Napoli prima della Rivoluzione (Luglio 1798 – Gennaio 1799)

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Lo studio del prof. Antonio Mucciaccio, “Napoli prima della rivoluzione (Luglio 1798 – Gennaio 1799), è stato estratto da “Almanacco del Molise 1999” Edizioni Enne, ed è qui riproposto, suddiviso in più articoli, a cura di Maria Assunta Fazzano.

[Parte I - Notizie tratte dalle relazioni e dal “Rapporto storico – politico” di Estore Martinengo Colleoni, ambasciatore della Repubblica Cisalpina presso la corte di Napoli]

Nel 1985, trovandomi a Milano, mi sono messo alla ricerca di tracce e documenti utili a ricostruire in modo dettagliato il soggiorno milanese (1801 – 1806) dell’esule Vincenzo Cuoco, scampato alla rovina della repubblica napoletana del 1799. Il mio intento era quello di conoscere in particolare gli insegnamenti impartiti dal molisano al giovane Alessandro Manzoni, attraverso le lunghe perenigrazioni che i due facevano per le strade di Milano, per accompagnarsi vicendevolmente a casa, come lo stesso Manzoni, da vecchio, riferiva a Raffaele Masi nel 1861:

Il nome poi che [il Manzoni] più aveva in bocca era quello del Cuoco e faceva gran conto dei suoi scritti politici. Il “Saggio sulla rivoluzione napoletana” era tra i libri che aveva più letti, e non v’era cosa ivi accennata, o descritta, ch’ei non ricordasse. Vincenzo Cuoco, diceva, essere stato il primo a scrivere che la libertà non era possibile senza l’unità (1), e che, per unire la nazione, bisognava innanzi tutto metter fuori gli stranieri. Insomma quasi lo diceva suo maestro in politica, e narrava come, per molto tempo, soleva ogni giorno accompagnarlo nelle passeggiate con grande diletto scambievole, poiché a lui piaceva udirlo ed imparare, al Cuoco insegnare e discorrere. Ed erano contenti l’uno dell’altro, che spesso, ridotti a casa, il Cuoco voleva uscire, ed usciva di nuovo, per accompagnare il Manzoni, ed il Manzoni per ricondurre a casa il Cuoco, e non c’era verso di farla finita”.

Questa testimonianza, unitamente ad altre fonti e documenti (lettera del Manzoni al Pagani del 1804; recensione del Cuoco nel “Giornale Italiano”, al carme del Manzoni “In morte di Carlo Imbonati”1806; lettera del Manzoni al Fauriel del 1811; lettera del Tommaseo del 1855; lettera dello stesso Tommaseo a Pasquale Albino, del 1869; lettera inedita di Pasquale Albino ad Alessandro Manzoni, del 1869; testimonianze di Baldassarre Labanca del 1871), mi fecero frequentare la biblioteca del Manzoni (ove, tra l’altro ho rinvenuto il volume di Pasquale Albino: “Biografie e ritratti degli uomini illustri della Provincia del Molise”) e le sale manzoniane della biblioteca di Brera.

In seguito mi misi alla ricerca di documenti per ricostruire l’attività giornalistica del Cuoco in qualità di fondatore e direttore del “Giornale italiano”. E a tal fine, ripetutamente mi recai in via Senato, nella sede dell’Archivio di Stato, per consultare carte e atti dei primi anni del secolo decimottavo, e particolarmente il fondo Melzi.

Quivi ebbi la ventura di rinvenire una lettera, inedita, scritta a Monza in data 17 agosto 1803 dallo stesso Francesco Melzi d’Eril, vice Presidente della Repubblica Italiana, e diretta al Consigliere di Stato Luigi Vaccari, rguardo proprio il progetto presentato dal Cuoco per la fondazione del “Giornale Italiano”:

Giornale italiano“Il progetto del Giornale del cittadino Cuoco che vi restituisco, entra perfettamente nelle mie viste; rimarrà quindi a concertarsi con lui il modo per la corrispondente stampa” (Archivio di Stato di Milano, Fondo autografi, 124/7).

Tale documento colma finalmente un vuoto, già evidenziato da Nicolini e Cortese nel II volume dell’edizione laterziana (1924) degli “Scritti vari” del Cuoco.

“Nessuno dei documenti finora conosciuti dice in qual tempo e fino a qual punto codesto programma (del Giornale Italiano) ottenesse l’approvazione governativa”.

Sulla copertina della cartella che contiene, tra gli altri, questo documento, il Peroni, direttore dell’Archivio di Stato, scrisse ai suoi tempi queste notizie su Vincenzo Cuoco, con diversi errori:

"Cuoco Vincenzo, patria: Campanaro (sic!) nel Reame di Napoli.

Qualifiche: uno dei più zelanti discepoli della scuola di Vico e di Filangeri (sic!), dei più caldi sostenitori della Repubblica Partenopea nel 1799 – membro del Consiglio di Stato e cavaliere della Corona di Ferro nel 1810 – poi direttore del Pubblico Tesoro – pubblicista e storico di molto nome – n. 1770, m. 1823”.

