Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Tommaso Aniello da Sorrento e la rivolta napoletana del 1547 contro l’inquisizione

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Per comprendere appieno la rivolta napoletana del 1547 contro l’introduzione dell’Inquisizione a Napoli “alla maniera spagnola”, si mostra primariamente necessario ricorrere al carteggio che in quell’anno si intrecciò tra Napoli e la corte spagnola.

In relazione al deciso intento del governo centrale di operare in tale senso, il viceré don Pedro Alvarez de Toledo, famoso per le notevoli modifiche all’urbanistica della città (costruzione di Via Toledo e dei quartieri Spagnoli, pavimentazione delle principali strade cittadine), dall'inizio dell'anno assunse un atteggiamento dilatorio al fine di guadagnare tempo, ben conoscendo la contrarietà della nobiltà napoletana e temendo una sua reazione.

Ben presto lo scontro politico si mostrò inevitabile, dato che il vicerè doveva prendere una decisione, pur tormentato tra l'essere contrario alla inquisizione di tipo spagnolo, mentre nel contempo ribadiva che " los malos era bien fuessen castigados".

Pietro Giannone nella sua Istoria civile del Regno di Napoli descrisse il contesto religioso, culturale e politico in cui vennero a svilupparsi gli eventi del 1547.

La diffusione delle dottrine ereticali aveva avuto un suo incremento con la predicazione di Bernardino Ochino, Pietro Martire e Juan De Valdés, nonostante la vigilanza del viceré Toledo il quale, aveva inviato una relazione dettagliata all'imperatore, segnalando che "bisognava seriamente provvedere d'efficaci rimedi per mali sì gravi e pericolosi".

Don Pedro de ToledoSecondo quanto scrisse il Giannone, il viceré Toledo fece in modo che la decisione opera apparisse opera  della sede papale e non sua, facendo sì che arrivasse a Napoli un inquisitore inviato da Roma.

Al di là del mero svolgimento dei fatti avvenuti precedentemente, le nuove regole morali e religiose furono affisse alle porte del Duomo di Napoli il 12 maggio 1547, ma Tommaso Aniello da Sorrento (secondo lo storico Amabile, mentre lo storico Baldacchini lo identifica invece con il nome di Tommaso Agnello della costa sorrentina. Personaggio da non confondere con il Tommaso Aniello "Masaniello" di Amalfi della rivoluzione napoletana del 1647)), stracciò e buttò via l'editto davanti ad una folla di popolani.

Nel giro di pochissimo tempo fu arrestato e tenuto prigioniero oltre il consueto tanto che il popolo napoletano, temendo i poteri straordinari che il sovrano aveva conferito al viceré Toledo, aveva forzato “i deputati cittadini et altri baroni parimente” a recarsi a Castelnuovo per intercedere presso il viceré affinché liberasse Tommaso Aniello.

La rivolta, invece di placarsi, andò crescendo, in seguito agli arresti di Cesare Mormile, Giovanni di Sessa e Ferrante Carafa, considerati i principali autori del disegno eversivo.

Il popolo presente si divise in tre gruppi alla ricerca del reggente. I rivoltosi lo trovarono nella zona di Santa Chiara e dopo, averlo accerchiato, lo indussero a revocare l’arresto di Tommaso Aniello da Sorrento.

Intanto in altre parti della città avvennero vere e proprie battaglie fra gli alabardieri spagnoli e il popolo in armi richiamato dal suono di allarme delle campane di San Lorenzo. Gli animi si placarono solo dopo la diffusione della notizia della scarcerazione Tommaso Aniello.

All’uscita del carcere della Vicaria, Masaniello da Sorrento fu caricato in groppa a un cavallo e portato in corteo per tutta la città, acclamato come simbolo della ribellione ai soprusi della chiesa e dell’occupatore spagnolo.

Il 17 maggio l’eletto Domenico Terracina, venne meno all’accordo col viceré riguardo l’introduzione della nuova forma di Inquisizione, e dichiarò di essere addirittura risoluto a combatterla.

La ribellione del maggio 1547 divenne, nella sua breve evoluzione, un moto indipendentista e si protrasse fra alterne vicende fino al mese di agosto, quando le truppe spagnole riuscirono ad avere sotto controllo l’intera città.

L’escalation si ebbe dal 21 luglio per tredici giorni successivi. Nel solo giorno del 21 luglio furono tirati deliberatamente su Napoli ben 407 colpi di artiglieria per ordine del viceré Toledo, nonostante le istanze contrarie di tanti nobili, tra cui il duca di Gravina, il Marchese di Vico, Federico Carafa, Scipione Pignatello, Scipione di Capua, con la marchesa de la Valle che si gettò ai piedi del viceré per farlo desistere da tanta crudeltà.

Al fuoco d’artiglieria su Napoli da Castelnuovo e Sant’Elmo, si aggiunse un assedio via mare.
Il bilancio totale dei tumulti fu di 600 morti e 112 feriti di parte spagnola e 200 morti e 100 feriti di parte partenopea, in più molti palazzi furono dati alle fiamme, compresa Rua Catalana, quartier generale delle truppe spagnole.

La rivolta di Tommaso Aniello da Sorrento riuscì a posticipare di sei anni l’entrata in vigore dell’Inquisizione; il primo autodafé (una cerimonia pubblica, facente parte soprattutto della tradizione dell'Inquisizione spagnola, in cui veniva eseguita, coram populo, la penitenza o condanna decretata dall'Inquisizione) si svolse nel 1553 dinanzi al duomo senza alcuna protesta quando il viceré don Pedro de Toledo era già morto da un anno.

 

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