La costituzione in Napoli nel 1820” di Gabriele Rossetti: il sogno tradito

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Categoria: Storia del Risorgimento
Creato Mercoledì, 05 Febbraio 2014 23:12
Ultima modifica il Domenica, 09 Febbraio 2014 11:30
Pubblicato Mercoledì, 05 Febbraio 2014 23:12
Scritto da Angelo Martino
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Gabriele RossettiQuando Ferdinando I di Borbone fu costretto a concedere la Costituzione nel 1820 in seguito all’insurrezione che iniziò con un reparto di circa 130 uomini e 30 ufficiali di stanza a Nola, comandato dal tenente Michele Morelli, facendosene ingannevolmente, subdolamente garante, il poeta e patriota Gabriele Rossetti salutò l'avvenimento con la lirica “La Costituzione in Napoli nel 1820”, intrisa di fervore patriottico ed entusiasmo.

Quando il re soppresse la Costituzione, mostrando ancora il tradimento verso la parola data ai patrioti del suo Regno,  e usando la Santa Alleanza dell' esercito austriaco, Rossetti divenne un ricercato.

Proprio lui, che aveva tanto decantato il “nobile” gesto del Borbone, pur non condannato a morte come lo furono i martiri Michele Morelli e Giuseppe Silvati, sperimentò sulla sua pelle le dure conseguenze del tradimento borbonico.

Dopo essersi nascosto per tre mesi, lady Moore, moglie dell' ammiraglio britannico a Malta, che adorava le sue liriche, lo aiutò a  fuggire via da Napoli fino a Malta camuffato con un' uniforme da luogotenente navale britannico, a bordo della nave ammiraglia Hms Rochfort di suo marito.

Da Malta il Rossetti scrisse con sommo rimpianto: “Addio, terra sventurata per il re fellon” ed espresse tutto il suo rammarico in una lettera del 2 giugno 1840 all’amico dantista Charles Lyell:

 

“Venuta la rivoluzione del 1820, le mie Odi civiche furono accolte con tale entusiasmo dal pubblico che veramente pareva un furore. La poesia fu il principio di mia fama letteraria, ella il fu della mia disgrazia... il Re, che mi vide sì distinto dal pubblico, temendo ch’io avessi su lui influenza, cominciò ad odiarmi a morte, e voleva avermi nelle mani; e chi sa che sarebbe stato di me! Ma io mi era nascosto. Le mie odi, eh ‘erano giunte fin in Inghilterra, erano state ammirare da Lady Moore, moglie dell’ammiraglio Sir Graham Moore. Venuta a Napoli quella Signora, volle conoscermi, mi accolse con amorevolezza e mi colmo di gentilezza. Caduta la rivoluzione, ella disse al marito: Salvami Rossetti. Mi fu offerto un asilo sul vascello ammiraglio, il Rochfort, ma prima ricusai, e poscia accettai. Due uffiziali inglesi, speditimi da quel signore benevolo, mi vestirono da uffiziale, con uniforme inglese, e mi condussero in carrozza sul naviglio. Così di 7 milioni di abitanti che quel regno contiene, io solo fui salvato dalla generosità di questa magnanima nazione; e qui ripeto: la poesia avea prodotto la mia riputazione, ella la mia sventura, ella la mia salvazione. Fui condotto a Malta, dov’era stato preceduto dalla Fama.”

In esilio il Rossetti rimpianse tanto di aver scritto parole di speranza, di aver confidato in un re Borbone. La lirica “La Costituzione in Napoli nel 1820”, inneggiava nel prosieguo al grande giorno che era giunto per la novella felicità, per la redenzione scolpita su ogni fronte, per la gloria che riviveva. I potenti avevano compreso che non si poteva esser sempre occulti e pertanto “ non sogno questa volta, non sogno di libertà”.

L’opera era giunta al suo coronamento e la patria poteva che  ringraziare la divinità per quella intensa luce che l’avvolgeva . Tali furono le speranze, i sogni  traditi di tanti patrioti, di cui solo due pagarono con la vita: Morelli e Silvati.

E quante volte Gabriele Rossetti in terra straniera pensò all’obbrobrio del nuovo tradimento del re, di quel rinnovato disonore dei Borbone, di quel sogno di libertà miseramente tradito.

La costituzione in Napoli nel 1820

Di sacro genio arcano Al soffio animatore, Divampa il chiuso ardore Di patria carità: E fulge omai nell’arme/ La gioventù raccolta: Non sogno questa volta. Non sogno libertà! Dalle nolane mura/ La libera coorte Gridando: «A Monteforte!» Alza il vessillo e va. La cittadina tromba/ Lieta squillar s’ascolta: Non sogno questa volta, Non sogno libertà! Fin dal fecondo Liri all’Erice fiorito/ Quel generoso invito/ Più vivo ognor si fa; E degli eroi la schiera/ Sempre divien più folta: Non sogno questa volta. Non sogno libertà! Si turba il Re sul trono/ Al grido cittadino, Ché teme in sul destino/ Di sua posterità; Ma di ragione un raggio/ Ogni sua nebbia ha sciolta: Non sogno questa volta, Non sogno libertà! Di che temer potea In mezzo ai figli suoi? Un popolo d’eroi/Omai l’accerchierà; Né più vedrassi intorno/ Turba fallace e stolta: Non sogno questa volta, Non sogno libertà! Difenderem ne’ suoi I nostri dritti istessi: Finché non siamo oppressi. Offeso ei non sarà; Ogni oste a noi nemica /Qui resterà sepolta: Non sogno questa volta, Non sogno libertà! Giungesti alfin, giungesti /O sospirato giorno! Tutto ci brilla, intorno/ Di nuova ilarità; Redenzïon di patria/ In ogni fronte è scolta: Non sogno questa volta, Non sogno libertà! La rediviva gloria/ Per ogni via passeggia, E torna nella reggia/ L’espulsa verità. La mascherata fraude / Fra le sue trame è colta: Non sogno questa volta, Non sogno libertà! Già coronata è l’opra: Patria, ringrazia il nume: O qual ti cinge un lume/ Di nuova maestà! Chi fia che più ti dica Barbara terra incolta? Non sogni questa volta. Non sogni libertà!

 

 

 

Riferimento Bibliografico

Amedeo Quondam, Risorgimento a memoria,  Donzelli, 2011