Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il genocidio armeno e la complicità degli imperi centrali

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La storiografia sulla prima guerra mondiale è sterminata, eppure gli studi riguardo alle violenze ai danni della popolazione civile compiute durante il suo svolgimento sono pochi relativamente alla mole complessiva dei saggi riguardanti la Grande Guerra. Alcune ricerche comparvero subito dopo il conflitto, ma per avere una ripresa dell’interesse nel campo bisogna attendere gli ultimi anni.

Ciò è dovuto in buona misura ad un mutamento epistemologico intervenuto nell’ambito della storiografia, che ha comportato anche l’affiancarsi alla vecchia storia militare, attenta alla ricostruzione delle vicende belliche in senso stretto, della nuova storia sociale della guerra, che si dedica invece alla ricostruzione del contesto sociale, culturale, psicologico ecc. del fenomeno bellico.[Un esempio di questo indirizzo di ricerca è offerto dallo studio di R. Pöppinghege, Im Lager unbesiegt. Deutsche, englische und französische Kriegsgefangenen-Zeitungen im Ersten Weltkrieg, Essen 2006, che si basa sulle riviste, sia dei prigionieri di guerra, sia degli internati civili, d’alcuni paesi durante il primo conflitto mondiale per sviluppare un’analisi assieme socioculturale e propriamente psicologica].

 

Un’altra causa della scarsa attenzione sinora riservata alle violenze sui civili durante la guerra del 1914-1918 è però l’operazione, consapevole od inconsapevole, di  cancellazione del  loro  ricordo, perché politicamente sgradito. Una simile forma d’eliminazione della memoria può essere riscontrata per la Germania imperiale ed i suoi crimini di guerra del primo conflitto mondiale. Ad esempio, due importanti storici come John Horne e Alan Kramer hanno pubblicato per la Yale University Press un’opera intitolata significativamente German atrocities 1914: a history of denial, [J. Horne-A. Kramer, German atrocities 1914: a history of denial, New Haven-London, 2001], che già dal titolo fa riferimento alla rimozione dalla memoria od addirittura alle negazione delle violenze compiute dagli invasori germanici.

Una delle potenze belligeranti che si segnalò per la particolare gravità del suo operato nel periodo 1914-1918 fu l’Austria-Ungheria. Tale è il parere dello storico Hans Hautmann, che ha presentato una sua relazione sull’argomento dei crimini di guerra dell’esercito austro-ungarico e sul loro sostanziale oblio dopo il 1918 nel 23° convegno della «German Studies Association» americana. [Cfr. H. Hautmann, Die Verbrechen der österreichisch-ungarischen Armee im Ersten Weltkrieg und ihre Nicht-Bewältigung nach 1918, Referat auf der 23. Jahrestagung der amerikanischen «German Studies Association» Atlanta, 7-10 ottobre 1999].

L’Hautmann afferma che i peggiori crimini compiuti durante il primo conflitto mondiale avvennero ad opera della Germania, della Turchia (con lo sterminio degli armeni) ed appunto dell’Austria-Ungheria: «Drei große Verbrechen sind im Ersten Weltkrieg geschehen: die Greuel der Deutschen in Belgien, der Völkermord der Türken an den Armeniern und die Ausschreitungen der kaiserlichen Armee Österreich-Ungarns». [op. cit.]

A conferma dell’oblio che si è cercato di far cadere su tutto ciò, Hans Hautmann in conclusione al suo articolo afferma recisamente che i crimini di guerra dell’esercito imperiale asburgico durante il primo conflitto mondiale non sono quasi stati studiati e che esiste in Austria una sostanziale rimozione nella memoria collettiva di quanto è accaduto. [op. cit.]

L’elenco di violenze compiute dalla Duplice Monarchia sui civili e militari enumerato da Hautmann comprende anche le deportazioni di prigionieri politici e di percentuali elevatissime della popolazione italiana all’interno di campi di concentramento. [Hautmann, Die Verbrechen, cit.:«Aus Welschtirol, dem Trentino, das bei Beginn des Krieges zwischen Österreich-Ungarn und Italien 386.000 Einwohner zählte, wurden 114.000 Italiener zwangsweise ausgesiedelt und in Lager nach dem Landesinneren verbracht.»]

