La Costituzione del 1848 e lo spergiuro borbonico

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Categoria: Storia del Risorgimento
Creato Lunedì, 16 Marzo 2015 21:26
Ultima modifica il Sabato, 21 Marzo 2015 21:16
Pubblicato Lunedì, 16 Marzo 2015 21:26
Scritto da Angelo Martino
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Per Benedetto Croce i patrioti-martiri della Repubblica Napoletana del 1799 avevano rappresentato l’avanguardia intellettuale, l’elemento attivo, una minoranza la cui azione, pur nella sconfitta, “non si disperse, non si smarrì” e a cui gli avvenimenti storici successivi avrebbero dato ragione.

Un liberale quale Indro Montanelli, giornalista e storico, non esitò a scrivere:

“Quegli uomini ebbero il torto di nascere in anticipo sui tempi, ma senza dubbio contribuirono moltissimo a farli maturare. Come tutte le grandi imprese, il Risorgimento aveva bisogno di pionieri, ed essi lo furono.

Per prima videro che la causa dell’indipendenza nazionale faceva tutt’uno con quella democratica e che il solo modo di perseguirla era l’azione rivoluzionaria. Essi lasciarono, se non altro, l’esempio del sacrificio. E anche i loro sbagli furono utili perché misero o avrebbero dovuto mettere i successori in guardia dal ripeterli”.

A tal riguardo la Costituzione politica del Reame delle Due Sicilie, del 10 febbraio 1848, prima concessa dietro giuramento solenne da Ferdinando II e poi revocata con conseguente dura repressione delle aspirazioni costituzionali dei patrioti napoletani, fu la prima ad essere conquistata, a ulteriore prova di quanto il movimento patriottico-rivoluzionario fosse rimasto attivo, anche dopo la durissima repressione dei moti costituzionali del 1820-21.

Progressivamente esso era diventato capace di estendersi e ampliare la sua base di consenso e la Costituzione del 1848 fu esempio e stimolo per il movimento nelle altre regioni d’Italia.

Il preambolo costituì , dopo la revoca e la repressione, il tormento dell’anima per Ferdinando II fino alla morte, in quanto si era impegnato a proclamare “irrevocabilmente” la Costituzione “nel nome temuto dell’onnipotente santissimo Iddio, uno e trino, cui solo è dato di leggere nel profondo dei cuori, e che Noi, altamente invochiamo a Giudice della priorità delle nostre intenzioni e della nostra lealtà”.

D’altronde un limite forte di tale Costituzione era proprio l’articolo 3 che esplicitava che “l’unica religione dello Stato sarà sempre la cristiana cattolica apostolica romana, senza che possa MAI (nostre le maiuscole) essere permesso l’esercizio di un’altra religione.”
Elaboratore della Costituzione era stato Francesco Paolo Boggelli ( 1788-1864)

La Costituzione esordiva annunciando la trasformazione della monarchia borbonica assoluta in costituzionale-rappresentativa.

Venivano garantiti a tutti l’uguaglianza “di fronte alla legge, qualunque sia lo stato e la condizione”, il diritto di petizione e di concorrere alle cariche pubbliche, la garanzia alla libertà individuale, all’inviolabilità del domicilio e della corrispondenza, la libertà di stampa, la cancellazione di ogni condanna o procedimento politico per “avvenimenti successi sinora”.

L’età per l’esercizio elettorale attivo e passivo veniva abbassato da 30 a 25 anni rispetto alla contemporanea Costituzione francese.

Rimaneva l’esclusione delle donne dall’esercizio elettorale e l’ammontare di un reddito minimo per l’esercizio del diritto elettorale attivo e passivo, a dimostrazione di quante lotte sarebbero state necessarie per una compiuta acquisizione dei diritti civili da parte di tutti i cittadini nel corso degli anni successivi.

Tra le norme che, all’epoca, potevano considerarsi come tra le più rivoluzionarie, spiccarono quelle contenute nell’articolo 10 e nell’articolo 12.

L’articolo 10 faceva assoluto divieto di “annettersi truppe straniere al servizio dello Stato” e l’articolo 12 stabiliva la formazione di una Guardia Nazionale, prescrivendo, come inderogabile, il principio di elezione “ai diversi gradi, fino a quello di capitano […] da coloro stessi che la compongono”.

La storia successiva ci racconta di come i solenni giuramenti e le formali dichiarazioni di lealtà fatte “davanti a Dio e al popolo” non impedirono a Ferdinando II di rinnegare tutto il 15 maggio 1848 e di far sciogliere con la forza, nel giorno stesso del suo insediamento, il Parlamento appena eletto.

Tuttavia la notevole capacità d’urto raggiunta nel 1847-48 dal movimento rivoluzionario nel Meridione d’Italia è confermata da un episodio molto significativo, che ebbe protagonisti lo stesso Ferdinando II ed i suoi generali.

Davanti all’estensione assunta dalla Rivoluzione, i generali chiamati a reprimerla consegnarono al re una dichiarazione, sottoscritta dalla loro quasi totalità, in cui comunicavano che “l’esercito non sarebbe assolutamente stato più in grado di fronteggiare i disordini nello Stato”.

Erano, tuttavia, pronte le guardie svizzere di Ferdinando II a dar man forte ai Borbone contro la Guardia Nazionale Napoletana e i tantissimi cittadini che non volevano essere più sudditi, e che  lottarono strenuamente e si sacrificarono fino alla morte per difendere la tanto agognata Costituzione.


Riferimento bibliografico:
Pratilli Cascio- La costituzione del regno delle due Sicilie del 1848- Firenze- 1962