Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Napoli 1799. Cap. XI - Anche il vesuvio s’e’ fatto giacobino

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La  sera del 23 gennaio 1799  il  Vesuvio, che da qualche anno sonnecchiava, si mostra con una fiamma lucentissima, proprio come chi si para a festa.

I repubblicani di Napoli mostrano l’eruzione ai lazzari ed interpretano il fenomeno come una partecipazione del vulcano ai fatti che si stanno vivendo nella città di Napoli.  “Il cielo e la terra applaudono alla nostra libertà, alla Repubblica ”.

Ed i lazzari con ingenuità aggiungono: “Pure ‘o Vesuvio s’è fatto giacobino.Viva la Repubblica!”

Non è la prima volta che la montagna di fuoco è additata come testimone di una personale simpatia politica. Già nel corso dell’eruzione del 1794, infatti, la famiglia Borbone guarda al Vesuvio, prima come ad un possibile alleato e poi come ad un avversario politico.

“Quando la notte del 12 giugno forte tremuoto scosse la città e rombo cupo e grave udivasi dalle viscere della terra,recava spavento ed indizio di vicina eruzione di fuoco del Vesuvio. Gli abitanti della città e borgate sottoposte al monte fuggirono dalle case aspettando allo scoperto il nuovo giorno,il quale spuntò sereno…

La notte del 16 giugno uno scoppio che diresti di cento e cento artiglierie chiamò a guardare il Vesuvio, e fu vista nella costa del monte, colonna di fuoco alzarsi in alto, aprirsi e per proprio peso cadere e rotolare su la pendice: saette lucentissime e lunghe si perdevano in cielo; globi ardenti andavano balestrati a gran distanza; il rombo sprigionato in tuono. Fuoco a fuoco sovrapposto, perciocchè lo sbocco era perenne, formò due lave, le quali con moto prima rapido, poi lento s’incamminavano verso le città di Resina e Torre del Greco”.

Nella notte una processione di uomini e donne conduce di fronte al Vesuvio la statua di san Gennaro in atto di comandare al Vesuvio di fermare la lava.

 

Le preghiere si fanno sempre più serrate: “Faccia ‘ngialluta! Accurre e stuta, sta’ vampa dell’inferno./ San Gennaro mio potente/tu scioscia chesta cenere e sarva tanta gente/da morte ‘e lava ardente…San Gennaro Miserere! Tu si ‘o nuosto protettore/San Gennaro,ora pro nobis,/Dillo a Dio a Cristo ai Santi/Che pentite simme nuie/che peccà chiù nun bulimmo/Grazia,grazia San Gennaro”.

L’eruzione cessa, non senza aver procurato morti e distruzioni. Dal popolo basso l’evento vulcanico è giudicato essere un castigo divino nei confronti dei cospiratori. La vendetta non tarda a consumarsi. Emblematico è l’episodio che vede protagonista  -suo malgrado- un povero demente, Tommaso Amato di Messina, che si è lasciato andare a qualche bestemmia, contro il re e contro Dio, nella chiesa del Carmine. E’un ottimo capro espiatorio da arrestare subito  e da condannare a morte, in quanto colpevole di lesa maestà divina e umana. Il corpo di Tommaso, perciò, non ha sepoltura sacra. L’episodio dà la possibilità ai preti di predicare contro i giacobini, che, in quanto nemici del re,  sono anche nemici di Dio.

Quando il Vesuvio ha cominciato a vomitare  fuoco, la famiglia reale ha abbandonato Napoli ed ha trovato riparo nella sicura Caserta. La regina Carolina, parlando col ministro Acton, si dice convinta di una speranza: “Oh,facesse il Vesuvio le nostre vendette e distruggesse quel covo di giacobini!”.

Quando i ministri portano la notizia che Napoli è salva per grazia speciale di San Gennaro, Ferdinando IV non si preoccupa di commentare: “Quale disgrazia! Teneva proprio sicuro di fabbricare la nuova capitale a Caserta. Si vede che fino il vulcano è fatto giacobino!”.

Per l’eruzione del gennaio 1799 il supplemento al numero 2 de “Il Monitore Napoletano” scrive:  “Il punto centrale dell’Impero ha data la commozione elettrica, che deve trasmettersi a tutti i punti i più lontani. Napoli ha veduto piantare nelle sue mura l’albero felice della libertà, presagio dei suoi destini. Lo stesso Vesuvio si è mostrato sensibile a questa grande rivoluzione politica, che dà l’esistenza ad un popolo, lungo tempo addormentato nel seno della tomba, ed i fuochi del Vulcano, che non erano comparsi da molti anni, han sembrato di voler aggiungere il loro splendore alla illuminazione di questa vasta Capitale”.

Ed ancora “Il Monitore Napoletano”, il 9 maggio 1799 (Decadì 20, Fiorile anno VII della Libertà, I della Repubblica napoletana), aggiunge: “Nel giorno seguente, tanto più ch’era domenica,tutti i pulpiti dovevano risuonare dell’avvenuto miracolo e della decisione del Cielo in favore della Repubblica: si doveva con questo congiungere gli altri due fatti, assai forti sull’immaginazione del popolo, che in un inverno prima, e poi piovosissimo, furono solo sereni i giorni dell'Armistizio di Capua alla pacifica entrata del generale Championnet; che diluviò sempre, e fu contrario in ogni guisa il tempo della spedizione di Ferdinando a Roma, che fu favorevole alla marcia de' Francesi in Napoli. Che il Vesuvio cheto dal 1794 in poi, gittò placida fiamma; e quasi di allegrezza le sere dell'illuminazione per la proclamata Repubblica”.