Si tratta di fatti noti, per quanto ancora scarsamente esaminati ed approfonditi. Uno studio fondamentale in proposito è quello di Gerd Pircher, che contribuisce a documentare quale destino si progettasse per il Trentino negli ambienti militari austriaci durante il primo conflitto mondiale: una volta ottenuta (nelle intenzioni austriache) la vittoria si doveva conservare parzialmente la giurisdizione militare, proclamare il tedesco come unica lingua ufficiale amministrativa ed imporlo anche nelle scuole per gli italiani, procedere ad una epurazione dell’amministrazione, germanizzare i toponimi e le insegne (come già s’era iniziato a fare), favorire l’immigrazione austriaca con fini di colonizzazione ecc.

Questi piani erano sostenuti da una cerchia di militari, capeggiati da “Sua Altezza” l’arciduca Eugenio d’Asburgo e dai generali Alfred Krauss e Viktor Dankl, che si proponevano la snazionalizzazione del Trentino e la sua germanizzazione, ritenendo in pratica ogni italiano un individuo potenzialmente ostile all’impero ed internando o deportando chiunque fosse ritenuto politicamente inaffidabile.

I promotori della germanizzazione del Trentino nel periodo 1915-1917 furono quindi i vertici militari stessi incaricati del settore: l’arciduca Eugenio d’Asburgo, ultimo gran maestro secolare (Hoch und Deutschmeister) dell’ordine teutonico, a lungo ufficiale dei Kaiserjäger tirolesi, per oltre dieci anni comandante della XIV Armata di stanza in Tirolo e successivamente divenuto comandante del fronte italiano della Duplice Monarchia, salito fino al grado di feldmaresciallo ed inoltre fratello dell’arciduca Federico, l’Armeeoberkommandant (ossia in sostanza il luogotenente dell’imperatore Francesco Giuseppe presso il comando supremo dell’esercito); il generale Alfred Krauss, d’idee politiche vicine a quelle del partito nazionalista germanico, i cosiddetti “tedesco-nazionali”; il generale Viktor Dankl, responsabile del Comando di difesa territoriale del Tirolo.

Queste tre altissime personalità erano seguaci delle teorie espresse da uno storico austriaco d’idee nazionalistiche, tale professor Michael Mayr, docente all’università di Innsbruck nonché deputato al Reichsrat (parlamento dell’impero) di Vienna ed al Landestag (consiglio regionale) di Innsbruck. Egli aveva formulato un piano operativo contro l’irredentismo italiano nel suo volume. Die Entwicklung des Italienischen Irredentismus in Tirol (L’evoluzione dell’irredentismo italiano in Tirolo). Egli riteneva che ormai la maggioranza della popolazione trentina fosse divenuta irredentista e che questo costituisse la base delle rivendicazioni dello stato italiano sul Trentino.

L’arciduca Eugenio ed i generali Krauss e Dankl ripetevano esattamente le stesse argomentazioni di Mayr sull’ostilità della maggior parte dei trentini alla dominazione asburgica, traendone la conclusione che bisognava germanizzare questa regione per risolvere il suo problema nazionale in modo definitivo.

Avendo l’ordinanza imperiale emessa al momento dello scoppio della guerra con l’Italia proclamato lo stato d’assedio per tutto il Tirolo, le autorità militari ebbero praticamente piena libertà d’azione nei confronti delle popolazioni civili, potendo praticare le loro azioni di germanizzazione forzata e di pulizia etnica ai danni dei trentini. [G. Pircher, Militar, Verwaltung, und Politik in Tirol in Estern Welkkrieg, Universitatsvelag Wagner, Innsbruck 1995.]

