Cirillo, eroe della Repubblica in due lettere c’è un’ombra

Condividi

C’è un’ombra che da due secoli perseguita la figura di Domenico Cirillo, medico e patriota della rivoluzione Partenopea del 1799. E quest’ombra ha il nome di Emily Lyon, più conosciuta come Emma Hart, o Lady Hamilton.

È vero che, una volta ripristinata la monarchia e condannato, Cirillo le scrisse una lettera in cui la supplicava di perorare la sua domanda di grazia?

La giovane donna avrebbe avuto tutto il potere di farlo, essendo amica della regina Maria Carolina, nonché moglie dell’ambasciatore inglese William Hamilton e amante dell’ammiraglio Nelson.

Poche righe: “3 Luglio 1799, Mi prendo la libertà di disturbarvi per rammentarvi che nessuno al mondo, fuori di voi, può salvare un essere infelice ed innocente”.

Il grande naturalista originario di Grumo Nevano, prigioniero a bordo del San Sebastian, il vascello di Nelson, avrebbe rinnegato le sue gesta. Il condizionale è d’obbligo, poiché questa lettera non è mai stata ritrovata. C’è il dubbio che non sia mai esistita.

Il primo a riportarla è John Cordy Jeaffreson a fine Ottocento. La definisce una «pathetic petition». Una traduzione di Benedetto Croce la presenta al mondo accademico italiano. Viene giudicata «autentica, ma non dimostrata ».

 

Vi si legge che «mai ho prestato giuramento contro il Re» e di «aver rifiutato qualsiasi incarico per il Governo Provvisorio». Firmato Domenico Cirillo. La stessa persona che al patibolo è descritta come «fiera e ritta» in attesa del suo destino;lo stesso uomo che nella “Memoria” di Pietro Colletta rispose al Giudice Speciale di essere «un rappresentante del Repubblica, e un eroe».

La richiesta di grazia sembra dunque far acqua da tutte le parti. Un falso storico alimentato dalla macchina del fango?

Forse: la lettera non appare in nessun archivio. Ha provato a cercarla Raffaele Chiacchio, avvocato e concittadino di Cirillo: «Volevo far luce una volta per tutte su questa storia». Ha setacciato migliaia di carte alla British Library. E ha scoperto una “memoria” scritta a mano, in italiano, ma non firmata. Un esame grafologico sembra confermare il tratto di Cirillo.

Ma un foglio anonimo non basta. Torniamo alla fantomatica lettera, quella firmata, e facciamo un passo indietro. 

Domenico Cirillo, nato nel 1739, fu una delle menti scientifiche più brillanti di tutto il regno di Ferdinando IV. Professore a soli 21 anni di Patologia e botanica all’Università di Napoli, fu medico di corte e illustre naturalista.

Nei sei mesi di Repubblica Partenopea del 1799 aderì alla Commissione Legislativa. Curava un orto botanico all’interno della sua casa, in via Fossi a Pontenuovo, vicino l’attuale via Foria (poi saccheggiata dai lazzari) ed era amico dei grandi pensatori di allora, Diderot, d’Alembert, Nollet.

Si scriveva con Benjamin Franklin e diversi membri della British Academy. Maneggiava l’inglese perfettamente, Cirillo. Eppure il suo messaggio per Lady Hamilton contiene diversi strafalcioni grammaticali, inaccettabili.

«Quello scritto è un falso», commenta la storica Antonella Orefice, esperta della Rivoluzione del 1799: «Allora come oggi — aggiunge — la macchina del fango era molto attiva: o il testo è spurio, o fu scritto sotto costrizione».

Più prudente, ma dello stesso parere, Renata De Lorenzo presidente della Società di Storia Patria:

«Non esistono documenti originali che provino questa richiesta di grazia. Non dimentichiamo che la famiglia reale fece di tutto per screditare i martiri della Rivoluzione partenopea, con una specie di damnatio memoriae».

 A sbiancare ulteriormente la reputazione di Cirillo è Alfonso D’Errico, studioso e latinista anche lui grumese, scomparso nel 2006, in un minuzioso saggio pubblicato dall’Istituto di Studi Atellani. In particolare, D’Errico insiste sulla firma della missiva, così come la riporta Jeaffreson: Karillez.

«Una firma impossibile — scrive il professore — Il nostro era solito firmarsi Cyrillus, e il passaggio a Karillez è paleograficamente inverosimile».

Probabile che chi compilò queste righe non sapesse bene scrivere il cognome del prigioniero. O magari non conoscesse bene la lingua.

Per D’Errico è infatti Lady Hamilton l’artefice della lettera, in totale buona fede, spiegando anche gli eccessivi epiteti a lei (auto) rivolti.

La tesi sembra accordarsi anche con le altre testimonianze storiche, come quella di Vincenzo Cuoco che dice addirittura che Cirillo, uomo tutto d’un pezzo, abbia rifiutato di firmare una richiesta di grazia già compilata perché, come rispose, «gli sarebbe costata la viltà».

Ma c’è ancora qualcosa che non torna. Esistono due lettere a Nelson, stavolta firmate, citate da D’Errico e fotografate da Chiacchio.

Risalgono al 14 e 18 luglio 1799, dal San Sebastian. In perfetto inglese, uno stile fiero e borghese, ma con qualche incertezza e salamelecco di troppo: il medico rivoluzionario scrive all’ammiraglio di essere trattato «come prigioniero non rinchiuso, grazie ai vostri benevoli ordini». E anche qui c’è una richiesta di indulgenza: «Nutro grandi speranze di ottenere un completo perdono dalla clemenza del Re, mio misericordioso Sovrano».

L’ombra su Cirillo ritorna: fu un eroe o un traditore?

 

Paolo De Luca

“La Repubblica”  08.07.2014

 

Statistiche

Utenti registrati
137
Articoli
3178
Web Links
6
Visite agli articoli
15285836

(La registrazione degli utenti è riservata solo ai redattori) Visitatori on line

Abbiamo 424 visitatori e nessun utente online