Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Napoli 1799. Cap. III - Il re Ferdinando IV di Borbone (3)

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A Palermo giungono, intanto, notizie sempre più allarmanti, ma il re Borbone poco si preoccupa; lo amareggia molto di più la notizia che i napoletani hanno saccheggiato i boschi reali, hanno razziato pesci e fagiani delle riserve di Sua Maestà.

Veramente non se ne dà pace: “E san Gennaro e san Francesco non fecero seccare la lingua a chi ordinò, e la mano a chi eseguì la strage dei miei fagiani e dei miei cervi!”.

Poi arriva la notizia che il 12 gennaio 1799 (giorno del compleanno del re), a Sparanise, è stato firmato l’atto della resa da parte del Vicario generale del re, Francesco Pignatelli di Strongoli, nei confronti dell’esercito di Championnet, a cui è versata anche una contribuzione di due milioni e mezzo di ducati. Il re giudica l’atto come un tradimento del Pignatelli,dimenticando tutte le sue personalissime responsabilità!

Anzi la notte del 17 gennaio il Pignatelli, sull’esempio del suo re, si imbarca per Palermo. Ed il 23 gennaio i francesi entrano in Napoli; il giorno precedente, il 22 gennaio 1799 (o, secondo il calendario riformato introdotto dalla Rivoluzione Francese [1], il 3 piovoso dell’anno VII), “I patrioti napoletani, poiché intendono ritornare alla loro libertà naturale e vivere in un governo democratico sulle basi di libertà ed uguaglianza… proclamano la Repubblica Napoletana”.

A questa notizia la collera del re “fu grande; non comprendeva come i suoi sudditi, da lui abbandonati, non avessero osservato più esattamente il loro giuramento di fedeltà. Era assai triste; il patrimonio di Carlo III era diminuito alla metà, il re delle due Sicilie ne aveva soltanto una. Nobiltà e borghesia avevano abbracciata con ardore la causa della rivoluzione; non rimanevano a re Nasone che i suoi bravi lazzaroni”.

Però a Palermo il re vive bene; la regina dice che: “è felice di essere salvo… fa delle gite, va a teatro, a caccia, ed è quello che si impressiona meno degli altri… Ahimè! Il pensiero di essere disonorati e disprezzati da tutta l’Europa mi uccide più delle mie perdite e delle mie disgrazie”.

Solo una controrivoluzione potrebbe  dare speranza di un sovvertimento politico. Ed è ciò che avviene quando il cardinale Fabrizio Ruffo – nominato sovrintendente da Ferdinando IV della fabbrica di seta di S.Leucio, dopo già essere stato tesoriere del papa Pio VI - si offre di mettersi a capo di truppe decise a difendere quella parte del regno non ancora caduta sotto il governo francese ed a riconquistare quella già diventata giacobina. E così il 25 gennaio il re firma un decreto che nomina il cardinale Ruffo suo vicario ed “alter ego” sul continente.

Le armate di Ruffo riescono, con innumerevoli proseliti, ad abbattere la repubblica napoletana.” Finalmente una mattina ricevette un messaggio con l’annuncio che il cardinale Ruffo era entrato in Napoli, che la repubblica partenopea venuta con Championnet se n’era andata con Macdonald, e che i repubblicani avevano ottenuto una capitolazione in virtù della quale consegnavano i forti, ma avevano in compenso salva la vita. La capitolazione era firmata da Foote per l’Inghilterra, da Keraudy per la Russia, da Bonnieu per la Porta e da Ruffo per il re”.

E solo a cose avvenute il re ritiene di poter tornare a Napoli. Lo fa nel mese di luglio,quando a bordo della fregata “Serena”, entra nel golfo di Napoli. Uno stuolo di barche va incontro e fa festa al re che ritorna. Sembra che niente sia successo e che la fuga a Palermo, i morti per la causa repubblicana siano solo un remoto ricordo.

Poi il sovrano borbonico sale a bordo della nave inglese “Foudroyant”, ne fa il suo quartiere generale. Sulla nave resta quattro settimane, il tempo utile ad impartire ordini per  il riordino dello Stato. “Prima legge riguardò l’annullamento delle capitolazioni. Seconda legge la nomina di una giunta punitrice de’ribelli, serbando ad altre ordinanze la dichiarazione de’delitti di maestà, le pene, il procedimento. Una giunta di stato, sin dalla resa dei castelli, era stata composta dal cardinal Ruffo, e già in breve tempo aveva condannato parecchi repubblicani… Terza legge rimetteva la colpa dei lazzari nel sacco dato alla reggia e soggiungeva, che vorrebbero i sudditi a quello esempio rimettere la colpa e la memoria dei danni sofferti nello spoglio della città. Altra legge scioglieva sette conventi ricchissimi degli ordini di San Benedetto e della Certosa,incamerando i beni a pro del fisco… Quinta legge ed ultima di quel giorno prescrisse lo nnullamento dei sedili e de’ loro antichi privilegi…”.

