La prima guerra napoletana alla camorra intrapresa da Silvio Spaventa

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Silvio SpaventaGiuseppe Garofalo, noto penalista, ha dedicato un volume alla seconda guerra napoletana alla camorra degli anni del primo Novecento, nel quale non poteva non far riferimento a quella che fu la prima guerra napoletana alla camorra, intrapresa da Silvio Spaventa, già nel 1860.

Dopo l’episodio di Liborio Romano e l’ingresso di un cospicuo numero di camorristi nella Guardia Cittadina col fine di mantenere l’ordine pubblico all’ingresso di Garibaldi in città, toccò a Silvio Spaventa (Bomba-Chieti- 1822 - Roma 1893), ministro di Polizia nel periodo delle Luogotenenze, affrontare il problema e provvedere all’epurazione dei malviventi assoldati da Don Liborio, avviando una dura repressione.

Il rapporto di Silvio Spaventa evidenziava la necessità di una repressione della consorteria in maniera più decisa in quanto si mostrava attento all’analisi dei vari momenti in cui il fenomeno camorristico si era consolidato nella realtà napoletana, incluso quel momento di passaggio tra la fine del Regno delle Due Sicilie ed il nuovo Stato Unitario in cui si erano presi accordi molto discutibili con la camorra.

Il primo arresto in massa di camorristi avvenne già il 1° dicembre 1860 su richiesta del Consiglio di Luogotenenza di cui faceva parte lo stesso Spaventa.

La lista conteneva 106 nomi, di cui una novantina caddero nella retata. Nella circolare del 17 aprile 1861 Silvio Spaventa, diventato segretario generale della Luogotenenza scriveva:

“La triste genia dei camorristi che infesta queste contrade napoletane, oltre i soprusi che commette, si rende perniciosa all’ordine pubblico che soventi volte compromette gravemente. E’ noto come questa classe di gente perversa sia costituita in setta con segni convenzionali, riunioni, capi ed aderenti, e come si avvalga dei mezzi più nefandi per raggiungere il suo intento di vivere a spese del più debole. Il camorrista s’introduce in tutte le classi della società e vi esercita impudentemente il suo bravo mestiere. E’ quindi necessario che le autorità provveggano efficacemente onde occorrere a un sì grave inconveniente; ma, siccome spesso questa gente malvagia sfugge al rigore della giustizia, facendo la paura tacere gli offesi. È d’uopo raddoppiare di vigilanza e nell’istesso tempo escogitare il mezzo più atto a liquidare e punire il colpevole[…]”.

Nel famoso Rapporto sulla camorra, preparato tra l’aprile e il maggio del 1861, Silvio Spaventa, dopo aver analizzato l’organizzazione camorrista nei quartieri di Napoli, scriveva di non aver risposte alla domanda su come la consorteria avesse potuto sotto il governo raggiungere tali livello di strutturazione, “a meno che non si voglia credere coi più, che la polizia borbonica si valesse ai proprio fini della camorra”.

Francesco Barbagallo , docente universitario ed autore del testo Storia della camorra, scrive che tali “collusioni “ ipotizzate da Silvio Spaventa erano stare denunciate dagli esuli liberali che si erano rifugiati a Torino dopo la fallita insurrezione del 1848, citando Antonio Scialoja “che insisteva sul controllo spionistico esercitato nelle carceri ai danni dei “galantuomini”, che invece, rimasti a Napoli, si erano trovati in carcere, trovandosi a contatto con i camorristi: Luigi Settembrini, Mariano D’ayala, Carlo Poerio, Nicola Nisco e lo stesso redattore del rapporto Silvio Spaventa.

Comunque Silvio Spaventa si dichiarava determinato a proseguire l’opera del prefetto De Blasio per espellere anche quei camorristi che erano stati cooptati nella Guardia nazionale dal ministro borbonico di orientamento liberale che aveva fatto scelte incomprensibili, a cui bisognava dare subito rimedio.

D’altronde Spaventa dimostrava anche di conoscere, citandolo nel Rapporto, il canto dei camorristi: Nuje nun simme Cravunare/ ( Non siamo carbonari) Nuje nun simme Rialiste/ (Non siamo realisti) ma faccimme e Camurriste/ Famme ‘n cule a chille e a chiste”.

Silvio Spaventa perseguì  le epurazioni con tolleranza zero per sradicare il controllo che icamorristi esercitavano, oltre che nelle carceri, nelle sale da giuoco, nei postriboli, soprattutto sui mercati tramite le estorsioni, specificamente nel quartiere Mercato, dando un chiaro messaggio:

“Io taccerò d’ignavia qualunque uffiziale o agenda faccia quartiere ai camorristi (…) a Mercato più che altrove la camorra è in pieno e libero esercizio. Il balzello che costoro impongono ai compratori è un furto, qualificato con la violenza perché è sotto l’impressione della paura che si cede alle loro criminose esigenze (…) E’ d’obbligo dei Signori Delegati e delle Guardie di Pubblica Sicurezza di dar loro la caccia senza posa e senza tregua”.

Come ricorda Francesco Barbagallo, “chi si schiera subito con Silvio Spaventa è Pasquale Villari” sia già dall’ottobre 1861 “quando Spaventa ha da poco concluso a Napoli la prima fase della sua guerra alla camorra” sia da sottosegretario all’Interno.

Nelle sue Prime lettere meridionali, Pasquale Villari approvò il buon lavoro svolto da Silvio Spaventa , scrivendo sul giornale milanese La Perseveranza: “s’è lasciata estendere una piaga tremende di queste popolazioni: la camorra”.

Tra la fine di settembre e i primi di ottobre furono arrestate a Napoli 500 persone con l’accusa di camorra. Si trattò di una retata rilevante se si commisura il numero degli arrestati agli abitanti della città la quale allora ne contava 500.000. In Terra di Lavoro furono arrestati ben 200 persone per camorra su una popolazione di 30.000 abitanti. “Infatti, oltre che nella capitale”- come scrive Francesco Barbagallo - la camorra si era affermata già in epoca borbonica nella Terra di Lavoro[…] dove pare ci fossero circa 2000 affiliati”.

Bibliografia:

Giuseppe Garofalo,  La seconda guerra napoletana alla camorra, Napoli, 2005
Francesco Barbagallo, Storia della camorra, Bari, 2010

 

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