L’episodio più grave di violenza sulla popolazione civile durante il primo conflitto mondiale  fu comunque sicuramente il genocidio degli armeni, anche se esso conobbe in pratica tre fasi distinte, il prodromo con i massacri sotto il sultano Abdül Hamid a fine del secolo XIX, il genocidio in senso stretto sotto il regime dei Giovani Turchi durante la prima guerra mondiale, infine l’attacco dei kemalisti contro gli armeni superstiti, subito dopo la conclusione della Grande Guerra.

Il ruolo della Turchia nel genocidio, nonostante sia stato negato da storici turchi, viene riconosciuto quale assodato nella storiografia internazionale. È meno nota invece la parte che avrebbero avuto in esso i cosiddetti imperi centrali, ossia la Germania e l’Austria-Ungheria, che erano appunto alleati con lo stato turco durante la guerra mondiale.

Lo storico Vahakn Dadrian, uno fra i maggiori studiosi del genocidio armeno [All’interno della sua amplissima produzione storiografica è d’importanza capitale il saggio V. Dadrian, The History of the Armenian Genocide. Ethnic Conflict from the Balkans to Anatolia to the Caucasus, Oxford-New York 1995], afferma con decisione che sia l’impero guglielmino, sia quello asburgico furono ambedue conniventi se non complici ai massacri perpetrati dai turchi a scapito degli armeni. Il Dadrian ha dedicato un intero saggio alle responsabilità germaniche nel genocidio armeno, che egli ritiene del tutto innegabili ed assai rilevanti [V. Dadrian, German responsibility in the armenian genocide. A review of the historical evidence of german complicity, Cambridge 1996.].

Il Dadrian si sofferma principalmente sulla complicità tedesca nel genocidio armeno, ma non manca d’attribuire precise responsabilità anche all’impero asburgico. Questo illustre studioso ha affermato che non si può dubitare del fatto che, per quanto riguarda la Questione armena, l’Austria si trovasse all’incirca sulle stesse posizioni della Germania: «There is no doubt that on the matter of the Armenian Question Austria more or less echoed German views and postures on that question» [Dadrian, The History of the Armenian, cit., p. 69; Per la documentazione austriaca sul genocidio è possibile consultare anche A. Ohandjanian, Armenian. Der verschwiegene Völkermord, Wien 1989]. 

La Germania già durante i massacri contro gli armeni del sultano Abdul Hamid tenne un atteggiamento diplomatico filo turco e di fatto d’acquiescenza rispetto alla volontà ottomana d’eliminare gli armeni. Il Dadrian afferma che vi fu anche da parte di Vienna un silenzioso assenso agli eccidi d’armeni avvenuti sotto Abdül Hamid: un intero capitolo del suo studio fondamentale sul genocidio armeno è intitolato proprio The Austrian Policy of Acquiescence to the Massacres. [Dadrian, The History of the Armenian, cit.pp. 68-70].

La politica austriaca di tacito assenso all’operato del sultano nei confronti degli armeni fu esemplificata dall’atteggiamento del conte Agenor Goluchowski, ministro degli Esteri austriaco fra il 1895 ed il 1906: Durante i massacri del 1894-96, il ministro austriaco si oppose all’adozione d’una qualunque azione coercitiva contro il sultano, nonostante le dimensioni assunte dallo sterminio [Dadrian, The History of the Armenian, p. 70].

Nell’impero asburgico l’organizzazione statale presentava una forte somiglianza con quella dell’impero ottomano, poiché ambedue erano multietnici e scossi dai contrasti interni fra nazionalità. Vienna aveva quindi interesse, afferma il Dadrian, già solo per questa ragione ad aiutare Costantinopoli, poiché una frantumazione dello stato ottomano avrebbe costituito un incitamento ai popoli sottoposti al dominio asburgico a tentare di liberarsi.

