Amore e Morte. 1650, la storia di Giulia e Geronimo

Categoria principale: Storia
Categoria: Dalla Storia antica al XVII sec.
Creato Mercoledì, 03 Dicembre 2014 23:09
Ultima modifica il Mercoledì, 03 Dicembre 2014 23:10
Pubblicato Mercoledì, 03 Dicembre 2014 23:09
Scritto da Antonella Orefice
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Ci sono storie che emergono dal passato con una forza indescrivibile, per l’energia, forse, che i protagonisti hanno lasciato nel momento in cui sono stati strappati alla vita.

Giulia e Geronimo non sono stati dei personaggi famosi, anzi, sono del tutto anonimi e non avevano alcuna speranza di tornare a far parlare di loro dopo 364 anni. E’ stato un caso trovarli  senza cercarli tra migliaia di altri nomi. Giusto una labile traccia, niente più, eppure si sono parati innanzi agli occhi con forza, cercando di raccontarsi oltre quelle poche righe ingiallite dal tempo.

Era il 12 marzo del 1650 quando ai monaci che confortavano i condannati a morte arrivò il solito macabro biglietto che annunciava una “giustizia”. Giulia Della Torre e Geronimo Esposito erano stati condannati alla forca con l’accusa di omicidio. Di comune accordo,  riportava lo scrivano,  avevano ammazzato il marito di lei, sperando poi di “accasare insieme”.

Geronimo era un ragazzo napoletano di 22 anni e vendeva verdura. Giulia, invece ne aveva 38 e dal cognome “Della Torre” è facile intuire che appartenesse ad una famiglia nobile del Regno. Doveva essere stata maritata ad un uomo probabilmente molto più anziano di lei, perché da quel matrimonio infelice non erano nati figli. Ai monaci Giulia dichiarò di avere solo una sorella, Anna, di 41 anni.

Invece Geronimo era totalmente solo, con quel cognome che già alla nascita gli aveva segnato il destino. Era un “Esposito” Geronimo,  un “esposto”, uno dei tantissimi innocenti affidati alla “ruota” della Real Casa dell’Annunziata, quella famosa ed  antichissima istituzione destinata all’accoglienza dei neonati abbandonati.

Come i due amanti si siano incontrati non lo sappiamo e mai nessun documento ce lo racconterà mai, ma non è poi così difficile immaginare le circostanze furtive, il desiderio di Giulia di conoscere l’amore vero, la forza di Geronimo nel dare se stesso, lui che l’amore non lo aveva mai ricevuto nemmeno dalla sua vera madre.

Desideravano “accasare insieme”. Sono le testuali parole riportate dalla scrivano. Non volevano una relazione clandestina, ma una vita comune, la costruzione reale di un amore. Un amore che deve averli accompagnati fino alla fine e che mai rinnegarono, nemmeno durante i rituali “tormenti” della prigionia. Ed il loro amore deve aver toccato il cuore di chi li ha assistiti spiritualmente durante le ultime ventiquattro ore prima del supplizio.

Non esultò il popolo, non si fece scempio dei loro corpi, non passarono per il soliti crudeli “strascini”.  Giulia e Geronimo commossero velatamente, ricevendo  un rispetto inusuale, sorprendente, per quell’epoca, durante la quale le esecuzioni erano quotidiane e si moriva tra atroci sofferenze anche solo per una bestemmia o una falsa dichiarazione. Non erano la prima coppia ad  ascendere al patibolo tra gli improperi  del popolo. Eppure colpisce  tanto una nota a margine del macabro biglietto dei monaci che cita testualmente: “Fu appiccata prima la donna perché non pareva bene che l’altro la vedesse così pendente quando si giustiziava, giudicò il Padre Superiore che si calasse la donna prima che s’eseguisse la giustizia dell’huomo e così fu fatto e poi morto il secondo fu di nuovo appiccata la donna.”

A Geronimo fu risparmiato il dolore di vedere morire la donna amata, un dolore che i monaci considerarono più forte di qualsiasi altra sofferenza.  Amore e Morte. Ma quell’amore vinse sulla morte e seppur da un macabro biglietto di condanna, Giulia e Geronimo si sono presentati insieme, uniti nella morte così in quell’amore che nel raccontarsi  ha squarciato tre secoli di silenzio.