Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

13 giugno 2014: ricordando il 1799

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Il pomeriggio del 13 giugno 2014, nella moderna e funzionale sala "Giorgio Nugnes" del Comune di Napoli in Via Verdi, 35, gentilmente messa a disposizione, si sono tenuti due eventi: il ricordo della fine della Repubblica Napoletana del 1799 e la presentazione dell'importante e prezioso ultimo libro della nostra sapiente direttrice dott.ssa Antonella Orefice, Delitti e condannati nel Regno di Napoli (1734-1862) nella documentazione dei Bianchi di Giustizia, con ampia e acuta prefazione di Antonio Illibato, Arte Tipografica Editrice, Napoli, maggio 2014, pp.138.

L'autrice, nel suo austero ed elegante nero, d'occasione e di dignità, ha fatto dono ai presenti con sensibilità, cortesia, rispetto, signorilità, di una copia del libro, suo personale "omaggio".

Noi presenti abbiamo sentito la serietà e la solennità dei due eventi, onorati dall'autrice e dagli altri relatori, che si sono posti nel suo solco, riprendendone spunti, con aggiunte e considerazioni varie.

Francesco Ruotolo, consigliere della III municipalità di Napoli, che ha molto sentito l'iniziativa, faceva notare amaramente, ma anche orgogliosamente, che quella era l'unica iniziativa in città, e si crede nel Mezzogiorno, che onorava la fine della nostra cara, gloriosa Repubblica e questo è un segnale tuttavia negativo del tono etico e civile napoletano, meridionale, nazionale tenue, che si avvicina tragicamente al grado zero.

Poichè il libro non era ancora in vendita e quindi era necessario un preliminare inquadramento, l'Autrice ha preso per prima la parola, raccontando anzitutto la sua emozione di ricercatrice nell'aver preso tra le mani quella preziosa documentazione dei Registri dei Bianchi di Giustizia, che preparavano e accompagnavano, con atto di carità e di conforto, cristiani e umani, i condannati al supplizio, dopo D'Ayala, Di Giacomo, Croce, Pontieri.

Con l'esplorazione più metodica da lei compiuta, cioè non relativa solo ai condannati a morte politici, ma di tutti, si è avuta una visione completa del periodo preso in esame (1734-1862), con risultati conoscitivi sorprendenti e inediti, quali la lunga serie di condanne emanate durante il Regno di Carlo III di Borbone, la cui immagine storica sembra innalzarsi solo di luce civile nelle sue indubbie memorabili iniziative (Reggia di Caserta, Albergo dei Poveri, Scavi di Pompei ed Ercolano ad es.), mentre emergono aspetti crudeli e disumani, quale l'uso del "sorteggio" dei condannati a morte in campo militare, pratica che offende principi elementari di giustizia, di umanità e di civiltà, nel secolo di Beccaria.

Occorre inoltre ricordare sempre che con i re borbonici Carlo III ed il criminale suo figlio Ferdinando IV si mantenne l'infame e arbitrario, nei suoi tanti effetti giudiziari, regime feudale, che per prima solo la Repubblica del 1799 pose all'ordine del giorno ai fini della sua abolizione, che finalmente Giuseppe Napoleone portò a termine con la legge memorabile del 2 agosto 1806.

Tra gli interventi è spiccato quello del prof. Guido D'Agostino, sapiente storico universitario, promotore di istituzioni di ricerca storica e di memoria civile, anche politico ed amministratore, che ha ricordato e rivendicato comunque le grandi iniziative del secondo centenario del 1799, alcune memorabili, in collaborazione con l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, con l'avvocato Gerardo Marotta in prima fila.

Ha bollato in modo deciso la dinastia borbonica come infame e assassina storicamente e che con la strage del 1799 creò un oggettivo divorzio tra essa, Napoli e il Mezzogiorno, che non si è più ricomposto e che è stato alla radice profonda della fine storica del Regno meridionale borbonico.

Rinnovare la memoria del 1799 è sempre doveroso, per il prof. D'Agostino, anche per la elementare necessità di individuarsi storicamente, civilmente, per poter rispondere a chi ci domanda "chi siete e come vi chiamiate". E noi possiamo rispondere con orgoglio e dignità: noi siamo quelli lì, quelli della Repubblica Napoletana del 1799, figli di quegli Eroi, di quei Martiri, figli di Eleonora de Fonseca Pimentel, di Ettore Carafa, di Mario Pagano, di Domenico Cirillo, di Vincenzio Russo e degli Altri.

