tradimento, con improvvisi attacchi vittoriosi, riesce ancora a scardinare la sicurezza sanfedista. “Le truppe di Ruffo, sorprese e spaventate a sì inopinato accidente, si davano alla fuga; già il cardinale aveva messo all’ordine i carri e la sua carrozza stessa per andarsene. Ma accortosi della pochezza del nemico, e che i repubblicani già si erano riparati ai castelli, se ne rimase continuando nell’opera della espugnazione”.

Nelle strade di Napoli si assiste unicamente ad una spietata caccia ai repubblicani. La plebe compone lo stornello:    

                        

Vuoi conoscere il giacobino

E tu tirali il codino,

Se la coda ti viene in mano

Questo è vero repubblicano.

 

 

 



 

 

[1] Antica popolazione nomade, attestata nella Bibbia ebraica come discendente di Esaù, dedita alle razzie e nemica per eccellenza di Israele.

[2] Antichissima e violenta popolazione, in parte sedentaria (attestata nella Siria), ed in parte nomade (attestata nella Mesopotamia).

[3] Nome di una divinità fenicia cui gli israeliti, adottando il culto preesistente al loro arrivo in Palestina, sacrificavano bambini nella valle di Geenna.

 

 

 

 

Napoli 1799. Cap. I - Il vento rivoluzionario (1)

Napoli 1799. Cap. I - Il vento rivoluzionario (2)

Napoli 1799. Cap. II - Come si vive a Napoli nel XVIII secolo

Napoli 1799. Cap. III - Il re Ferdinando IV di Borbone (1)

Napoli 1799. Cap. III - Il re Ferdinando IV di Borbone (2)

Napoli 1799. Cap. III - Il re Ferdinando IV di Borbone (3)

Napoli 1799. Cap. IV - La regina Maria Carolina d’Austria (1)

Napoli 1799. Cap. IV - La regina Maria Carolina d’Austria (2)

Napoli 1799. Cap. V - Il governo di Napoli dopo la fuga del re

Napoli 1799. Cap. VI - L’entrata dei francesi a Napoli (1)

Napoli 1799. Cap. VI - L’entrata dei francesi a Napoli (2)

Napoli 1799. Cap. VII - Il Generale Championnet

Napoli 1799. Cap. VIII - La Repubblica Napoletana (1)

Napoli 1799. Cap. VIII - La Repubblica Napoletana (2)

Napoli 1799. Cap. IX - L’albero della Liberta’ (1)

Napoli 1799. Cap. IX - L’albero della Liberta’ (2)

Napoli 1799. Cap. X - Chiesa, santi e miracoli. E sullo sfondo il Vesuvio

Napoli 1799. Cap. XI - Anche il vesuvio s’e’ fatto giacobino

Napoli 1799. Cap. XII - I lazzari

Napoli 1799. Cap. XIII - Briganti e leggende

 

 

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