La mia ammirazione per la Francia
E’ vero! Io ho un debole per la Francia. Il mio amore per questa nazione è cominciato sui banchi di scuola ed è continuato per tutta la vita. Ricordo che quando frequentai il Liceo Scientifico di Agnone dal 1953 al 1958 iniziai a studiare il francese. Allora in questo Istituto era l’unica lingua straniera che veniva appresa. Era una materia che appariva ancora più importante nella mia mente perché era insegnata dalla preside in persona, Custode Carlomagno. Ricordo un episodio che mi accadde quando fui interrogato per la prima volta in francese dalla Preside nel primo trimestre del 1° liceo. L’interrogazione non andò molto bene, tanto è vero che la Preside delusa ebbe a dire: «Eppure avevo avuto una buona impressione di quest’alunno!». Quando fui interrogato la seconda volta mi preparai così bene che la Preside cambiò giudizio affermando: «E’ il caso di dire che la prima impressione non sbaglia mai!». Tra gli argomenti di quella felice salvifica interrogazione vi era una lettura, rimasta fortemente impressa nella mia memoria, intitolata «Les oreilles du roi Midas». Da allora divenni il beniamino della Preside e cominciò il mio amore per la Francia e la lingua francese. Quando frequentai l’Università a Napoli, durante un esame di francese, che superai con il massimo dei voti, commisi un lapsus: parlando di Luigi XIV a un certo momento dissi «le Roi du Soleil» al posto de «le Roi-Soleil», che fece sorridere il professore che mi interrogava. Non dimentico nemmeno l’interessante corso per corrispondenza, che ebbi con il Service Culturel Français di Palazzo Farnese, sede dell’Ambasciata di Francia a Roma. Il corso era diretto da Henri Madricardo. Poi mi sono abilitato in lingua e letteratura francese e il caso ha voluto che cominciassi l’insegnamento di questa materia nello stesso liceo e con la stessa Preside di cui ho parlato. Il primo contatto diretto che ho avuto col suolo francese rimonta alla mia partecipazione a un pellegrinaggio a Lourdes che ebbe luogo dal 23 al 30 luglio 1968, pressappoco agli inizi del mio insegnamento. Fu un pellegrinaggio mariano che mi portò, dopo Lourdes, sul Delfinato, nel santuario di Notre-Dame de la Salette. Fu un incontro con la Francia religiosa, che aveva in Lourdes il più grande santuario mariano della Chiesa Cattolica, luogo di speranza e di miracoli. In quei primi anni di insegnamento della lingua francese fui preso anche dal desiderio di visitare Parigi. L’interesse per la capitale della Francia fu così forte che, prima di andarla a visitare, studiai tutte le guide a suo tempo esistenti su di essa, sia quelle italiane che francesi. Mi preparai a tal punto che ero in grado rispondere a qualsiasi domanda su Parigi. E finalmente giunsi nella Ville Lumière nell’agosto del 1970 e vi restai per un intero mese. Ero così assetato di visitarla che non saprei dirvi l’ infinità di volte che sarò entrato e uscito dalla metropolitana. Ho nostalgia delle passeggiate lungo i boulevard, dei tanti musei visitati, del fascino serale della Senna. In particolare sono vivi nella mia memoria le visioni di questa città dalla Tour Eiffel, dall’Arc de Triomphe di Place de l’Etoile e da una delle torri di Notre-Dame. Durante quel mese di agosto seguii anche un corso all’Alliance Française, partecipando una sera nel suo Foyer des Étudiants ad una gara di quiz su Parigi con relativo premio. In atmosfera multietnica di giovani provenienti da ogni parte del mondo partecipai e vinsi ex aequo insieme a un marocchino un concorso con domande su Parigi. La mia ammirazione per questa città mi portò allora quasi a rimproverare il sacerdote che dirigeva la chiesa di Saint Roch per aver visto una lapide spezzata sulla tomba di un illustre personaggio francese. Tra i musei visitati, oltre al Louvre, mi è rimasto impressa la visita che feci a quello che si trova nell’interno dell’Arc de Triomphe de l’Etoile, che con una serie di documenti e fotografie informa come la Statua della Libertà, che si trova a New York, realizzata da Bartholdi, fu un dono della Francia agli Stati Uniti d’America. Grande emozione provai anche nel visitare la casa di Victor Hugo a Place des Vosges o quando entrai nel Panthéon, luogo commemorativo dei grandi uomini d’Oltralpe. Non dimenticherò mai quando presi il treno nella Gare de Montparnasse per recarmi a Versailles. Ricordo che feci il percorso insieme a un professore universitario inglese. Tra noi il discorso cadde sulla Francia. Io misi in evidenza l’instabilità e le contraddizioni del popolo francese