Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Gramsci ed il Risorgimento Italiano

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Nei “Quaderni dal carcere”, segnatamente nel quaderno 19, Antonio Gramsci indagava l’inizio del Risorgimento italiano.

Tra le posizioni degli storici del tempo, che si raggruppavano in due correnti di pensiero, quella dell’origine autonoma del movimento nazionale italiano e quella che riteneva dipendere il movimento nazionale italiano dall’esperienza della Rivoluzione francese, Gramsci optava per quest’ultima. Secondo la sua analisi già dai primi anni della seconda metà del Settecento si poteva parlare di un inizio politico del processo di unificazione italiana, specificamente nella stagione politica delle riforme, nel clima determinatosi nell’Europa del secolo illuminista.

“In tale contesto- scrive testualmente- vanno cercate le origini delle condizioni e dei rapporti internazionali che permetteranno all’Italia di riunirsi in nazione e alle forze nazionali di svilupparsi ed espandersi”.

Mancava nei secoli precedenti un carattere prettamente politico dell’idea di unificazione la coscienza dell’”unità culturale che era esistita fra gli intellettuali italiani, almeno dal 1200” si mostrava debole per l’affermazione già di un processo di inizio risorgimentale.

Lo stesso riferimento allo sviluppo di una lingua unificata “il volgare illustre di Dante”, non aveva inciso su una questione che Gramsci riteneva prettamente politica.

L’indirizzo nazional-democratico di Machiavelli, che pur esprimeva un sentimento di rimpianto per l’indipendenza perduta, non costituiva, secondo Gramsci, un elemento che potesse collegarsi alla volontà di iniziare un percorso politico di premessa risorgimentale.

Si rivelava nel Settecento una corrente di pensiero laica che si opponeva al neoguelfismo e, facendo sua la tesi dello storico Baldo Peroni, Gramsci ritrovava nei patrioti di fine Settecento un’idealità volta non solo a instaurare la Repubblica, ma anche capace di dare all’Italia unità e indipendenza.

“Appare vero quanto il Peroni afferma, se si considera il fatto specifico, e di importanza decisiva, del primo raggruppamento di elementi politici che saranno i protagonisti del Risorgimento[…] è certo che solo dopo l’89 questo compito diventa consapevole in gruppi di cittadini disposti alla lotta e al sacrificio”.

Quindi nel Settecento per Gramsci si ha quel risveglio propriamente politico, quell’amor di patria che cessa di essere una vaga ispirazione sentimentale e letteraria, diventando pensiero politico consapevole con continuità, senza fermarsi di fronte ai più duri sacrifici.

Per un sostenitore del materialismo storico e dialettico qual era Gramsci, le forze autonome italiane dopo il Mille, che portarono all’esperienza dei Comuni e del Rinascimento, hanno costituito esperienze storiche che non sono da ritenersi avvio di un vero e proprio percorso iniziale del Risorgimento italiano.

Necessitava, secondo Gramsci, un rafforzamento dello Stato laico, presupposto indispensabile che solo dal Settecento ebbe la sua graduale affermazione.

E’ nel Settecento che “si sviluppa una parte laica, anzi in opposizione al papato, che cerca di rivendicare una funzione di primato italiano e di missione italiana nel mondo indipendentemente dal Papato e dalla Chiesa romana”.

Tuttavia Gramsci riconosceva alle forze cattoliche d’ispirazione liberale di essere riuscite a far sì che” lo stesso Pio IX si ponesse, sia pure per poco, nel terreno del liberalismo”.

Pur nella sua condizione di prigioniero politico, Gramsci fece appello a quanto aveva precedentemente studiato, ad articoli di giornali, di riviste e a testi di storici del periodo, per dimostrare che politicamente non vi erano stati antecedentemente al Settecento, elementi per una tesi a favore di un inizio autonomo del Risorgimento prima di quel secolo, se non di natura prettamente sentimentale e letteraria.

L’inizio per Antonio Gramsci è da collegare in Italia “all’ultimo decennio del Settecento, e non soltanto in Lombardia, ma anche a Napoli, in Piemonte, in quasi tutte le regioni italiane. I patrioti che, tra l’89 e il 96 sono mandati in esilio o salgono al patibolo, hanno cospirato, oltre che per instaurare la Repubblica, anche per dare all’Italia indipendenza e unità”.

Nel prosieguo del percorso, che avrebbe avuto i suoi momenti decisivi nel 1820 e nel 1848, i democratici non seppero capitalizzare, secondo Gramsci, quella loro forza, che avrebbero poi perso dopo il 1848 a vantaggio delle forze liberali, che riuscirono ad imporre successivamente una valenza moderata a tale percorso, per cui vi fu una  “rivoluzione senza rivoluzione”.

In conclusione: “I fattori internazionali e specialmente la Rivoluzione francese, stremando queste forze reazionarie e logorandole, potenziano per contraccolpo le forze nazionali in se stesse scarse e insufficienti. E’ questo il contributo più importante della Rivoluzione francese, molto difficile da valutare e definire, ma che si intuisce di peso decisivo nel dare l’avviata al moto del Risorgimento”.

Nei successivi  “Quaderni”Gramsci enuncerà gli “errori” del Partito d’Azione, ma la sua analisi sarà influenzata dalla visione della storia in senso materialistico-dialettico e qualche accusa, rivolta al Partito D’Azione, è da ritenersi alquanto ingenerosa.

 

 

Bibliografia:

Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere,  Quaderno 19 in: L’essenziale di Antonio Gramsci. il Risorgimento e l’Unità d’Italia,  Donzelli, Roma, 2010.

 

 

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