Carlo De Nicola, il lunedì 28 gennaio 1799, annota: “Questa sera si è illuminata per la quarta volta la città. E, come il Vesuvio, che dopo la eruzione strepitosa de’ 15 giugno 1794 che sotterrò la Torre, non aveva più dato segno di fumo, cominciò la prima sera dell’illuminazione a far comparire nuovamente le sue fiamme, sebbene senza strepito, così vi è stato chi ha dato alle stampe il seguente distico:   

                              

Championnetio summo Italicarum copiarum Imperatori

Dysticon

Urbs nocte illucet::flammas Vesuvius addit,

Quid natura comes plaudit et ipsa tibi

Civis Cajetanus Todiscus.

 

Il Vesuvio e Napoli sono un’unica e grande storia d’amore; una storia di passioni e sentimenti che rendono animate tutte le vicende delle genti e della città. “Sotto gli strati della storia, tutto parla d’amore. Secondo il folklore locale all’origine di molti luoghi napoletani c’è un’infelice storia d’amore.

Un tempo quei posti erano uomini e donne che, a causa di un amore infelice o deluso, subirono una metamorfosi e diventarono ciò che oggi vediamo. Anche il vulcano,Vesuvio era un giovane che vide una ninfa bella come un diamante. Gli scalfì il cuore l’anima: lui non riusciva a pensare ad altro. Col respiro sempre più ardente, le balzò addosso. La ninfa, scottata dalle sue attenzioni, si precipitò in mare e diventò l’isola oggi  chiamata Capri. A quella vista Vesuvio impazzì. S’ingigantì, i suoi sospiri di fuoco si propagarono, a poco a poco diventò una montagna.

E oggi, immobile come la sua amata, per sempre irraggiungibile, continua a eruttare fuoco e fa tremare Napoli. Come rimpiange la città indifesa che il giovane non abbia ottenuto ciò che desiderava! Capri giace nell’acqua,sotto gli occhi del Vesuvio,e la montagna brucia, brucia e brucia”.

D’altra parte la maestosità del vulcano non può che fa pensare a qualcosa che si anima. E se il Vesuvio è giacobino o antigiacobino, lo è perché racchiude i sentimenti di chi lo abita, di lo guarda, di chi lo scala. Non a caso i viaggiatori che hanno scalato la sua vetta, gli scrittori che descritto con minuzia ogni passo che su di esso hanno mosso, i pittori che si sono posti in osservazione della montagna di fuoco, hanno guardato il vulcano in tutti i suoi umori e l’hanno legato alla storia del territorio.

Sin dai tempi della Rivoluzione francese la richiesta intima è di vedere un Vesuvio in eruzione,perché dà l’immagine della forza,della ribellione,del trionfo della sommossa popolare. La nascita della Repubblica napoletana non è da meno. Il Vesuvio in eruzione è la conferma della partecipazione degli elementi fisici alla festa della rivoluzione; è la convinzione della giusta causa e la certezza che “pure ‘o Vesuvio è giacobino!”.

E’ come se il Vesuvio “prendesse parte alla rivoluzione, che operavasi sul fecondo suolo di Napoli. Parea che voless’egli dipingere sotto gli occhi degli abitanti i colori, di cui si dovesse ornare. Il fumo vicino alla fiamma era azzurro, il fuoco vulcanico rosso, e ‘l riverbero giallo”.

L’eruzione del Vesuvio è un segno del Cielo, tanto che fa dire ai Napoletani: “puro la montagna de Somma fuje obbediente a fa l’allomenazione pe tre ghiuorne, addonca ha fatto la festa lo cielo e la Terra” ed ai Francesi “le Vésuve a vomi des flammes et le sang de Saint Janvier a coulé:ces deux grands evenements ont fait chanter un Te Deum pour remercier l’Eternel de l’entrée des Francais dans Naples”.

 

Napoli 1799. Cap. I - Il vento rivoluzionario (1)

Napoli 1799. Cap. I - Il vento rivoluzionario (2)

Napoli 1799. Cap. II - Come si vive a Napoli nel XVIII secolo

Napoli 1799. Cap. III - Il re Ferdinando IV di Borbone (1)

Napoli 1799. Cap. III - Il re Ferdinando IV di Borbone (2)

Napoli 1799. Cap. III - Il re Ferdinando IV di Borbone (3)

Napoli 1799. Cap. IV - La regina Maria Carolina d’Austria (1)

Napoli 1799. Cap. IV - La regina Maria Carolina d’Austria (2)

Napoli 1799. Cap. V - Il governo di Napoli dopo la fuga del re

Napoli 1799. Cap. VI - L’entrata dei francesi a Napoli (1)

Napoli 1799. Cap. VI - L’entrata dei francesi a Napoli (2)

Napoli 1799. Cap. VII - Il Generale Championnet

Napoli 1799. Cap. VIII - La Repubblica Napoletana (1)

Napoli 1799. Cap. VIII - La Repubblica Napoletana (2)

Napoli 1799. Cap. IX - L’albero della Liberta’ (1)

Napoli 1799. Cap. IX - L’albero della Liberta’ (2)

Napoli 1799. Cap. X - Chiesa, santi e miracoli. E sullo sfondo il Vesuvio

 

 

 

 

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