Al contempo, osserva acutamente questo studioso armeno, l’impero asburgico aveva aspirazioni espansionistiche, per soddisfare le quali era convenienti che la Turchia continuasse ad essere travagliata da problemi intestini, senza che essi fossero diminuiti da riforme. [Ibidem, p. 69]. Come se ciò non bastasse, numerosi agenti segreti austriaci e tedeschi spiavano gli armeni in Anatolia, informando poi il sultano. [Ibidem, cit., p. 97].

Sulla base d’un numero enorme di fonti, il Dadrian può così individuare una serie di responsabilità da parte degli alleati degli ottomani: l’influsso delle concezioni ideologiche e nazionalistiche tedesche nella formulazione del progetto di genocidio degli armeni; i tentativi di dissimulazione e la copertura diplomatica e persino giornalistica data all’operato dei turchi da parte dei loro alleati; le attività segrete dell’imperatore Guglielmo II ecc. [Dadrian, German., cit.]

L’impero ottomano, il cui monarca aveva ancora il titolo di “califfo” quindi teoricamente di supremo rappresentante di tutti i mussulmani, fu sollecitato a proclamare la guerra santa contro gli “infedeli” da parte dell’imperatore Guglielmo II, in  questo influenzato dalle idee dell’orientalista Max von Oppenheim. Come viene confermato da Johann von Pallavicini, ambasciatore asburgico a Costantinopoli, il pascià Enver (uno dei membri del triumvirato promotore del genocidio degli armeni) cercò d’aizzare la popolazione mussulmana al jihad. La Germania e l’Austria furono invece proclamate dal califfo stati “amici dell’Islam”.

Non si dimentichi nel valutare le conseguenze di tutto ciò che gli armeni erano cristiani ed avevano anzi una loro chiesa nazionale armena veicolo della conservazione della loro cultura, essendo stato il loro popolo il primo al mondo ad adottare il cristianesimo come sua religione “ufficiale”. [Ohandjanian, Der verschwiegene Völkermord, cit.;Dadrian, German, cit.; Y. G. Barsegov, Genozid Armian. Prestuplenie po mezhdunarodnomu pravu, Mosca 2000].

Ebbero a vario titolo e modo un ruolo personale e diretto nello sterminio, secondo il Dadrian, numerosi funzionari ed ufficiali germanici: il maresciallo Colmar von der Goltz, che avrebbe dato il suo consenso al piano di deportazione; il tenente colonnello von Feldmann, che consigliò personalmente di ripulire intere regioni dalla popolazione armena; il tenente colonnello Bottrich, che dirigeva i servizi ferroviari presso il quartier generale ottomano, potendo essere considerato responsabile diretto della sorte di decine di migliaia di armeni che lavoravano alla linea ferroviaria di Baghdad, di cui approvò la deportazione; l’ammiraglio Guido von Usedom; il viceammiraglio Wilhelm Souchon; il generale di corpo d’armata Hans Friedrich Leopold von Seeckt, che fra l’altro si preoccupò d’aiutare il ministro turco della guerra Enver ed il gran visir Talaat, due fra i maggiori responsabili del genocidio, per farli fuggire; il comandante Eberhard Wolffskeel conte di Reichenberg, che guidò personalmente operazioni militari per schiacciare gli armeni che resistevano alla deportazione; l’influente ambasciatore tedesco ad Istanbul ad inizio del conflitto, Hans Freiherr von Wangenheim, che espresse esplicitamente il suo rifiuto d’intercedere a favore degli armeni, da egli definiti in un colloquio con l’ambasciatore americano Morgenthau «simply traitorous vermin»; il comandante ed attaché della Marina all’ambasciata tedesca ad Istanbul Hans Humann, decisamente filo turco e con accesso diretto all’entourage del Kaiser ecc.

