Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Napoli 1799. Cap. XII - I lazzari

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“Il lazzarone [1] non ha padrone, non ha leggi, è al di fuori di tutte le esigenze sociali: dorme quando ha sonno, mangia quando ha fame, beve quando ha sete. Gli altri popoli si riposano quando sono stanchi di lavorare:lui, invece, quando è stanco di riposare lavora… Il lazzaro non ha una ferma opinione politica.Si può dire innanzi a lui tutto ciò che si vuole del re, della regina o del principe reale. Purché non si parli male della Madonna, di san Gennaro o del Vesuvio, il lazzarone lascerà dire”.

I lazzari, secondo un’immagine dei viaggiatori del Settecento fanno parte dell’oleografia di Napoli, come il Vesuvio o san Gennaro. Di essi Montesquieu scrive “eccoli, questi esseri assurdi, cinquantamila-sessantamila straccioni che nulla posseggono e nulla si curano di possedere… sradicati, profughi da tutte le province del viceregno, vittime della rapacità spagnola perpetuata dagli stessi austriaci con un insopportabile inasprimento delle imposte”.

Il lazzaro, a modo suo, è profondamente religioso e credente.

Di uno di essi si racconta che, portato via dai Francesi per esssere ucciso, si sia messo a ridere dicendo:

“Cosa volete fare con i vostri fucili? Guardate…” e, togliendosi il berretto, scopre la fronte sulla quale sono incollate le immagini di san Gennaro e della Madonna. E nella convinzione dell’immortalità si offre al fuoco dei soldati.

Durante i giorni della rivoluzione del napoletana del 1799, insieme alla grande incomunicabilità di idee esistente tra gli intellettuali giacobini ed i lazzari stessi, si appprende che quest’ultimi usano anche un colorito linguaggio, incomprensibile per tutti quelli che non fanno parte della schiera. -Venite!- ordinò Luberg. S’arrestò davanti la porta sudicia d’un basso.Bussò tre volte, mormorando: -Mandre’, aràpe, So’don Carlo- .

Una voce pesante dietro l’uscio intimò:-Lo santo. Dice lo santo.

-Ma si me stai smiccianno da tre ore- sbuffò Lauberg- E va buono. Lo sciore.

Dopo un attimo la voce domandò:- Chi so’’sti jamme a ca vuto?

-Amici,Mandrie’.La roba è assai.Io solo non ce la pozzo fa’.

-Li bbane li tieni?

-Addo’va e famme trasi’.

-Ma che te puorte? La tenna a ca vuto?

-No è pecora. E’de lo bottone.

-La roba, mandrie’.

-Caccia li bbane.

-Quanto si’bacone! Tie’.

-Don Ca’, accossì non te pozzo mettere li lluce.

-Tu si’bachene, Mandrie’.Chisto era lo punto.

-Don Ca’, a porta’ sta rrobba s’arrisecano dieci cucuzzune. Stavota aggio avuta fa’’n’arta troppo tegnosa. So’bbinte.

 -Ceveze! Io te la meno pe’ ddoie e tu rispunne pe’quattro! Addò va e miette li lluce.

 -Don Ca’, sienteme bbuono. Chesta è l’urdema vota. Ccà tutta la compagnia non se fida cchiù.Vuie v’arricciate e lo Casalone s’è rignuto de jatte.Ccà nisciuno franzeia:sirene, puparuole, cammesielle.. Ccà si li gugliune smicceiano ca’sto jamme se ‘mbruscina co’bbuie,’nce sfonnano la cascia.

-Aggio puniato, Mandrie’. Mo caccia lo porciello.

-Li bbane ‘ncoppa a lo cinche de lo jammo, don Ca’.”

 

“Il popolo: una minacciosa incognita, una entità quasi astratta, metafisica; del quale ora i Borbone, ora i Francesi, ora i giacobini tentano di sfruttare gli umori, assecondandolo, blandendolo, minacciandolo, secondo le opportunità e i mezzi di cui disponeva, ma di cui ignorava ogni cosa, configurandoselo in immagini di comodo”.

Quando Ferdinando IV, con la sua corte, lascia Napoli per Palermo, i lazzari restano meravigliati e confusi e molti mormorano che, ormai, è impossibile fidarsi di un re bugiardo.Un re che ha attirato sul suo regno e sul suo popolo una grande calamità e che, ora, scappa da fellone.

