L’economia è una “vera” scienza?
A questo stato di cose non corrisponde però un adeguato livello di riflessione epistemologica sui fondamenti della disciplina. Anche all’estero, dove pure qualche buon libro di filosofia dell’economia esiste, gli studi non abbondano, mentre in Italia la situazione è ancora peggiore nonostante la presenza di alcuni studiosi di valore. Mette allora conto notare che gli esponenti della Scuola economica austriaca, e in particolare Ludwig von Mises e Friedrich von Hayek, hanno dedicato importanti riflessioni a questo tema. Per esempio Hayek ritiene che gran parte dei problemi che oggi affliggono le discipline sociali siano dovuti all’insensata ambizione di imitare le scienze fisico-matematiche, adattando i loro metodi a un campo che deve invece essere indagato con strumenti diversi e specifici. Nelle pagine di molti suoi scritti ritroviamo un ulteriore elemento di grande attualità: la polemica contro il cosiddetto “scientismo ingenuo”. I metodi che gli scienziati o coloro che sono affascinati dalle scienze naturali hanno così spesso cercato di imporre alle scienze sociali – egli afferma – non erano sempre quelli che gli scienziati di fatto adottano nel proprio ambito di ricerca, ma piuttosto quelli che essi “ritenevano” utilizzati dagli scienziati stessi. E le due cose non sono affatto identiche. Lo aveva già sottolineato Max Weber nel suo celebre volume “Il metodo delle scienze storico-sociali”. Troviamo, in queste considerazioni, una perfetta fotografia della crisi che ha investito negli ultimi decenni gran parte della filosofia della scienza. A partire dai tempi del Circolo di Vienna, e cioé nei primi anni del ’900, i neopositivisti crearono una complessa struttura destinata, nelle loro intenzioni, a svelare i meccanismi del metodo scientifico. Il modello da seguire era sempre e comunque la fisica, cui tutte le altre discipline – incluse quelle storico-sociali – dovrebbero adeguarsi. Tuttavia gli stessi fisici hanno notato che una simile impresa è quanto mai aleatoria, non esistendo “il” metodo scientifico universale di cui parlavano i neopositivisti. Di qui, tra l’altro, la crisi dell’epistemologia nella sua versione positivista, il sorgere del falsificazionismo di Popper, l’anarchismo metodologico di Feyerabend. E’ anche opportuno osservare che nel nostro Paese, essendo la filosofia della scienza giunta con notevole ritardo, si è continuato per parecchio tempo a fare ricerca su temi ormai superati, dando così vita a una sorta di “scolastica” che poco o nulla aggiungeva a quanto già detto in passato. Per quanto riguarda le scienze sociali, il giudizio di Hayek e degli altri esponenti della Scuola austriaca è molto netto. Esse non si occupano dei rapporti tra cose, ma di quelli tra uomini e cose e tra uomo e uomo, e uno dei loro scopi principali è spiegare i risultati non voluti o non prestabiliti delle azioni degli esseri umani. Ne consegue che la maggior parte degli oggetti che riguardano l’azione sociale o umana non sono “fatti oggettivi”, nel particolare senso ristretto in cui tale espressione è usata nelle discipline fisico-matematiche, ed è contrapposto al termine “opinioni”, né possono per l’appunto essere definiti in termini fisici. Quando si tratta di azioni umane – afferma Hayek – le cose sono quelle che gli agenti pensano che siano.
E ciò significa che le scienze sociali studiano fenomeni che risultano comprensibili solo perché l’oggetto dell’analisi ha una struttura simile alla nostra: non è il mondo fisico, ma la mente umana a occupare il centro della loro attenzione. In campo economico, per esempio, le “leggi di produzione” non sono leggi nel senso in cui le intendono le scienze naturali, ma costituiscono opinioni degli esseri umani su ciò che essi possono fare. Hayek e Mises, insomma, spezzano più di una lancia in favore della specificità delle scienze sociali e combattono coerentemente contro i miti e gli idoli imposti dai vari tipi di scientismo. E’, questo, un aspetto del loro pensiero che andrebbe maggiormente valorizzato, indipendentemente da ciò che si pensa del liberismo di cui furono esponenti di spicco.
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