Questo avveniva anche se le alte sfere d’ambedue gli imperi centrali erano consapevoli delle intenzioni genocide dello stato turco. Non esiste dubbio che sia Berlino, sia Vienna fossero ampiamente informati per il tramite dei loro canali diplomatici e militari dell’operato del loro alleato turco nei confronti degli armeni e del genocidio in corso. In effetti, la Germania e l’Austria erano le alleate politiche e militari della Turchia durante la prima guerra mondiale, per cui i documenti ufficiali tedeschi ed austriaci riportano materiale amplissimo sul genocidio. I rapporti di militari e funzionari degli imperi centrali, qualificati come “confidenziali”, “segreti” e persino “segretissimi” dai loro rappresentanti e redatti per la maggior parte durante la guerra per uso puramente interno, possono assicurare presentano un’autenticità ed un’immediatezza senza pari nelle fonti sul genocidio.

Ad esempio, il generale (precisamente Feldmarschalleutnant) austriaco Pomiankowski, addetto militare dell’impero asburgico in Turchia nel 1909-1918, affermava sulla base dei suoi numerosi colloqui con diverse personalità turche che per i cristiani dell’impero ottomano non esisteva una terza via tra la conversione all’Islam e la morte.[Dadrian, The History of the Armenian, cit.,, p. 207; J. Pomiankowski, Der Zusammenbruch des Ottomanischen Reiches: Erinnerungen an die Turkei aus der Zeit des Weltkrieges, Zurich 1928].

Per quanto importante, il Dadrian non è l’unico storico ad aver sostenuto l’idea d’una complicità germanica nel genocidio armeno. Un ruolo da pioniere su tale tema era stato svolto da Ulrich Trumpener, che aveva dedicato al soggetto un capitolo all’interno del suo studio sui rapporti fra Reich germanico ed impero ottomano [U. Trumpener, Germany and the Ottoman Empire 1914-1918, Princeton 1968].

Secondo lo storico Artem Ohandjanian gli ufficiali tedeschi operanti nell’impero ottomano avevano offerto suggerimenti ed aiuti per la persecuzione degli armeni ed avevano preso sostanzialmente loro stessi le principali decisioni relative alla liquidazione fisica di questo popolo. [A. Ohandjanian, Armenian. Der verschwiegene Völkermord, Wien 1989]. 

Fra gli altri studiosi che si sono dedicati alla questione si può ricordare ancora lo storico svizzero Christoph Dinkel, che si è soffermato sulle responsabilità dirette dei militari tedeschi attivi nell’impero ottomano. A suo parere furono gli ufficiali tedeschi a proporre le deportazioni ed a svolgere anche un ruolo rilevante nel far sì che fossero eseguite. [C. Dinkel, “German Officers and the Armenian Genocide”, in  Armenian Review, vol. 44, n. 1 (1991), pp. 77-133]

Isabel Hull ha teorizzato che la concezione politica e militare della guerra nella Germania guglielmina, dal 1870 sino al 1918, si basasse essenzialmente sul concetto di Vernichtungskrieg ossia “guerra d’annientamento”. Ella esamina anzitutto il caso del genocidio degli Herero e dei Nama, popolazioni dell'Africa Tedesca del Sud-Ovest (oggi Namibia), avvenuto ad opera dei colonialisti germanici fra il 1904 e il 1907.

La concezione suddetta trovò però applicazione ad opera delle armate tedesche anche nel primo conflitto mondiale, condizionando lo stesso genocidio degli armeni. Hull dedica un intero capitolo alla questione della responsabilità germanica nello sterminio di questo popolo, sostenendo che molti ufficiali del Reich furono coinvolti nelle decisioni in proposito alle deportazioni e che alcuni ebbero anche un ruolo attivo e diretto. [I. V. Hull, Absolute Destruction. Military Culture and the Practices of War in Imperial Germany, Cornell University Press, Ithaca 2004, pp. 263 sgg. sul genocidio degli armeni; sul genocidio degli Herero, cfr. anche il contributo sempre di Hull in R. Gellately-B. Kierman (a cura di), The specter of Genocide, Cambridge University Press, Cambridge 2003].

