La sacra memoria dei Repubblicani del 1799

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“Siamo liberi infine, ed è giunto per noi il giorno in cui possiamo pronunciare i sacri nomi di libertà ed uguaglianza”. E’ l’incipit del primo articolo del Monitore Napoletano, scritto dalla donna simbolo della Repubblica Napoletana del 1799, Eleonora de Fonseca Pimentel, che poteva vivere un’agiata vita di nobildonna, ma che aveva un tale amore per la libertà da volere che a tutti fosse concesso di vivere da donne e uomini liberi, da cittadini uguali.

Oggi per noi le parole, Libertà e Uguaglianza, che Eleonora definiva sacre, sono talmente scontate e, seppure scolpite nelle carte costituzionali delle democrazie europee ed internazionali, rischiano di perdere la loro piena ed ampia valenza, ma per quelle ‘anime illuminate’ si trattava di liberarle, farle comprendere e valere in un’età di regime dispotico ed assolutista.

Per tale ragione ricordare la Repubblica Napoletana del 1799 è un dovere, di cui noi napoletani dovremmo essere fieri, perché in tempi di oscurantismo centinaia di uomini diedero la vita per aver acceso una fiaccola, per aver illuminato tempi in cui i regimi assoluti difendevano strenuamente i privilegi di pochissimi, non permettendo alla stragrande maggioranza di essere umani di poter godere degli stessi diritti.

Avevano, altresì, trovato il mondo di tenere sottomessi e guadagnare il consenso di quella che era definita “bassa plebe”, tramite una strategia che i regimi assolutistici avevano da tempo ben consolidata: abbinare alla diffusa ignoranza tanta superstizione.

Antonella Orefice ha scritto, riguardo ad Eleonora de Fonseca Pimentel, che lei aveva dovuto vivere il dramma di “ personaggio venuto dal futuro e costretto a vivere nel passato”. E, in effetti, fu proprio questo il dramma di tutti i martiri della Repubblica Napoletana, come uno dei migliori giornalisti e storici liberali del novecento, Indro Montanelli, ha scritto a chiare lettere: “Quegli uomini ebbero il torto di nascere in anticipo sui tempi

Ricordare significa onorare con la memoria, e diventa ancor di più doveroso, se solo si riflette sulla crudeltà borbonica che non si limitò alla soppressione fisica, ma anche al loro ricordo per tutto il tempo che continuarono a tenere assoggettato il regno alla loro monarchia sanguinaria ed oscurantista. “ Lo spirito degli infami principi democratici”, scrisse il cardinale Ruffo nell’ordine emanato il 18 settembre 1799 in cui si esplicitava che “vuole e comanda la M.S.[…] da operarvisi per togliere dai Processi tutte le carte confacenti: la qual cosa deve ancora essere eseguita per le scritture di simile natura esistente negli Archivi ed altri luoghi pubblici, ed anche per le scritture dei privati che ne vogliono fare uso in Giudizio”.

Questo infame atto di distruzione della memoria, come  scrisse, tra gli altri Giustino Fortunato, contribuì a rendere poco meno che ignorata tutta la gloriosa storia della Repubblica Napoletana e dei suoi patrioti.

Oggi, soprattutto, che una certa aberrante ignoranza dilaga tra i cultori di pseudo storia manipolata, diventa doveroso da parte di chi opera per la verità storica,  continuare ad onorare la memoria dei martiri della Repubblica Napoletana, recuperando il pensiero di quella intera generazione di intellettuali gloria di Napoli,  uomini e donne che ci resero grandi agli occhi dell’Europa, repubblicani che  lo stesso zar di Russia, cugino di Ferdinando IV, definì “il fior fiore della cultura napoletana” che non poteva essere soppresso. Pertanto, sulle orme di Mariano D’Ayala, di Benedetto Croce, si mostra doveroso “scavare” e riportare alla luce tutto ciò che costituisce testimonianza, eredità ideale dei rivoluzionari del 1799 semplicemente perché, come scriveva Eleonora Fonseca Pimentel sul Monitore Napoletano del 14 maggio 1799 “ la libertà non può amarsi a metà”.

 

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