che aveva sperimentato Regno, Reggenze, Rivoluzione, Direttorio, Consolato, Impero e varie Repubbliche. Al che il professore inglese mi disse: «Le peuple français est contradictoire, mais il marche!». Volle cioè dirmi che la Francia, pur tra tante varietà e contraddizioni, riusciva ad andare ben avanti. Sull’onda dell’entusiasmo del mio primo lungo soggiorno parigino, ritornai in questa città qualche anno dopo insieme con un mio zio, che doveva con me raggiungere Amsterdam. Fummo in quella occasione ospiti di una famiglia francese che viveva ad Antony, a sud di Parigi. Ho insegnato per buona parte della mia vita la lingua e la civiltà francese agli alunni delle scuole superiori di Agnone, i quali spesso ricordano la passione che mettevo in questo insegnamento e nel parlare soprattutto di Parigi e degli aspetti culturali che la rendono unica nel mondo. La mia esperienza come docente di francese è una lunga storia da raccontare. Il contatto con le numerose classi, i molti alunni, i tanti compiti da fare, i continui consigli di classe, ecc. fu tale che mi impegnò profondamente. Uno dei miei alunni, che ho recentemente incontrato, ricordava a memoria i pochi versi di una poesiola di Voltaire che avevo fatto imparare e che aveva come titolo «La politesse (La cortesia)». Essa diceva: «La politesse est à l’esprit / ce que la grâce est au visage:/ de la bonté du coeur elle est la douce image/ et c’est la bonté qu’on chérit (La cortesia è per l‘anima/ciò che la grazia è per il viso:/ della bontà del cuore essa è la dolce immagine / ed è la bontà che si predilige)». Era una piccola poesia che faceva riflettere gli alunni sull’importanza di essere gentili. Quando lasciai l’insegnamento donai in ricordo ai miei allievi un libro, che allora pubblicai, intitolato «Pessimisme et foi» (Pessimismo e fede). Esso evidenziava come quattro importanti autori della letteratura francese (Maupassant, Mauriac, Bernanos e Camus) avessero una visione pessimistica della condizione umana, e che cosa proponevano per superarla. I leitmotiv principali del loro pessimismo erano la solitudine, la sofferenza e la morte dell’uomo. Maupassant non vedeva possibilità di salvezza; Mauriac e Bernanos vedevano la speranza solo nella fede religiosa, mentre Camus, da ateo esistenzialista, scorgeva una speranza di superamento del pessimismo solo nel solidale sforzo umano di poter vincere un giorno i limiti imposti dalla natura. Anche andando in pensione io non ho mai interrotto il mio rapporto con la Francia e con la sua cultura. Ho seguito spesso attentamente anche la vita politica francese. A tale proposito mi piace ricordare che dopo le ultime Elezioni Presidenziali, in data 11 maggio 2012, ho inviato a François Hollande, nuovo presidente della Repubblica Francese, una lettera di auguri. In essa precisavo che «per l’amore che ho per la Francia e per la sua grande storia, Le auguro un buon lavoro che possa essere utile non solo per il popolo francese ma per l’intera Europa». Nella sollecita risposta del 29 maggio 2012 il neo eletto Presidente della Repubblica Francese anzitutto mi ringraziava per il «message de soutien» che gli avevo inviato e al quale era stato «particulièrement sensible». Poi dopo avermi ringraziato «chaleureusement» mi assicurava «de son ambition d’être le Président d’une France généreuse qui porte haut les valeurs de respect, de tolérance et de progrès dans le monde (della sua ambizione d’essere il Presidente di una Francia generosa che porta in alto i valori di rispetto, di tolleranza e di progresso nel mondo)». La Francia mi rimane soprattutto nel cuore per le sue cattedrali gotiche, che si innalzano vorticosamente verso il cielo come una preghiera, per l’interesse che ho sempre nutrito per i suoi importanti eventi storici, tra cui quelli democratici della sua Rivoluzione, per i tanti volti della sua arte e in particolare della sua letteratura, per l’ampio contributo dato alla scienza e per “l’amour sacré de La Patrie”, come afferma l’inno nazionale “La Marseillaise”. E ovviamente per i principi morali e politici di «liberté, égalité, fraternité» e per la bellezza di Parigi. Mi sento, per così dire, anch’io un po’ “enfant de la Patrie”, non solo perché ammiro la Francia, ma anche perché in fondo i Francesi non sono che gli Europei che vivono o hanno deciso di vivere nell’ Esagono, dove essi hanno sempre pensato che tutto ciò che vi accade ha una valenza di «grandeur», che interessa non solo la loro nazione, ma l’Europa e il mondo.
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