Più di recente, anche lo storico Rolf Hosfeld ha sostenuto che la Germania avrebbe potuto aiutare gli armeni, poiché il suo appoggio era indispensabile ai turchi per il proseguimento della guerra, ma per ragioni di Realpolitik ha preferito rimanere inerte dinanzi al genocidio. [R. Hosfeld, Operation Nemesis: Die Türkei, Deutschland und der Völkermord an den Armeniern, Köln 2005].

Lo storico tedesco Wolfgang Gust ha ribadito sia la realtà inoppugnabile del genocidio armeno, sia le corresponsabilità del II Reich in un suo imponente lavoro. [W. Gust, Der Völkermord an den Armeniern 1915/16. Dokumente aus dem Politischen Archiv des deutschen Auswärtigen Amtes, Springe 2005; è disponibile anche l’edizione in lingua inglese, appena uscita The Armenian Genocide: Evidence from the German Foreign Office Archives, 1915-1916, New York-Oxford 2014].

Gust ha rintracciato, riunito ed in parte ricostruito una mole immense di fonti primarie sul genocidio armeno provenienti da politici, militari, diplomatici tedeschi. Si ritrovano così relazioni ufficiali, telegrammi, lettere, comunicazioni ecc. d’alti funzionari civili e militari germanici, a cominciare da quelli del personale diplomatico, fra cui moltissima corrispondenza destinata direttamente al cancelliere imperiale (Reichskanzler), che all’epoca era Theobald von Bethmann Hollweg.

Questi documenti hanno un’importanza storica notevolissima, poiché provengono da testimoni diretti del genocidio in corso e sono stati pensati esclusivamente per uso interno e riservato, non avendo quindi i loro autori alcun interesse a mistificare quanto stava accadendo nell’impero ottomano. Gust nei suoi commenti ha osservato che l’imponente materiale documentario riportato costituisce una prova ulteriore sia della realtà dello sterminio degli armeni, sia della complicità dell’impero germanico. Questo storico s’interroga anche sulle ipotesi, avanzate da altri studiosi, che la Germania abbia ispirato l’idea stessa di genocidio alle autorità turche e che successivamente Hitler abbia deciso d’imitare i loro metodi per sterminare gli ebrei.

È rimasta celebre, o famigerata, la risposta data dal cancelliere tedesco all’ambasciatore in Turchia, Paul Graf Wolff Metternich, che aveva proposto di prendere le distanze dal genocidio degli armeni. Bethmann-Hollweg il 17 dicembre 1915 rispose alla richiesta del rappresentante diplomatico tedesco a Costantinopoli che «Il nostro unico intento è conservare la Turchia dalla nostra parte fino al termine della guerra, senza preoccuparsi se gli armeni moriranno o meno. Dinanzi ad una guerra che proseguirà ancora a lungo noi avremo ancora molto bisogno dei turchi». [Il testo completo della nota del Reichskanzler è il seguente: «Die vorgeschlagene öffentliche Koramierung eines Bundesgenossen während laufenden Krieges wäre eine Maßregel, wie sie in der Geschichte noch nicht dagewesen ist. Unser einziges Ziel ist, die Türkei bis zum Ende des Krieges an unserer Seite zu halten, gleichgültig ob darüber Armenier zu Grunde gehen oder nicht. Bei länger andauerndem Kriege werden wir die Türken noch sehr brauchen. Ich begreife nicht, wie Metternich diesen Vorschlag machen kann, obwohl er es nicht für ausgeschlossen hält, daß Djemal Enver verdrängt.». Lo scambio di corrispondenza fra l’ambasciatore ed il cancelliere può essere liberamente consultato anche in Rete: Der Botschafter in außerordentlicher Mission in Konstantinopel (Wolff-Metternich) an den Reichskanzler (Bethmann Hollweg)]

Per concludere, si può ricordare ancora quanto sostiene lo Hautmann, secondo cui è innegabile una continuità fra la prima e la seconda guerra mondiale anche sul piano dei crimini di guerra. Egli non esita a chiamare in causa come termine di paragone il nazismo, che avrebbe avuto il suo preludio nel 1914-1918: «der Erste Weltkrieg in vieler Hinsicht Präludium für die Verbrechen des Nationalsozialismus war.» [Hautmann, Die Verbrechen]. 

