I 'Principi del Codice Penale' di Francesco Mario Pagano

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Gli illuministi del Settecento per arginare il grande potere di uno Stato accentratore ebbero il coraggio di proporre nuove riforme, dove si potevano rappresentare in pieno gli ideali umanitari di libertà e di giustizia.

La ventata riformatrice fu fondamentale  e concreta per la difesa della libertà dell’individuo e nell’affannosa ricerca di un punto di equilibrio, a quei tempi ancora instabile, tra la difesa della società contro il delitto ed il rispetto dei diritti del cittadino, i riformatori illuministi, pressati dall’esigenza di distruggere il passato sistema, avvertirono il bisogno di dare risposte pronte ed immediate, attraverso un programma di politica giudiziaria di pratica attuazione, diretto a scardinare un’impalcatura giuridico-sociale in cui prevaleva il dispotismo accentratore, con il totale annientamento dei diritti dell’individuo.

 

Dall’Introduzione de ‘I principi del codice penale’ di Francesco Mario Pagano.

“La felicità delle nazioni non germoglia che alla benefica luce di una saggia legislazione, che l’anima e la feconda. Ma le savie leggi degli uomini son quelle soltanto che si conformano agli ordini esterni della natura. La felicità è un dono che porge questa madre comune a coloro, che premono le orme sue e si conformano agl’immutabili suoi doveri. Ma qual parte della legislazione nel ben essere degli uomini ha influenza maggiore della criminale.

Ella stabilendo le giuste pene alle ingiuste azioni degli uomini, produce la sicurezza, genera la tranquillità fonte dell’umana felicità, oggetto primo di ogni politico associamento. I sacri ed inviolabili diritti dell’uomo, ed il libero esercizio di quelli dalle leggi criminali vengono custoditi e difesi: ed allora secondo la natura si vive e godesi il premio della felicità, quando liberamente adopriamo i nostri dritti, che vale a dire, quando facciasi un regolato uso delle naturali facoltà. Ma d’onde mai tanta indifferenza per lo più interessante oggetto, tanta negligenza per quello che merita le nostre più vive cure? Gli uomini cercano ogni ora la loro felicità, ma volgonsi a cercarla ov’ella non è.

La cercano per que’mezzi sovente; che ad essa non conducono; e tenendo dietro ad inutili e stranieri oggetti, perdono di vista il proprio e necessario. Ma è tempo ormai che si scuota questo mortal letargo, in cui giacque l’umanità per secoli sommersa; che aprendo gli occhi conosca i fallaci spettri che la circondano, i vani studi che l’occupano, e si appigli a’suoi solidi e veri interessi. Fissiamo lo sguardo nel codice della natura. I codici degli uomini siano di quello gl’interpreti fedeli.

I delitti e le oneste azioni non sorgono dal capriccio, non vengono stabiliti dall’opinioni degli uomini. Invariabili e soggetti a certe leggi, come l’azione degli esseri tutti, non si cangiano secondo i gradi di latitudine, non prendono diversa forma secondo i costumi e le circostanze locali. Le pene, come i premi son le necessarie e proporzionate conseguenze de’delitti, e delle virtuose azioni. La legge sociale sviluppa e non altera, perfeziona e non muta la natura dell’uomo ed i vari suoi rapporti cogli esseri dell’universo.

Ora siffatti eterni, ed immutabili principi del codice penale ho tentato ritrarre da quell’eterno esemplare della natura, ed oso presentarli a’legislatori delle nazioni. ma quando sarà mai, che le leggi promulgate dagli uomini sono conformi a quelle dettate dalla natura? Allora per avventura un solo ed universale codice delle nazioni adottato, sarà soltanto diverso per le varie lingue nelle quali verrà tradotto, e per alcune picciole differenze locali.

