Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Napoli 1799. Cap. I - Il vento rivoluzionario (1)

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La data del 14 luglio 1789,  con la caduta della Bastiglia,  segna la fine dell’ancien régime e la conquista  – da parte del popolo -  dei princìpi di uguaglianza,  libertà e solidarietà.

Tutte le monarchie europee sono preoccupate dalle notizie che arrivano dalla Francia e temono che analoghe sommosse di popolo possano sconvolgere la vita degli Stati e produrre un terremoto politico nel collaudato sistema, che riconosce potere assoluto al sovrano. Quando poi, negli immediati anni a venire, la Convenzione – l’organo che in Francia ha sostituito l’Assemblea Costituente -  stabilisce che è compito della stessa Francia rivoluzionaria soccorrere i popoli che intendano schierarsi contro i tiranni, in molti Stati nascono movimenti rivoluzionari sostenuti dall’esercito d’oltralpe nella lotta alle perduranti monarchie assolute.

I movimenti rivoluzionari, ovunque chiamati giacobini (dal nome del più radicale e rigoroso partito politico affermatosi durante la Rivoluzione Frandìcese), sono sostenuti dagli uomini di cultura e da vasti strati della borghesia.

In Italia le nuove idee, già in parte circolanti per il contributo delle logge massoniche (associazioni segrete di ispirazione illuministica), sembrano trovare terreno fertile e preoccupano non poco i regnanti che, nell’intento di difendersi dalle sfide repubblicane, pensano alla costituzione di una lega (di fatto mai nata) degli Stati italiani, che possa costituire un argine al pericolo giacobino ed alla sempre più interessata attenzione dell’Austria, già padrona del Lombardo-Veneto, alle vicende politiche nazionali ed internazionali.

 

Il Piemonte, anche per la vicinanza alla Francia, è subito pervaso dalle idee rivoluzionarie. Il popolo scende nelle piazze e reclama le libertà più elementari. Il re sabaudo Vittorio Amedeo III non solo non riconosce le richieste ma, per pronta risposta, inasprisce l’intervento della censura ed il controllo poliziesco. Quando poi nel 1792, allo scoppio della guerra che vede la Francia contrapporsi alle potenze rappresentanti del vecchio regime, le armate rivoluzionarie occupano Nizza e la Savoia, il sovrano sabaudo, filoaustriaco, rifiuta l’offerta di alleanza proveniente dalla Francia e resta schiacciato nella morsa degli eserciti francesi ed austriaci, che gli sottraggono prestigio, peso politico e territori. 

Il Regno di Napoli, nelle persone del re Ferdinando IV di Borbone, della regina Maria Carolina, sorella della ghigliottinata Maria Antonietta, e del primo ministro John Francis Acton, mal sopporta il vento giacobino e sposa prontamente l’idea di una lega antirepubblicana. Questo atteggiamento offre occasione alla Francia  perché, il 16 dicembre 1792,    guidata dall’ammiraglio Latouche-Treville, spedisca, nel golfo di Napoli, una flotta di 14 navi, col chiaro intento di intimorire il re Borbone e dissuaderlo dal considerare positivamente l’alleanza antirepubblicana. Nel 1794, in Sicilia, un gruppo progressista lavora all’idea di progettare una repubblica ispirata ai princìpi di uguaglianza. La scoperta del movimento rivoluzionario siciliano porta ad una dura reazione e ad una giustificazione del regime repressivo.

Non diverso, ostile, atteggiamento ha lo Stato pontificio. Il papa Pio VI, infatti, allarmato dal diffondersi delle idee rivoluzionarie, colpevoli di sovvertire l’ordine costituito e nemiche della religione, condanna i fermenti giacobini e, specie tra il popolino, avvia una ferma propaganda antifrancese, che porta la folla a trucidare  –nel corso di un tumulto-  il diplomatico d’oltralpe Ugo de Basseville.

Anche in Lombardia nascono fermenti rivoluzionari che tentano di minare il governo austriaco            -un vero regime-  ed il conseguente stato di polizia vigente.

Ferdinando III, granduca di Toscana, invece, non aderisce alla coalizione antirepubblicana e, quando è costretto a schierarsi, stipula con la Francia un trattato che gli conferisce uno status di non belligeranza. Il Granducato di Toscana, quindi, insieme alle Repubbliche di Genova  e di Venezia, è l’unico stato italiano a non prendere posizioni antirepubblicane ed antifrancesi.

Napoli è, invece, la città italiana dove le idee giacobine sembrano più facilmente attecchire.

Sin dal 1789, infatti, nella città partenopea l’Abate Antonio Jeròcades (1738-1791, scrittore e docente universitario) guida alcune logge massoniche di ispirazione giacobina, finalizzate ad un progetto politico di impianto repubblicano ed all’abbattimento del regime borbonico. Nello stesso periodo, poi, alcuni circoli filogiacobini  –uno, in particolare, il club Sans Compromision fondato da Ignazio Ciaja (uomo di lettere, nato nel 1762 e giustiziato a Napoli nel 1799)-  propagandano le nuove idee politiche, ne diffondono la filosofia ed invitano alla lettura dei giornali, che clandestinamente arrivano dalla Francia.

Le idee rivoluzionarie sono, quindi, radicate in Napoli e si rafforzano in occasione degli scambi culturali che gli intellettuali del luogo intessono con i francesi di Latouche-Treville, costretti a restare a lungo nel golfo partenopeo, perché impediti dal prendere il largo dal mare in tempesta. E’il periodo in cui nasce anche la Società patriottica, diretta dal frate scolopio –oltre che patriota e scienziato- Carlo Lauberg (1762-1834), che, contando sull’appoggio della Francia e sulla partecipazione del popolo, prevede un’insurrezione di massa contro il regime borbonico.

Con questi presupposti  nascono le prime repressioni  e la polizia di Stato opera i primi arresti. E’il 1793. Il primo congiurato a varcare le prigioni borboniche  ed a salire, subito dopo, al patibolo è Emanuele De Deo, che, con Vincenzo Galiani e Vincenzo Vitaliani, saranno gli unici patrioti ad essere condannati a morte.

Il popolo grida: Giacobbe ‘e merda!…Morte a li giacobbe…viva ‘o re!

L’anno dopo, nel 1794, si scioglie la Società patriottica di Lauberg, che, frattanto, è riuscito a riparare lontano dal regno.

Ma non tutti si rassegnano  ad abbandonare la lotta; infatti, si ricostituiscono subito due club: il Lomo (Libertà o morte), di ispirazione moderata e tendente ad immaginare qualche concessione da parte della monarchia, guidato da Andrea Vitaliani ed il Romo (Repubblica o morte), che, guidato da Rocco Lentini, è più radicale nelle idee e nelle aspirazioni.

La ricostituzione dei club fa rinascere la voglia di libertà. I circoli fanno nuovi proseliti. Non mancano i delatori, che offrono alla polizia la possibilità di attuare una nuova repressione. Anzi per giudicare i neogiacobini si istituisce una Giunta di Stato, alla quale si demanda il compito di irrorare severe condanne a tutti quanti sono riconosciuti sovversivi dopo le indagini mosse dalla Giunta di Inquisizione. Tra gli avvocati  che assumono la difesa degli imputati si distingue Mario Pagano (giureconsulto e uomo politico, nato nel 1748 e giustiziato a Napoli nel 1799).

 

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