Nel corso delle quattro settimane il re si guarda bene dallo scendere in città; resta a bordo della nave a mangiare,far festa,pescare o sparare agli uccelli marini. Poi torna a Palermo; nella città siciliana si sente più tranquillo e vi è accolto da eroe.

Il tempo di Palermo è tempo di festa; i problemi di Napoli appaiono distanti. Tutta la corte pensa che Ferdinando dovrebbe decidersi a tornare nella capitale del suo regno, ma il Borbone ritiene di stare bene in Sicilia, dove  conduce una vita allegra con giochi d’azzardo, concerti e balli.

E da Palermo impartisce gli efferati ordini di morte – complice il rancore e l’odio antifrancese di Maria Carolina - contro tutti quelli che si sono resi colpevoli di tradimento nei confronti della monarchia. “Trasse le ordinanze per la giunta di stato, dichiarando rei di maestà, in primo grado, coloro che armati contro il popolo, diedero aiuto ai Francesi per entrare in città o nel regno; coloro che tolsero di mano ai lazzari il castello S.Elmo; coloro che ordirono col nemico segrete pratiche dopo l’armistizio del vicario generale Pignatelli. E rei di morte i magistrati primari della repubblica, rappresentanti del governo, rappresentanti del popolo, ministri, generali, giudici dell’alta commissione militare,giudici del tribunale rivoluzionario. E rei di morte i combattenti contro le armi  guidate dal cardinale Ruffo. E reo di morte chi assistè all’innalzamento dell’albero della libertà nella piazza dello Spirito Santo, dove fu atterrata la statua di Carlo III; e chi nella piazza della reggia operò o vide il distruggimento delle immagini regali o delle bandiere borboniane ed inglesi. E reo di morte que’ che scrisse o parlò ad offesa delle persone sacre del re, della regina, della famiglia. E rei di morte coloro che avessero mostrata empietà in pro della repubblica o danno della monarchia… Quarantamila cittadini, a dir poco,erano minacciati della pena suprema, e maggior numero dell’esilio”.

L’ultimo giorno del 1799, Carlo De Nicola annota nel suo diario:  “Siamo grazie al Signore Iddio all’ultimo giorno di questo per noi infausto e terribile anno, e non avessimo dovuto alzare la faccia dal suolo per rendere grazie all’Altissimo di avercelo fatto vedere terminato. Faccia la sua divina misericordia che col 1800 cominci per noi un’epoca più felice”. Ed il 1° gennaio 1800 continua: “Questa sera vi è stato per la città uno sparo uguale a quello della notte di Natale, ma solo nella prima ora. Ciò dimostra che la popolazione ha dato segni di ringraziamenti all’Altissimo, per averla salvata da quell’abisso in cui nel terminato anno avevala gittata la rivoluzione”.

Mentre numerosi patrioti continuano a morire per la causa repubblicana, gran parte della città di Napoli sembra già aver dimenticato la rivoluzione appena vissuta.

Il re è a Palermo, insieme alla regina, impegnato in feste, banchetti e condanne a morte. A Napoli i sanfedisti gridano: “a dispietto de li giacubine, quanno ne cacciano chesta mala schiattimma; ma nun ‘mporta, l’avimmo da fa’ fernì nuje; ha da passà Natale!”.

Il popolino canta:   Pe-pe-pe-piripè / Morte a tutti / Viva lo re.

 



 

 

[1] Con la Rivoluzione Francese subisce una trasformazione anche il calendario; i mesi vengono così chiamati: Vendemmiaio (settembre), Brumaio (ottobre), Frimaio (novembre), Nevoso (dicembre), Piovoso (gennaio), Ventoso (febbraio), Germinale (marzo), Fiorile (aprile), Pratile (maggio), Messidoro (giugno), Termidoro (luglio), Fruttidoro (agosto). La settimana, poi, è abolita e sostituita dalla decade; i giorni sono chiamati Primidì, Duodì, Tredì, Quartidì, Quintidì, Sestidì, Ottidì, Nonidì, Decadì. I cinque giorni che restano sono chiamati Sanculottidi (giorni senza calzoni) e sono detti sacri: il primo al Genio, il secondo al Lavoro, il terzo alle Azioni, il quarto alla Ricompensa, il quinto alle Opinioni.

 

 

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