La ‘Democrazia’ nelle Repubbliche Italiane di fine ‘700

Categoria principale: Storia
Categoria: Articoli sul 1799
Creato Giovedì, 01 Ottobre 2015 21:45
Ultima modifica il Lunedì, 05 Ottobre 2015 15:34
Pubblicato Giovedì, 01 Ottobre 2015 21:45
Scritto da Angelo Martino
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In Italia, negli anni che precedettero e segnarono il triennio delle Repubbliche democratiche, la Cisalpina, la Romana e quella Napoletana (1796-1799), il senso della democrazia rappresentò un urto violento. Al ruolo di sudditi subentrò prepotentemente quello di cittadini nelle idealità dei patrioti rivoluzionari che dibattevano di libertà ed uguaglianza.

Il concetto di democrazia animò la lingua di una politica non più teorica e limitata alla ragione di Stato, bensì legata al quotidiano problema del rapporto con le istituzioni vigenti. Il termine “democrazia”, con tutta la sua famiglia etimologica, divenne il lessema centrale nei discorsi pubblici e negli scritti dei patrioti rivoluzionari democratici di fine Settecento.

Giuseppe Compagnoni, costituzionalista e letterato del periodo, scrisse che, nel gergo della politica, la parola democrazia affermava un nuovo modo di visione della società in opposizione ai vecchi governi e del pari assorbiva i valori prima legati al lemma “liberale”.

Essere buon democratici assunse il significato di agire per la libertà e l’uguaglianza e nel contempo di lottare contro l’Antico Regime, che era la negazione assoluta di quei principi, già fatti propri dalla Rivoluzione Americana del 1776 e da quella francese del 1789.

La prima Costituzione Repubblicana Italiana, quella di Bologna del 1796, proclamava all’Articolo 1 che “i diritti dell’uomo vivente in Società sono la libertà, l’uguaglianza, la sicurezza, la proprietà”.

L’Articolo 2 chiariva che “la libertà civile consiste nel poter far tutto ciò che non è vietato dalla legge”, una definizione che risentiva del pensiero di Hobbes, ma era anche controbilanciata dall’enfasi repubblicana sull’autogoverno mediante l’attiva partecipazione dei cittadini.

I suddetti principi furono successivamente riaffermati e ben delineati dalla Carta costituzionale della Repubblica Napoletana del 1799 che, come scrisse Vincenzo Cuoco, fu “migliore la certo delle costituzioni ligure, romana, cisalpina”.

Il 'Progetto Costituzionale' fu opera di Mario Pagano e fece tesoro del grande patrimonio dell’illuminismo italiano, di cui Napoli  costituì  l’avanguardia.

La rivoluzione francese aveva avuto la sua innegabile valenza ispiratrice ma, rimarcando alcune specificità dell’esperienza italiana,  si evidenzia quella del contrasto al potere temporale della Chiesa Cattolica.

Nella prima Costituzione Repubblicana Italiana, quella di Bologna del 1796, il Senato, contrariamente al giusto pensiero dei rivoluzionari francesi, incluse, tra i doveri del cittadino, non solo “la conservazione della religione cattolica romana”, ma cercò di includere l’esclusione dei non cattolici dagli uffici pubblici.

La Repubblica Romana del 1798 fu più determinata nella concessione della libertà di culto; riconobbe la libertà civile agli ebrei, abolì il ghetto, suscitando il risentimento come sempre degli ambienti fanatici  che si espresse con la rivolta del 25 febbraio 1798 a Trastevere, dove fu più forte l’influenza delle gerarchie vaticane che ostacolavano il processo di libertà religiosa.
La stagione di graduale progresso verso la democrazia e i diritti civili fiorì soprattutto nella Repubblica Napoletana del 1799, ad opera di intellettuali che, pur consapevoli delle difficoltà da fronteggiare, si fecero paladini dei diritti costituzionali di fronte ai sovrani assoluti. Essi sono impropriamente definiti giacobini, ma in realtà furono democratici repubblicani, convinti assertori dei principi di libertà ed uguaglianza. Il triennio della Repubblica Cisalpina, Romana e Napoletana, dal 1796 al 1799, non ha nulla di ‘giacobino’, anzi nasceva e si definiva proprio contro Robespierre. Nel cuore dei democratici repubblicani italiani erano impresse due parole, libertà ed uguaglianza, che diventarono la ragione per cui vissero e per cui morirono.
Componente essenziale della loro formazione fu la tradizione nazionale, oltre a quella francese. Accanto a Montesquieu, Rousseau, Mably, ritroviamo riferimenti al pensiero anti-dispotico e repubblicano di Machiavelli, all’individualismo eroico di Vittorio Alfieri, allo storicismo di Vico, al magistero di Giannone, Genovesi e di Filangieri.
I repubblicani napoletani del 1799  sentirono l’esigenza di abbandonare la speranza in una sorta di programma riformatore calato dall’alto per intraprendere quel nobile percorso umano e spirituale, necessariamente rivoluzionario, di sostituire l’aristocrazia della nascita con l’aristocrazia dello spirito. Si sarebbe trattato di un processo continuo e incessante, necessariamente vincente, ma che avrebbe dovuto  fare i conti con le resistenze dei difensori dei privilegi aristocratici e feudali dell’Antico Regime.