Eppure i lazzari, nonostante tutto, insieme ai magistrati ed ai nobili, si recano ad implorare il re,perché non prenda la via della fuga. Inutile. Fronteggiati in malo modo, mentre i magistrati pensano di ritirarsi dai pubblici uffici e la nobiltà si preoccupa di mettere in salvo la pelle, i lazzari si persuadono di non dover  ubbidire più a nessuno e di essere diventati i padroni della città.

Disarmano, infatti, la guardia urbana; si uniscono, poi, ai soldati di Naselli, chiedono all’imbelle vicario Piagnatelli la consegna dei castelli. Si uniscono, infine, ai galeotti liberati dalle patrie prigioni.

Una banda di quarantamila sbandati tiene in scacco la città; un popolo che rinnega ogni comando e che diffida dei generali giacobini;una torma di affamati che affida il proprio destino ai colonneli Moliterno e Roccaromana, chiamati a salvare la patria da un’immane rovina.

Un editto avvisa che bisogna: “preparar guerra contro i Francesi e cominciarla quando necessaria;che volendo mantenere gli ordini interni e la quieta pubblica, la plebe è invitata a rendere le armi ai depositi per distribuirle con maggior senno ai difensori della patria e della fede; che i disobbedienti a queste leggi, nemici e ribelli all’autorità del popolo, saranno puniti per solleciti giudizi e immediato adempimento; al quale effetto si alzeranno nelle piazze della città le forche del supplizio”.

E’ il momento in cui i lazzari, in una situazione magmatica ed esplosiva, decidono di diventare un “freno” per gli eventi politici che vive la città. Non comprendono le idee giacobine, ed allora è meglio schierarsi a difesa del re, dell’autorità costituita, ed allontanare il pericolo che una scelta solo “idealista” potrebbe condurre alla forca!

Dopo il primo incontro della delegazione napoletana con Championnet, i sobillatori insinuano il dubbio che ci sia un accordo tra i Francesi ed i rappresentatnti del popolo. Immediatamente Moliterno e Roccaromana sono sfiduciati;ora i generali del popolo sono Michele Marino, il Paggio e Pagliuchella, tre lazzari che iniziano subito una notte di saccheggi e di violenze.

L’alba del 19 gennaio 1799 vede turbe innumerevoli di lazzari che presidiano la città e si preparano - senza mai smettere la caccia ai giacobini - a sostenere l’imminente scontro con le armi francesi. La furia violenta dei lazzari è frenata solo dalla processione di san Gennaro, voluta dal colonnello Moliterno, nell'intento, appunto,di placare gli animi della folla incandescente.

Il  20 gennaio l’esercito di Championnet entra in Napoli e si scontra con le truppe dei lazzari. La durissima battaglia si conclude dopo tre giorni. I morti sono innumerevoli. L’arresto del capopopolo Miche Marino,’o pazzo, blocca la furia dei lazzari ed opera un immediato sovvertimanto di valori.I Francesi, che rispettano san Gennaro, son venuti a liberare la città da un re traditore che ha precipitato la città in un abisso. Parola di lazzaro; parola di Michele Marino!

Ora è tutto un tripudio per i Francesi. Championnet ha i modi per ingraziarsi i lazzari, che ogni giorno gli inviano regali di sceltissima frutta.

La partenza di Championnet da Napoli provoca le prime falle.Già serpeggia la sfiducia tra i lazzari;tutto sommato, poi, l’avvento dei Francesi non ha prodotto grandi cambiamenti:

 

E’venuto lo Francese

Cu’ ‘nu mazzo ‘e carte in mano:

Liberté, Egalité, Fraternité,

Tu arruobb’’a me, io arrobb’’a te.

 

Il commissario civile Faypoult impone una nuova tassa di guerra; dichiara, poi, che tutte le proprietà di casa Borbone, comprese la fabbrica di porcellana di Capodimonte e le antichità di Pompei ed Ercolano, appartengono alla Francia!

Quando le truppe sanfediste del cardinale Ruffo stanno per giungere a Napoli, il generale Macdonald dice che non può considerarsi libero uno stato che ha bisogno di un esercito straniero per proteggersi, e che i napoletani non hanno bisogno di alcun aiuto per fronteggiare le bande del Ruffo. E’ tempo che Macdonald, dopo aver requisito trecento carri e cinquecento mucche per il trasporto dei bagagli, marci verso il nord, lasciando la città di Napoli. E’tempo che il popolo napoletano canti:                       

 

Signò,’mpennimmo chi t’ha traduto,

Priévete, muonace e cavaliere!