Allora la sicurezza e la felicità degli uomini diverrà tanto certa, quanto la verità, tanto stabile, quanto la natura. Ed allora le fatighe de’filantropi filosofi saranno benedette e coronate dalle nazioni e da’sentimenti della pace e tranquillità. Ormai i miei lunghi lavori hanno abbracciato le parti tutte della ragion criminale delitti, pene, pruove, ordine di acquistare queste ed imporre quelle: ecco l’intero soggetto di tal nobile parte della politica giurisprudenza. Rimarrebbe soltanto ad abbozzare un codice di polizia. Prevenire i delitti, anziché punirli; conservare intatta la pubblica tranquillità, piuttosto che turbata rimetterla, difendere il cittadino dall’insulto, più che vendicarlo dall’offesa, spegner le cagioni, e non attender gli effetti del delitto, è l’oggetto del codice di polizia.

Vedere la connessione di questo col codice penale, fissare i limiti dell’uno e dell’altro, e le diverse loro funzioni prescritte dalla comune norma della libertà civile, è il problema che si deve in una savia costituzione risolvere. A me manca e il tempo e la forza per eseguire tanto disegno. Mi basta di aver tentato di spargere i miei deboli lumi sulla parte penale e sul processo.

Se colle mie fatiche e coll’esempio almeno, che desti i più felici ingegni, avrò alla mia patria qualche giovamento recato; questo dolce e caro sentimento formerà la felicità del resto de’ miei giorni. Sogliono coloro, i quali imprendono ad esporre o scienza o arte, premettere l’elogio di quella. Il qual costume è senza dubbio lodevole assai per infiammare gli animi di quelli, che vogliono apprendere quella facultà, ad adoprare attenzione, e studio.

Ma da altra parte com’è mai possibile lodare ciò, che non si conosce, ed esporre i pregi di ciò, che si ignora? E perché i più belli elogi o delle scienze o delle arti, ovvero di quelli, che con gloria coltivate le hanno, si versano a dare dei prospetti generali di quelle sì fatte scienze, ed arti, o pure un’analisi generale delle opere di quei grandi uomini, che le hanno illustrate. Convien per altra ragione ancora premettere un quadro, generale della facultà che si espone.

Perciocché egli di mestieri far conoscere lo stato di quella tale facultà, gli autori, che l’hanno illustrata, e ciò, che vi manca, o vi possa aggiungere. Qual metodo Bacone da Verulamio, Leibniz, e d’Alembert hanno a proposito eseguito per tutte le scienze, le quali formano il mondo intellettuale. Per l’una, o per l’altra ragione conviene dar prima di ogni cosa una idea generale della Giurisprudenza Criminale, della quale noi esporremo le principali teorie ne’principii del Codice penale.

Ma non si può presentare un quadro della Giurisprudenza Criminale senza offrir prima un generale e passaggiero aspetto della Giurisprudenza tutta: avvegnaché non si possa formare idea della parte, se non abbiasi almeno una confusa idea del tutto. La Giurisprudenza è la scienza delle leggi, sien divine, sieno umane. Ella dicesi Prudenza, poiché il G.C., come tutti coloro, che hanno per oggetto la pratica, deve adattare la teoria a’casi particolari: ciò ch’è l’opera del buon senso, vale a dire della Prudenza.

Or poiché la Giurisprudenza è la cognizione delle leggi, tante saranno le parti della Giurisprudenza, quante sono le specie diverse delle leggi, per classificare le quali convien prima di ogni altra cosa formar una idea generale e netta della legge. Più esatta, più bella definizione della legge dar si può di quella, che ne dà Cicerone ne’suoi divini libri delle leggi.

La legge, egli dice, è la ragione universale di Dio, della quale partecipano gli uomini e gli esseri tutti ragionevoli, la quale vieta le cose, che non debbonsi fare, e comanda quelle, le quali hansi a fare. Tutto ciò, che la legge non vieta, permette; e ciocché permette è appunto la facoltà, che accorda la legge, vale a dire la facoltà morale, o legale, e questo appunto è il diritto. Ciocché poi impone la legge è obbligazione, o sia una necessità morale, o legale.