A proposito dell'opera dei Bianchi faceva notare acutamente che il fine principale di essi era anzitutto quello di assicurare che i condannati morissero da cristiani, che fossero assicurati pentimento, l'obbedienza alla verità cristiana e alla Chiesa cattolica, e non vi fossero mai momenti pubblici di dissenso, di sfida, di agnosticismo, di ateismo, di scandalo pubblico e come furono presi dal panico di fronte ai casi di non pentimento nel 1799 di Vincenzio Russo e di Michele Morelli del 1822, condannato a morte con Giuseppe Silvati quali promotori del moto risorgimentale del 1820-1821, del cui drammatico e complesso svolgimento la Orefice accortamente e da onesta e rigorosa storica, quale è, riporta l'originale e la trascrizione.

In un intervento a commento del prof. D'Agostino, il prof. Nicola Terracciano dal pubblico faceva notare tuttavia che permangono, pur con tanti mezzi politici e finanziari avuti a disposizione, gli scandali dei Martiri del Carmine senza nemmeno una lapide e l'assassino Ferdinando IV al centro di Piazza Plebiscito.

Sono intervenuti nella presentazione anche Carlo Franco, giornalista di La Repubblica, Nicoletta Mazzone, collaboratrice del Nuovo Monitore Napoletano, ed Ela Rotoli, responsabile di Napoli di Amnesty International, che si batte contro la pena di morte nel mondo.

Il prezioso libro della Orefice, oltre una doverosa, essenziale prima parte di inquadramento storico sulla pena di morte e sulle efferate forme di svolgimento dell'estremo supplizio, che riguardò tanti che erano innocenti e non colpevoli di delitti, si sofferma sulle varie fasi del periodo studiato (Carlo III di Borbone 1734-1759, primo periodo di Ferdinando IV, la Repubblica Napoletana del 1799, il ritorno di Ferdinando IV e la controrivoluzione, il decennio francese, la restaurazione da Ferdinando IV a Ferdinando I, Francesco I, Ferdinando II e "Francischiello", riportando da pagina 61 a pagina 96 l'elenco analitico essenziale di tutti i giustiziati, che assommano nel periodo al totale di 662.

L'ultima parte del libro (da pagina 97 a pagina 113) è costituita da una preziosa "Appendice documentaria".

Segue una essenziale bibliografia.

Bisogna infine ricordare che il libro, per la sua ispirazione e composizione, compare sotto l'egida, con il patrocinio dell'Archivio Storico Diocesano di Napoli" e non a caso è dedicato dalla Orefice al suo esimio e raro direttore, il mons. prof. Antonio Illibato.

Egli è figura singolare di studioso rigoroso, onesto, aperto alle persone serie, devote e rispettose del documento e di una equilibrata obiettività storica, con intime e forti tensioni civili, che lo hanno posto in sintonia con figure importanti e poco note della chiesa napoletana come il liberale vescovo e cardinale Gennaro Di Giacomo (Napoli, 1796-Caserta, 1878), unico ecclesiastico senatore del Regno d'Italia, di cui coglieva con profezia il valore e l'importanza non solo per la storia d'Italia, per lo sviluppo civile e moderno della penisola, ma anche per i destini futuri della Chiesa cattolica liberata dal peso, dalla zavorra del potere temporale e tutta concentrata sulla missione, che è sua, di annunciare e testimoniare in modo autentico e fedele l'Evangelo.

Egli è stato vicino alla Orefice in questa impresa, alla sua "certosina fatica" (p. 6 della lunga, benevola 'Prefazione'', che si distende da pagina 5 a pagina 10), sapendo la ricchezza documentaria del fondo da lui riordinato, e pubblicando "Note storico-critiche e inventario dell'Archivio". Si tratta di 655 manoscritti, che furono trasferiti nel 1996 dalla sede polverosa e disordinata della confraternita della Compagnia dei Bianchi di Giustizia alla funzionale struttura dell'Archivio Diocesano.

Nella Prefazione è annunciata la continuazione del lavoro a ritroso, dal Settecento al Cinquecento, con sorprese che riguarderanno il processo Campanella e la vicenda di Masaniello.

Alla dott.ssa Orefice, Illibato esprime "un cordiale plauso e l'augurio di portare presto a termine il suo disegno di completare l'opera".

Questi sono i nostri stessi sentimenti.

 

 

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