Ma nel mentre ricercavo  documenti e notizie sul Cuoco, mi sono imbattuto nelle carte di Estore Martinengo Colleoni (Archivio di Stato di Milano, Fondo Melzi, busta 22) e in un “Rapporto storico – politico” da lui scritto al termine della sua missione a Napoli (luglio 1798 – gennaio 1799) in qualità di ambasciatore della Repubblica Cisalpina.

Estore Martinengo Colleoni, nato a Brescia nel 1763, dopo aver trascorso gli anni giovanili dedito agli studi e alla vita militare, aderì alle idee portate dalla Francia con l’armata napoleonica, piantò l’albero della libertà e scrisse contro la decadente oligarchia veneta, propugnando l’idea dell’unione tra tutti gli italiani.

Nel 1797 fu tra coloro che insistettero presso Napoleone per la proclamazione della Repubblica Cisalpina, nella quale fu tra i rappresentanti del Dipartimento del Mella.

Nel 1798 fu inviato dal Direttore Esecutivo della Repubblica Cisalpina come ambasciatore presso la corte di Napoli, ove giunse il giorno 2 termifero (20 luglio), e qui svolse il suo incarico fino alla fine del gennaio 1799.

Il Martinengo partecipò quindi come testimone di prima fila all’incalzare degli eventi che portarono la corte di Napoli a dichiarare guerra alla Francia, ad intraprendere la fallimentare spedizione contro la Repubblica Romana, con la precipitosa ritirata, la fuga dell’intera corte in Sicilia, la proclamazione della Repubblica Napoletana, l’ingresso delle truppe francesi con a capo il generale Championet.

Rientrato a Brescia portò a termine, in data 9 aprile 1799, la stesura per il Direttorio Esecutivo di un Rapporto storico – politico sulla missione di Napoli, che unitamente all’intero archivio della legazione, “fortunatamente conservato”, venne rimesso, nel dicembre 1802, al “cittadino Melzi D’Eril, vicepresidente della Repubblica Italiana”.

Si tratta di documenti importantissimi che diffondono molta luce su avvenimenti che hanno segnato, con ritmo incalzante, la vigilia della sfortunata repubblica napoletana del 1799.

Del Martinengo Colleoni così scrisse il suo amico Francesco Gambara:

 “Se fossero fatti di comune diritto i molti inediti scritti di lui intorno ai politici avvenimenti e diplomatici negozii, ch’egli per rapporti suoi particolari o pei sostenuti uffici si trovò a portata di conoscere, molta luce ne verrebbe alla storia”.

 

Il “Saggio storico” di Vincenzo Cuoco riporta molti dei fatti e degli eventi registrati dall’ambasciatore Martinengo, ma di altri non dà notizie, anche perché il “Saggio” è cosa diversa da una relazione diplomatica.

Non abbiamo nessun elemento che ci possa far supporre una eventuale conoscenza del giovane Vincenzo Cuoco con l’ambasciatore Martinengo durante la sua missione a Napoli, ma possiamo ipotizzare con buona sicurezza incontri avvenuti tra i due in Milano, negli anni dal 1801 al 1806, quando il Martinengo faceva parte del Corpo Legislativo della Repubblica Italiana, con importanti incarichi, tra cui quello di delegato ai comizi di Lione, e il Cuoco acquistava notorietà e fama col “Saggio storico”, il “Giornale Italiano” e il “Platone in Italia”.

Il Cuoco ha consegnato alla storia l’epopea della repubblica napoletana del 1799, soffocata nel sangue e nelle feroci esecuzioni dei patrioti, i cui nomi illustri hanno fatto conoscere all’intera Europa l’immane tragedia, e ciò ha contribuito a spostare l’attenzione degli studiosi più sugli esiti della repubblica, che sugli antefatti.

Le carte del Martinengo, al contrario, hanno il merito di informarci proprio sugli antefatti e su molti particolari aspetti, che arricchiscono ulteriormente le nostre conoscenze sul periodo preso in esame.

Le relazioni diplomatiche ci danno notizie di cronaca in presa diretta, mentre il “Rapporto storico – politico” è un racconto ragionato degli eventi, con spunti e riflessioni riferiti a contesti politici più vasti, quali lo stato della Repubblica Romana e della Toscana, i rapporti tra la Francia e le repubbliche giacobine in Italia, la perorazione della causa dell’Italia unita e alleata della Francia.

Martinengo svolge la sua funzione di “ministro plenipotenziario della Repubblica Cisalpina presso la corte di Napoli” in condizioni di estrema difficoltà. Per far passare i suoi rapporti, li inoltra nelle varia direzioni e nelle diverse sedi, affinché possano pervenire nelle sicure mani dei rappresentanti della Repubblica Cisalpina, superando e aggirando le intercettazioni messe in atto dalle reti spionistiche allestite dalla Corte di Napoli, con in testa la regina Maria Carolina, i suoi ministri più fidati e i suoi agenti inseriti in tutti i paesi e in tutte le corti d’Europa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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