La Sicilia in armi contro i Borbone

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Il ruolo giocato dalla Sicilia durante le fasi conclusive dei processi risorgimentali ottocenteschi non fu soltanto di tipo militare e logistico (colpire il Regno delle Due Sicilie senza violare i territori pontifici),  ma anche politico, ideologico e simbolico. Come osservato dallo storico  Giuseppe Astuto nell’opera "Garibaldi e la rivoluzione del 1860", la Sicilia fu, infatti, la “polveriera “ da cui ripartì quel movimento d'opinione ostile al dispotismo borbonico che mai si era sopito, nonostante le feroci azioni repressive attuate da regime (si veda ad esempio il massacro di Messina del 1848).

Contrariamente a quanto suggerito da una certa pubblicistica, senza dubbio approssimativa e superficiale, che vuole il Risorgimento opera di un' élite distante dal sentire collettivo, si trattò invece di un fenomeno ampio e diffuso, che vide il coinvolgimento e la partecipazione delle classi sociali nel loro insieme e senza differenze.

Nell'ambito di questo breve contributo storiografico, è stato scelto di riportare alcuni passaggi tratti da missive, telegrammi, dispacci o considerazioni dell'establishment borbonico che testimoniano e provano la preoccupazione del Regno appunto per il risveglio dell'elemento popolare contro la tirannia di Francesco II, ultima scoria dell'imperialismo spagnolo nel Vecchio Continente. Dai brani, emerge anche l'importanza di Giuseppe Garibaldi per le folle meridionali; anche questo dato sarà funzionale alla destrutturazione di uno dei pilastri dell'architettura revisionistica antiunitaria, che cerca di assegnare all'Eroe dei Due Mondi la patente di despota ed oppressore al soldo di Torino.

“La Sicilia, fatta certa della protezione del Piemonte, è profondamente agitata; e Palermo , il cui spirito è stato, in tutti i tempi, ostile al Reale governo, oggi attualmente compromesso, arde dal desio di rivoltarsi , e non aspetta per insorgere che l'apparizione di Garibaldi, che trovasi forse a due giorni da Palermo.

Siccome ho sommesso nei rapporti ufficiali oggi, è tutta la popolazione, che domanda mutazione di Stato, e la paura delle vendette rivoluzionarie fa che anche gli onesti si mostrino avventati.

E' così fermo il proponimento della rivolta, che tacitamente sono stati avvisati tutti quelli che nel 1848 componevano la Guardia nazionale di tenersi pronti al primo avviso, per mantenere l'ordine nella città, mentre il popolo attaccherà le Reali truppe.

Allo scendere di Garibaldi nel bacino di Palermo, che trascina con sé al suo passaggio tutti gli insorti dei paesi, comincerà una terribile battaglia, nella quale le truppe di S.M si troveranno di fronte ad un nemico gagliardo, ed ai fianchi e alle spalle altro più insidioso e assai numeroso, il quale, traendo vantaggio dalle località, e dal coverto delle offese farà macello dei soldati del Sire, alle porte di Palermo si deciderà la sorte non solo della Sicilia, ma della monarchia. I rivoluzionari dicono che, vittorioso Garibaldi in Palermo, senza occuparsi di altro correrà nelle Calabrie, con i suoi Cacciatori delle Alpi, e con un buon numero di Siciliani per mettere in fiamme nelle province, e marciare sopra Napoli; impresa non ardua, se quell'avventuriere si avesse un primo successo, che affretterebbe il morale delle truppe. Oggi sventuratamente la peste delle idee sovversive ha contaminato le popolazioni, e la fede antica delle Calabrie è profondamente scossa. Il nome solo di Garibaldi basta per sospingere una rivoluzione” (Lettera del capo della Polizia borbonica Salvatore Maniscalco al ministro dell'Interno, 13 maggio 1860).

 “La ritirata di Catalafimi della colonna del generale Landi ha esaltato gli animi, e stamani la città è in grande fermento; ha un aspetto sinistro, manifestandosi dei sintomi della rivolta. Questa ritirata, sfigurata ed esagerata dai faziosi, è stata giudicata come un gran disastro, e grandi speranze e grande audacia ne è venuta agli agitatori. L'insurrezione sembra imminente. Tutti i paesi dei dintorni di Palermo sono in armi, ed aspettano l'arrivo della banda straniera per irrompere.” (Lettera del capo dell'esercito borbonico Gen.Ferdinando Lanza al ministro dell'Interno, 17 maggio 1860).

 “Tutta Sicilia ribellata , rotti telegrafi, strade vietate, corrieri uccisi, mancar vettovaglie. Palermo star sul ribellare. Sarebbe gran ventura potersi ritirare a Messina, per mare o per terra” (Telegramma di Lanza al ministro dell'Interno, 18 maggio 1860).

“Palermo era già in rivoluzione morale; sui cantoni vedevi annunci di vittorie garibaldesche, incitamenti ai soldati per disertare, e ai cittadini per sollevarsi; porte, botteghe, officine chiuse, uffici deserti, tribunali vuoti , non disordine né ordine, parea sospesa la vita sociale” (Giacinto de Sivo, "Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861).

ndr: la decisione di attingere a fonti borboniche garantirà l'assoluta terzietà della panoramica storiografica.

 

 

 

 

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