Si tratta di un’opinione che trova in vario modo anche altri storici concordi. È il caso di B. Hoffmann-Holter, che [B. Hoffmann-Holter, Jüdische Kriegsflüchtlinge in Wien 1914 bis 1923, Wien-Köln-Weimar 1995] ha ricostruito le vicende della comunità ebraica viennese durante il conflitto e di come essa dovette affrontare, in una città che era già prima della guerra una delle più antisemite d’Europa, un antigiudaismo crescente, tanto che vi furono proposte di deportare gli ebrei e disperderli nei territori della Duplice Monarchia.

Difatti Vienna fu uno dei maggiori centri o forse il maggiore centro in assoluto dell’antisemitismo di tutta Europa, specialmente durante gli anni dell’attività politica di Karl Lueger, che fu sindaco ossia borgomastro (Burgermeister) della capitale imperiale per quindici anni e leader del Partito cristiano sociale. Fu proprio nell’allora cuore dell’impero asburgico che il giovane Adolf Hitler divenne un acceso antisemita [P. G. J. Pulzer, The Rise of Political Anti-semitism in Germany and Austria,  New York 1964]. I principali quotidiani e riviste del periodo stampavano spesso materiale antisemita [cfr. ad esempio la raccolta Die Macht der Bilder: antisemitische Vorurteile und Mythen, a cura del Judisches Museum der Stadt Wien, Wien 1995].

Il Dadrian, fra gli altri, ha evidenziato gli elementi di continuità fra genocidio armeno e genocidio degli ebrei, esemplificati dal passaggio di numerosi ufficiali dal servizio in Turchia a quello del nazismo. [Dadrian, German, cit., pp. 199 sgg.].

 

BIBLIOGRAFIA

V. Dadrian, German responsibility in the armenian genocide. A review of the historical evidence of german complicity, Cambridge 1996;

V. Dadrian, The History of the Armenian Genocide. Ethnic Conflict from the Balkans to Anatolia to the Caucasus, Oxford-New York 1995;

C. Dinkel, “German Officers and the Armenian Genocide”, in  Armenian Review, vol. 44, n. 1 (1991), pp. 77-133;

H. Hautmann, Die Verbrechen der österreichisch-ungarischen Armee im Ersten Weltkrieg und ihre Nicht-Bewältigung nach 1918, Referat auf der 23. Jahrestagung der amerikanischen «German Studies Association» Atlanta, 7-10 ottobre 1999;

B. Hoffmann-Holter, Jüdische Kriegsflüchtlinge in Wien 1914 bis 1923, Wien-Köln-Weimar 1995;

J. Horne-A. Kramer, German atrocities 1914: a history of denial, New Haven-London, 2001;

R. Hosfeld, Operation Nemesis: Die Türkei, Deutschland und der Völkermord an den Armeniern, Köln 2005;

I. V. Hull, Absolute Destruction. Military Culture and the Practices of War in Imperial Germany, Cornell University Press, Ithaca 2004;

R. Gellately-B. Kierman (a cura di), The specter of Genocide, Cambridge University Press, Cambridge 2003;

W. Gust, Der Völkermord an den Armeniern 1915/16. Dokumente aus dem Politischen Archiv des deutschen Auswärtigen Amtes, Springe 2005;

Die Macht der Bilder: antisemitische Vorurteile und Mythen, a cura del Judisches Museum der Stadt Wien, Wien 1995;

A. Ohandjanian, Armenian. Der verschwiegene Völkermord, Wien 1989;

G. Pircher, Militar, Verwaltung, und Politik in Tirol in Estern Welkkrieg, Universitatsvelag Wagner, Innsbruck 1995;

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P. G. J. Pulzer, The Rise of Political Anti-semitism in Germany and Austria,  New York 1964;

U. Trumpener, Germany and the Ottoman Empire 1914-1918, Princeton 1968;

 

 

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