Cannibalismo brigantesco
Uno di quegli episodi orrendi, che mostrano la natura di mostri dell'umanità dei briganti borbonici, è riportato nel processo che si tenne presso la Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere dal febbraio al marzo 1864 contro i capi di una delle bande che infestò soprattutto l'area della Valle Caudina, tra il Partenio e il Taburno,facente capo ai fratelli Giona e Cipriano La Gala, nativi di Nola. Uno dei delitti più efferati per i quali furono condannati a morte, pena poi tramutata dal Regno d'Italia liberale, in carcere a vita, fu quello dell'uccisione e del successivo atto cannibalesco compiuto dai due infami fratelli contro un loro vecchio compagno di galera, Francesco De Cesare, al quale imputarono di averli presi a schiaffi durante il periodo di pena. Con inganno lo invitarono ad un incontro, lo catturarono, lo legarono con una fune, lo ammazzarono, gli recisero la testa, mettendogli una pipa in bocca, le braccia e le gambe, collocate sugli alberi, e arrostirono le altre parti del corpo, mangiandole impunemente con altri compagni. I loro genitali furono portati per alcuni giorni come trofeo da uno della banda. Chi onora e ammira oggi questi mostri dell'umanità deve per lo meno profondamente riflettere. Fonte: Processo dei briganti borbonici Cipriano e Giona La Gala, Domenico Papa e Giovanni D'Avanzo, Reggio Emilia, Tipografia della Gazzetta, 1864, pp.176-187 (letto su internet). http://books.google.it/books/about/Processo_dei_briganti_borbonici_Cipriano.html?id=IO4UbrR6af4C Sulla vicenda e sulle violente, assassine, disumane gesta dei due fratelli vi è un analitico romanzo dell'avv. Antonio Vismara, Un banchetto di carne umana (Scene dell'Italia meridionale), Milano, Editore Pagnoni, in due volumi, scritti intorno al 1870 e consultabili in rete ai seguenti link: |
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