La legge adunque comprende diritti ed obbligazioni; descrive i diritti, addita le azioni vietate, che sono i delitti, e dimostra le obbligazioni, che sono gli uffici e i doveri. Differente non è dall’anzidetta la nozione, che altrove abbiamo data delle leggi. Essa si è la direzione, e limitazione delle azioni degli esseri ragionevoli ad oggetto di stabilire l’ordine, e conservare per mezzo di quello le diverse specie, secondo il fine della natura. Sì fatta definizione è nel fondo la medesima, che quella di Cicerone; poiché la suprema, ed eterna ragione, che Tullio chiamò legge, è appunto l’intelligenza di così fatt’ordine morale, e dell’anzidetta direzione, e limitazione delle operazioni degli esseri ragionevoli.

Così fatta legge dicesi divina, e naturale; divina per l’autore, naturale per lo mezzo, onde viene agli uomini comunicata. Perciocché ella viene scolpita nel cuore degli uomini tutti, o per mezzo di quelle eterne nozioni, che Platone, e Leibnitz suppongono infuse nello spirito di ciascun uomo, o per mezzo di quelle verità eterne, che sono secondo Aristotele, e Loke il prodotto dello sviluppo delle naturali facultà dello spirito umano. Siffatta legge naturale, e divina per i varii suoi rapporti dividesi in diverse specie.

S’ella si considera relativamente a ciascun uomo, si può chiamare legge naturale inostatica: se mai venga considerata per rapporto alle famiglie, ed agli individui di esse, si può dire legge naturale economica; se mai venga adattata alla società, si può dire legge naturale politica, ossia Dritto politico; se mai si rapporti ai diversi corpi politici, ossia alle relazioni di nazione e Nazione, dicesi Dritto delle genti.

La legge umana o positiva vien così detto per contrapposto alla anzidetta, in quanto che la sua origine proviene da’Legislatori umani, ed è promulgata non già per lo senso interno, ma per gli esterni. Ma nel fondo altro non è, che le conseguenze, e l’adattazione dello stesso dritto naturale alle società diverse. E saggiamente l’immortale Grozio chiamò il dritto positivo Dritto naturale ipotetico; poiché è il dritto medesimo della natura, che viene stabilito dalla medesima, dato un fatto, cioè stabilito le società.

Ed elegantemente il Dritto civile vien chiamato la ragion civile; poiché è una derivazione di quella eterna, ed immutabile ragione, della quale partecipano gli uomini, che la sviluppano gli umani Legislatori, quando stabiliscono le leggi positive.Or conviene distinguere le specie diverse di questa civile ragione, la di cui cognizione forma la Giurisprudenza.

Questa civile ragione o riguarda la formazione del corpo sociale, ne descrive l’ordine, i magistrati, i pubblici giudizi, e la pubblica economia; e forma allora il Dritto pubblico; o rimira i diritti de’privati, cioè la proprietà; e forma quello, che propriamente dicesi Dritto civile, e Dritto privato. Havvi un’altra specie di dritto positivo, ed è propriamente quello, che Grozio chiama Dritto delle genti positivo, che nasce dalle convenzioni, e dalle opinioni sparse in tutte le nazioni; dritto, che a torto impugnano i Coccei.

Or il Dritto pubblico raggirandosi principalmente a mantenere la pubblica tranquillità, e l’ordine sociale, si può in tre parti dividere. La prima comprende la descrizione de’Magistrati, e delle loro funzioni. La seconda abbraccia le leggi economiche, e quelle di educazione. La terza finalmente il Dritto criminale, il quale principalmente è diretto a stabilire la pubblica tranquillità ch’è il principale oggetto della società. Or del Dritto criminale tre sono gli oggetti, ed in conseguenza tre sono le parti.

