Napoli 1799. Cap. VIII - La Repubblica Napoletana (1)

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La notte del 23 gennaio 1799 sono fatti scomparire tutti i cadaveri dalle strade e dalle piazze di Napoli. Ogni traccia della battaglia è cancellata. Il sangue, gli eccidi, il dolore e le armi, d’incanto, cedono il passo alla festa che si prepara per il nuovo giorno, per quel 24 gennaio, ricorrenza di due grandissimi eventi. Infatti, mentre il generale Championnet istituisce la repubblica napoletana, i Francesi celebrano il VI anniversario della loro repubblica e del supplizio di Luigi XVI.

Le armate francesi sfilano per le strade di Napoli. Championnet, circondato dal suo stato maggiore e da Michele ‘o pazzo con la divisa da colonnello francese, rende omaggio ai suoi soldati ed al popolo napoletano, che inneggiando - a sua volta -  alle gloriose armi d’oltralpe, ha già dimenticato che solo il giorno prima le ha combattute con furore e violenza.

Il duce francese si rivolge ai suoi soldati: “Il giorno 21 gennaio, sacro alla nostra repubblica pel supplizio di un tiranno, noi combattevamo con un altro tiranno:oggi che non vi è più guerra col forte popolo di Napoli,oggi è mio dovere ricordarvi l’anniversario della morte di un re spergiuro e del trionfo della repubblica.Cittadini giuriamo sull’armi odio eterno alla monarchia”.

Ventiduemila soldati francesi fanno rimbombare alto il grido del loro giuramento.

 

Anche il popolo napoletano, ammassato negli stessi posti che l’hanno visto combattere in difesa del sovrano scappato in Sicilia, grida “odio alla monarchia, morte ai Borbone”.

Terminata la parata militare, lo stato maggiore si porta nelle sale di San Lorenzo, luogo in cui sono riuniti i venticinque membri del governo provvisorio [1], nominati con pubblico editto di Championnet. Prende la parola il generale francese: “Cittadini, voi reggerete la repubblica napoletana temporaneamente; il governo stabile sarà eletto dal popolo.Voi medesimi costituenti e costituiti, governando con le regole che avete in mira per il novello statuto, abbrevierete lo stento che apportano le nuove leggi;e per questo pubblico beneficio vi ho affidato ad un tempo i carichi di legislatori e di reggenti.Voi adunque avete autorità sconfinata, debito uguale;pensate ch’è in vostre mani un gran bene della vostra patria,o un gran male;la vostra gloria o il disonore. Io vi ho eletto, ma la fama vi ha scelto; voi risponderete con la eccellenza delle vostre opere alle commendazioni pubbliche, le quali vi dicono dotati di alto ingegno, di cuor puro e amanti caldi e sinceri della patria.

Nel costituire la repubblica napoletana agguagliatela quanto comportano i bisogni e costumi alle costituzioni della repubblica francese, madre delle repubbliche nuove e della nuova città. E nel reggerla,voi rendetela della francese amica, collegata, compagna, una medesima. Non sperate felicità separati da lei; pensate che i suoi sospiri sarieno vostri martorj; e che se ella vacilla voi cadrete.

L’esercito francese che per pegno della vostra libertà ha preso nome di esercito napoletano, sosterrà le vostre ragioni, aiuterà le opere vostre o le fatiche,pugnerà con voi e per voi. E difendendovi, noi domandiamo null’altro premio che l’amor vostro”.

Un caloroso e commosso applauso saluta le parole di Championnet. Poi si alza Carlo Lauberg, capo del governo provvisorio: “Cittadino generale, certamente dono della Francia è la nostra libertà, ma istrumento del beneficio sono stati l’esercito e il suo capo; con minore valore, o con minor sapienza, o minor virtù, voi non avreste vinto esercito sterminato, dispersi popoli di furor ciechi, espugnate le rocche, superato il disagio del cammino e del verno. Sieno perciò da noi rese grazie alla repubblica francese; grazie agli eserciti suoi; grazie,generale, a voi, venuto come angelo di libertà e di pace.

In questa terra, da’petti nostri uscirono i primi desiderj di miglior governo, i primi palpiti di libertà, i voti più caldi per la felicità della Francia; in questa terra dai petti nostri fu dato il primo sangue alla tirannide; qui furono i ceppi più gravi, i martorj più lunghi, gli strazi più fieri. Noi eravamo degni di libertà; ma senza i falli della tirannia, ed il divino flagello che discaccia le coscienze agitate dalle perversità della vita, noi saremmo ancora sotto il dominio dell’Acton, della regina, di Castelcicala, di tutti i satelliti del dispotismo. Né bastavano i loro misfatti, perocchè la pazienza dei popoli è infinita; si volevano coi misfatti gli errori ed armi pronte a virtù punitrice.

Voi, generale, ci avete portato il governo per gli uomini, la repubblica; sarà debito nostro conservarla. Ma voi pensate ch’ella bisognerà, come tenera cosa che oggi nasce, di assistenza e di consiglio; ella è opera vostra, consigliatela, sostenetela. Se vedremo non esser noi uguali al carico sublime che ci avete imposto, lo renderemo in vostre mani; perocchè in tanta grandezza di opere e di speranze, scomparsi agli occhi nostri, noi stessi non abbiamo in prospetto che la felicità della patria.

