Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Ricordando i Mille: il capitano Francesco Anfossi

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I 1089 uomini che guidati dal generale Garibaldi fecero da miccia e da traino alla rivoluzione siciliana del 1860, furono  degli eroi idealisti, dei valorosi combattenti che anteposero  l’unità degli italiani,  in cui credevano e per cui lottavano, all’interesse personale ed alla loro stessa vita.

Ma non tutti poterono rispecchiarsi in questo quadro, che sicuramente è fondato e comune a quasi tutti quelli che vissero quegli avvenimenti. In effetti vi è un personaggio dimenticato dalla storia ed escluso dai successivi riconoscimenti, medaglia al valore e pensione, che proprio all’iconografia dei Mille sembra non appartenere. Si tratta di Francesco Anfossi, nato a Nizza - come Garibaldi - nel 1819 e moto a Genova nel 1890.

Anfossi era stato un ufficiale dell’esercito piemontese che aveva combattuto la Prima guerra d’Indipendenza nel 1848 come volontario in un corpo da lui stesso organizzato. Aveva anche un fratello, Augusto, che era caduto nella insurrezione delle Cinque giornate di Milano (18-22 marzo), episodio cardine, ma non risolutivo del Risorgimento italiano.

Ma già in questa guerra Anfossi ed il suo reggimento non avevano dato prova di valore. Tutt’altro. Sette delle otto compagnie che componevano il reggimento si erano date alla fuga alle prime avanzate austriache, lasciando ad altri il peso di contrastarne le forze avversarie. Non solo: il colonnello Anfossi era stato accusato di avere fatto razzia di oggetti di valore in un palazzo nobiliare e di avere contribuito fattivamente all’ insubordinazione delle truppe poste sotto il suo comando, ragioni per le quali fu arrestato e tradotto presso il Castello Sforzesco di Milano.

 

La sua prigionia, tuttavia, non durò molto. Venne liberato il 7 agosto del 1848 dopo la riconquista austriaca della città. Con il ritorno del vecchio governo, per il principio “i nemici dei miei nemici sono miei amici”, i procedimenti giudiziari a suo carico decaddero; Anfossi riottenne la libertà,  ma  senza essere reintegrato nell’esercito sabaudo.

In una sua  memoria difensiva datata 1851, cercò di confutare le accuse a suo carico, ma finì “pari e patta”: non fu riabilitato, ma nememno condannato.

Nel 1859 scoppiò la Seconda guerra d’Indipendenza fra il Regno di Sardegna sabaudo, fiancheggiato dalla potente alleata Francia, e ancora l’Austria.

Garibaldi creò il corpo dei Cacciatori delle Alpi, ottenendo da solo le più importanti vittorie delle poche ottenute dai piemontesi.

Anfossi si propose nuovamente, ma fu ancora respinto.

L’ultima chance però gli fu concessa dal suo concittadino Garibaldi che lo arruolò  un anno dopo nell’impresa dei Mille con il grado di capitano.

Ma anche stavolta il capitano Francesco Anfossi non rese un buon servigio alla causa.

Durante un assalto della battaglia di Calatafimi, combattuta il 15 maggio del 1860 dai Mille, fiancheggiati da circa 500 “picciotti” siciliani, contro circa 3000 soldati borbonici, immaginando la sconfitta dei garibaldini contro truppe soverchianti, Anfossi abbia abbandonò il campo, nascondendosi in una casa.

Come finì è noto: Calatafimi fu la prima di una serie di entusiasmanti vittorie che in pochi mesi portarono all’Unità d’Italia e che crearono il mito dell’invincibilità del Generale.

Il capitano Anfossi fu immediatamente esonerato dal comando da Garibaldi stesso che, dando prova ancora una volta della sua generosità, non volle processarlo, ma lo fece rispedire al suo luogo di provenienza.

Al capitano  non fu concessa né la medaglia commemorativa né la piccola pensione di cui beneficiarono tutti i Mille partecipanti all’impresa.

Visse gli anni successivi fra Torino, Nizza e Genova, spegnendosi nel 1890 nella città ligure, senza onori e dimenticato dalla storia.

La Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia dell’1 ottobre 1878 così riportava: «Anfossi Francesco, fu Giuseppe, nato a Nizza (mare) nel 1819, escluso dall’onore della medaglia e dal diritto alla pensione».

 

 

 

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