Fatte cchiù ccà, fatte cchiù llà,

Cauce ‘nfaccia a la Libertà! 

 

E quando, nel mese di maggio 1799, il governo provvisorio abolisce le tasse sulla farina e sul pesce, è già troppo tardi; la sfiducia ha messo radici ed i lazzari cantano:

S’è levata la gabella alla farina…

Evviva Ferdinando e Carolina!

 

Poi quando Ruffo è pronto a sferrare l’ultimo attacco,il popolo fa la scelta di campo.

“Già le orde del Ruffo disperavano de’loro sforzi, allorchè un tradimento de’nostri lazzari del Mercato fece perdere ai repubblicani quel punto così importante, che dirsi potea la chiave di Napoli.

Ecco, in sul cadere della sera, una gran folta di popolaccio con altissime grida di “Viva il re!” si avanza come onda impetuosa dalla parte del Mercato… Erano più di cinquemila lazzari armati nelle più strane fogge, i quali fecero sembiante di assalire alle spalle i combattenti del Ponte della Maddalena…Vedutisi così impensatamente investiti a tergo da quel terribile avversario, i repubblicani staccarono un corpo di mille uomini con cannoni per allontanare e disperdere quella selvaggia plebaglia.

A questo appunto miravano i lazzari.Veggendo venire al loro incontro quel corpo di repubblicani, si diedero tosto alla fuga; ma inseguiti, ne furono abbattuti più di 500  a colpi di sciabola e di moschetto… Cadde la Repubblica in quel dì nefasto”.

                                                            

                                                          



 

[1] Croce,a proposito dell’origine del termine lazzaro,cita l’abate Galiani ,che “pel primo mise innanzi la congettura che il nome fosse trasportato ai plebei napoletani dai “lebbrosi” o “lazzari”, detti così perché avevano per protettore san Lazzaro, ed erano curati in ospedali che perciò appunto si chiamavano lazzaretti.

E’ difficile, in ogni caso,immaginare perché il termine lazzaro,attribuito ai malati di lebbra,si sia,poi,allargato al significato di plebe.Ancora Croce,a tal proposito,ricorda che “nell’antico spagnolo si trova “laceria”, così nel senso di “lebbra” come in quello di “miseria”.I lazarillos erano,[…] los muchachos que se curan de la tina en los hospitales de san Làzaro […]Lazaro,poi,ha il significato di “pobre andrajoso”,cioè a dire di pezzente cencioso.Gli spagnoli,o i signori napoletani spagnoleggianti di lingua come di costumi,dovettero chiamare ripetutamente “turba di làzaros” i popolani laceri e seminudi che attorniavano Masaniello.E costoro,udendo quel nome al loro indirizzo,ignoranti […] del vero senso della parola,stimandolo nome di persona potente e grande,non solo non lo ebbero a male,ma di vantaggio se ne onorarono e fregiarono”. (B.Croce, Aneddoti e profili settecenteschi, Sandron editore,Milano 1914).

 

 

 

 

Napoli 1799. Cap. I - Il vento rivoluzionario (1)

Napoli 1799. Cap. I - Il vento rivoluzionario (2)

Napoli 1799. Cap. II - Come si vive a Napoli nel XVIII secolo

Napoli 1799. Cap. III - Il re Ferdinando IV di Borbone (1)

Napoli 1799. Cap. III - Il re Ferdinando IV di Borbone (2)

Napoli 1799. Cap. III - Il re Ferdinando IV di Borbone (3)

Napoli 1799. Cap. IV - La regina Maria Carolina d’Austria (1)

Napoli 1799. Cap. IV - La regina Maria Carolina d’Austria (2)

Napoli 1799. Cap. V - Il governo di Napoli dopo la fuga del re

Napoli 1799. Cap. VI - L’entrata dei francesi a Napoli (1)

Napoli 1799. Cap. VI - L’entrata dei francesi a Napoli (2)

Napoli 1799. Cap. VII - Il Generale Championnet

Napoli 1799. Cap. VIII - La Repubblica Napoletana (1)

Napoli 1799. Cap. VIII - La Repubblica Napoletana (2)

Napoli 1799. Cap. IX - L’albero della Liberta’ (1)

Napoli 1799. Cap. IX - L’albero della Liberta’ (2)

Napoli 1799. Cap. X - Chiesa, santi e miracoli. E sullo sfondo il Vesuvio

Napoli 1799. Cap. XI - Anche il vesuvio s’e’ fatto giacobino

 

 

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