Perciocché le Leggi criminali o numerano i delitti, e le proporzionate pene: e ciò forma la prima parte: ovvero fissano le prove richieste a dimostrare i delitti; e questa è la seconda parte: o finalmente prescrivono l’ordine de’giudizi criminali, vale a dire il processo; e quest’oggetto è compreso nella terza parte.Vede ciascuno dalla esposizione dell’oggetto del Dritto criminale quanto sia la sua importanza. Quanto importa la pubblica tranquillità, la sicurezza nostra, della nostra famiglia, de’nostri amici, e de’nostri concittadini, di tanta importanza si è la ragion criminale. Presso gli antichi, cioè presso i Greci, e i Latini non s’era formata una particolare scienza del dritto criminale.

Molte cose intorno ai criminali giudizi, e soprattutto intorno alle prove ritrovansi acutamente disputate presso gli antichi Retori, e principalmente nella Rettorica di Aristotele, nelle Opere oratorie di Cicerone, e nelle Oratorie istituta di Quintiliano. E le medesime Orazioni di Demostene, e di Cicerone, sono una ottima scuola dell’uso, che debbasi fare degli indizi, ed argomenti ne’giudizi criminali.

I Romani G.C., come rilevasi dai frammenti, che restano ancora nel libro 47 e 48 del digesto, scrissero molti trattati particolari, o su di ciascun delitto, ovvero su i giudizi capitali, oppure su i testimoni, e le prove. ma non sappiamo, che alcun di loro avesse formata una generale istituzione del Dritto Criminale; e meno, che avessero ridotte le prove a generali, e scientifici principii.

Bisogna confessare nulla di meno, che ne’frammenti, che ci restano, ritrovansi le dottrine le più belle ritratte dal seno della più profonda Filosofia. La precisione, e nettezza del di loro stile unita ad una nobile brevità ci offre un genere di stile, intrattato dagli altri autori e Greci e Latini. La di loro maniera di dimostrare venne encomiata dallo stesso gran Leibnitz, il quale affermò, che nelle cose morali i soli G.C. Romani aveano tra gli antichi adoperata una esatta dimostrazione. Rivolgendoci a tempi moderni, la Giurisprudenza Criminale è un composto di differenti pezzi.

 Le Leggi Romane comprese ne’citati libri 47 e 48 del Digesto, e nel nono libro del Codice; parecchie massime dal Dritto Canonico prestate; alcune opinioni generalmente adottate, nè richiamate ad esame; molti usi forensi per consuetudine; dottrine de’Forensi su le autorità de’Predecessori fondate; formano il molteplice e discordante corpo della Giurisprudenza Criminale, quasi universalmente seguita; e per noi privatamente le Costituzioni del Regno, i Capitoli de’Re Angioni, e le susseguenti Prammatiche degli Aragonesi, e degli altri augusti Sovrani, accrescono di molto il vasto corpo della Giurisprudenza Criminale.In questo secolo la face della Filosofia incominciò a rischiarare le tenebre del Foro.

 Il primo sì fu l’Autore dello spirito delle leggi , cioè il celebre Presidente di Montesquieu, a gittare lo sguardo filosofico su la Giurisprudenza Criminale. Il celebre Marchese Beccaria ex proposito nel lib. de’delitti e delle pene molto famoso in Europa, richiamò ad esame molte dottrine ciecamente seguite nel Foro.

Una folla di scrittori seguirono le orme di questi valenti uomini. Ma a dire il vero benché molte vedute piene di filosofia, e di umanità si scorgono nelle opere loro; tutta volta non mostrano sempre molta cognizione delle Leggi, e del Foro, e sovente la di loro analisi non è nè molto esatta, nè molto profonda. Ma niuno di costoro ha tentato finora di ridurre a costanti e dimostrati principi le diverse teorie sparsamente toccate, nè concatenate tra di loro.

Niuno, dico, ha tentato di fare una scienza di questo importante dritto. Niuno ha paragonato le leggi, e gli usi del Foro con le teorie della ragione in tutta la di loro estensione. Ecco il nostro oggetto, ecco il piano, che ci abbiam proposto; ed ecco io stato del Dritto Criminale, e di ciò, che in esso vien desiderato.

 

 

 

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