Dedicati ad essa, per essa io giuro; e il governo provvisorio da voi eletto innanzi a voi, al popolo ed a dio ripeterà il sacramento”.

Tutti i membri del governo provvisorio gridano “lo giuro”.

Quindi è la volta di Mario Pagano che, rivolto al popolo che affolla la sala, dice: “Sì, cittadini, siamo liberi; godiamo della libertà, ma ricordando che ella siede sopra sgabello d’armi, di tributi e di virtù e che le armi in repubblica non riposano,né i tributi scemano, se la virtù non eccede. A questi tre obietti intenderanno le costituzioni e le leggi del governo.Voi, però che libero è il dire, aiutate gli ingegni nostri; noi accetteremo con gratitudine i consigli, li seguiremo, li seguiremo, se buoni.

Ma udite, giovani ardenti di libertà che quivi palesate per l’allegrezza che vi brilla negli occhi, udite gli avvisi di uomo incanutito, più che per anni, nei pensieri di patria e negli stenti delle prigioni; correte all’armi e siate nell’armi obbedienti al comando.Tutte le virtù adorano le repubbliche, ma la virtù che più splende sia ne’campi; il senno, l’eloquenza, l’ingegno avanzano gli stati; il valore guerriero li conserva. Le repubbliche dei primi popoli, però che in repubblica le società cominciano, erano rozze, ignoranti, barbare, ma durevoli perché guerriere. Le repubbliche di civiltà corrotta presto caddero, benchè abbondassero buone leggi, statuti; ma le infingarde avevano tollerato che le armi cadessero.

Perciò in voi, più che in noi, stanno le speranze di libertà. Il governo provvisorio nel dirsi legittimo e costituito, intende da questo istante ai debiti vostri, date i vostri nomi alle bandiere di libertà, che ravviserete dai tre colori”.

L’adunanza si scioglie. E’ festa ovunque. Ai lazzari si distribuiscono pani e denari; i banchetti proseguono sino a notte alta.A festeggiare sono tutti quelli che hanno patito la tirannide borbonica, ma anche la plebe che sino all’ultimo momento ha parteggiato per la monarchia.

Napoli, come la Francia, è libera e scopre il nuovo significato politico dell’uguaglianza. Anche se, a differenza della Francia, Napoli ha subìto la rivoluzione ed in un giorno ha sovvertito tutti i valori. E mentre il sovrano francese è scomparso con i suoi sostenitori, quello napoletano governa nella vicina  Sicilia, col sostegno dei nobili che  difendono i loro feudi e di gran parte del clero che teme la spoliazione dei monasteri  e delle chiese. E con l’aggravante che a condurre e gestire le fasi rivoluzionarie sono repubblicani, senza esercito, che si riferiscono ad un popolo senza ambizioni e senza conoscenze politiche. Così quando la plebe chiede cos’è la repubblica, Michele ‘o pazzo dà una risposta sensata ma piena di incognite: “se dicono che godremo sotto la repubblica diamo tempo a provarlo… Chi vuol far presto semina il campo a ravanelli e mangia radici; chi vuol mangiar pane semina a grano e aspetta un anno. Così è della repubblica: per le cose che durano bisogna tempo e fatica. Aspettiamo”.

E lo stesso Michele, richiesto dal popolo del significato della parola “cittadino”, risponde: “Non lo so, ma dev’essere nome buono perche i “capozzoni” l’hanno preso per se stessi. Col dire ad ognuno cittadino, i signori non hanno l’eccellenza e noi non siamo lazzari: quel nome ci fa uguali”. E quando qualcuno chiede il significato di “uguaglianza”, ancora Michele, molto semplicemente, azzarda una risposta: “Poter essere, come me, lazzaro e colonnello. I signori erano colonnelli nel ventre della madre; io lo sono per l’uguaglianza: allora si nasceva alla grandezza, oggi vi si arriva”.

 



[1] Il governo provvisorio è guidato da Carlo Lauberg; gli altri membri sono: Giuseppe Abbamonte, Giuseppe Leonardo Albanese, Pasquale Baffi, Domenico Bisceglie, Vincenzo Bruno, Giuseppe Cestari, Ignazio Ciaia, Francesco Conforti (per breve tempo al ministero dell’interno),Vincenzo De Filippis, Domenico Antonio De Gennaro, Melchiorre Delfico (trattenuto negli Abruzzi), Leopoldo De Rensis, Raffaele Doria, Pasquale Falcigni, Nicola Fasulo, Domenico Forges Davanzati, Giuseppe Logoteta (estensore del proclama costitutivo, prende il posto del rinunciatario Domenico Cirillo), Gabriele Manthoné (presidente del comitato militare), Antonio Nolli, Francesco Mario Pagano(presidente del comitato legislativo, si trova temporaneamente a Milano), Cesare Paribelli, Francesco Pepe (ucciso in Puglia mentre cerca di raggiungere Napoli), Diego Pignatelli del Vaglio, Vincenzo Porta, Giovanni Riario Sforza, Prosdocimo Rotondo (presidente del comitato finanze).

 

 

 

 

 

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