Cesare Rosaroll, sangue napoletano per la Repubblica Veneta di San Marco

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Categoria: Storia del Risorgimento
Creato Martedì, 08 Aprile 2014 19:27
Ultima modifica il Lunedì, 14 Aprile 2014 19:16
Pubblicato Martedì, 08 Aprile 2014 19:27
Scritto da Angelo Martino
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Cesare RosarollMariano D’Ayala, biografo dei grandi patrioti risorgimentali, anche per Cesare Rosaroll non ha mancato di spendere  parole di stima nel narrarne le virtuose gesta.

Figlio del Generale e Patriota napoletano Giuseppe, esiliato dal regime borbonico  per aver fatto parte della rivolta costituzionale del 1820 di Napoli, Cesare Rosaroll (Roma, 28 novembre 1809 – Venezia, 27 giugno 1849), seguì il padre nell'esilio in Spagna e in Grecia, dove il Generale morì in combattimento nell'esercito rivoluzionario greco.

Tornato a Napoli, nel 1830 entrò nell'esercito borbonico come soldato semplice di cavalleria.

Nel 1833 progettò, con il caporale Vito Romano e il tenente Francesco Angelotti, un attentato a Ferdinando II nella speranza che il suo successore, il principe di Capua, fratello del re, concedesse la Costituzione sul modello della Costituzione spagnola del 1812.

Fallito il piano, Rosaroll fu condannato a morte, ma la pena fu poi commutata in ergastolo e successivamente a  24 anni di reclusione.

Allorché fu concessa l’amnistia ai detenuti politici, Rosaroll riacquistò la libertà dopo undici anni di prigionia il 27 gennaio 1848. Il 13 aprile dello stesso anno partì da Napoli al comando di un battaglione di volontari per partecipare alla I guerra d’Indipendenza.

Il 13 maggio combatté presso Curtatone, contrattaccando il nemico “ con foga vesuviana”, ma rimase ferito alla coscia destra. Dieci giorni dopo, come riconoscimento del suo valore, il Ministro della Guerra della Toscana gli conferì un’altra decorazione al merito.

Non appena guarito, agli ordini di Guglielmo Pepe, prese parte alla brillante sortita di Mestre, in qualità di comandante dell’avanguardia della colonna centrale e  fece prodigi di valore.

Il generale napoletano Guglielmo Pepe, nel suo ordine del 29 ottobre, scrisse di lui: “ Il capitano Sirtori, il maggiore Rosaroll ed il capitano Cattabene, arditi fino alla temerità., con un pugno di bravissimi Lombardi, si diedero a scacciare gli Austriaci casa per casa, ed aprirono la via ai nostri, che occuparono la città militarmente”.

Cesare Rosaroll esultò quando seppe che, il 12 aprile 1849, l’Assemblea veneta aveva respinto l’intimazione di resa del generale Haynau e , nello stesso tempo, aveva approvato la tremenda decisione di resistere contro l’Austria ad ogni costo, accordando poteri illimitati a Daniele Manin. E la sua esultanza si rinnovò allorché Manin oppose un deciso rifiuto ad una nuova intimazione di resa, fatta personalmente dal Maresciallo Radetzsky il 5 maggio di quell’anno.

Dopo la sortita di Mestre, le battaglie continuarono al forte di Marghera bombardato dal nemico.  Rosaroll non si limitò ad un’eroica difesa ma, come ha scritto Mariano D’Ayala, “ ogni notte, coi suoi valorosi soldati, andava “ da vicino a tribolare il nemico”, al quale poi, di giorno, lanciava “ intrepidamente” una sorta di sfida.

Per gli innumerevoli atti di valore  Rosaroll ottenne la promozione da maggiore a tenente colonnello.

Dopo la caduta del forte nelle mani degli austriaci, venne destinato al comando della grande batteria di Sant’Antonio dove ebbe occasione di rivelare in pieno le sue straordinarie qualità di eroe.

“Il fuoco nemico rallenta, il nostro lavoro continua con alacrità. Scriva a Venezia che il coraggio non ci manca, e che la mia bandiera, lacera e distrutta dalle palle, su un’asta spezzata e legata con corda, sorge più gloriosa” - scrisse in un rapporto al suo comandante Enrico Cosenz.

Il 27 giugno, sebbene colpito da un “ accesso di febbre”, non volle abbandonare il campo di battaglia, anzi, in quel giorno, più degli altri giorni, si rivelò più attivo e temerario. Un vasto incendio si sviluppò tra le balle di cotone ed una granata nemica fece saltare per aria una polveriera.

Rosaroll riuscì ad infondere coraggio  nei suoi soldati, e provvide poi, in modo fulmineo, a riparare i danni e a far riprendere il fuoco ai cannoni rimasti efficienti. Subito dopo  salì sul parapetto, per osservare e sfidare il nemico, ma una palla di cannone, “ strisciandogli la spalla sinistra”, lo gettò violentemente  a terra.

Nonostante gli immediati soccorsi dei soldati e del generale Pepe non riuscì stavolta a scampare alla morte.  Le sue ultime parole furono per la Patria:  “Non io che muoio, ma l’Italia deve essere l’oggetto delle vostre cure”. Al sacerdote che fu chiamato per l’estrema confessione  ebbe giusto il tempo di rispondere: “ Non ho alcun amico al mondo, se si eccettuino gli Austriaci e il Re di Napoli”.

I funerali furono celebrati in forma solennissima nella basilica di San Marco per omaggiare altro sangue napoletano sacrificatosi per la Repubblica di San Marco, un anno dopo il sacrificio del patriota e poeta napoletano Alessandro Poerio.

 

 

Bibliografia:

Mariano D’Ayala, Cesare Rosaroll- tenente colonnello 1849,  1° edizione Torino, 1859