In Calabria un vecchio Olmo fa ancora parlare di sè

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L'Olmo di MontepaoneI 215 anni della “primavera” napoletana – come opportunamente ci ricorda Antonella Orefice – offre l’occasione  per riparlare del contributo che la Calabria diede alla Repubblica giacobina del 1799. E allo stesso tempo dell’unico esemplare che oggi passa per essere stato l’albero della libertà che ancora sopravanza nel Regno di Napoli e che si trova a Montepaone in provincia di Catanzaro.

Già quindici anni fa, in occasione del bicentenario, avemmo l’opportunità di commemorare i quindici calabresi che finirono impiccati in piazza Mercato a Napoli: Giuseppe Schipani, Agamennone Spanò, Pasquale Assisi, Onofrio De Colaci, Francesco Antonio Grimaldi, Pasquale Baffi, Domenico Bisceglia, Vincenzo De Filippis, Giuseppe Logoteta, Gregorio Mattei, Luigi Rossi, Pietro Nicoletti, Anton Raffaele Doria, Andrea Mazzitelli, Carlo Muscari.

A essi va aggiunto l’arcivescovo di Potenza, Andrea Serrao, originario dell’allora Castelmonardo, oggi Filadelfia, ucciso nella sua casa dalle orde sanfediste.

Così pure di soffermarci, affiancati da autorevoli studiosi, su tutti Gerardo Marotta, sulla bontà della nostra ipotesi (cfr. Calabria Letteraria, 1986) secondo la quale, appunto, l’olmo che svetta, oggi ahimè piuttosto acciaccato, nella piazza principale di Montepaone sia un albero della libertà.

L’uso di innalzare questi alberi prese corpo in Italia e in Europa  nella seconda metà del XVIII secolo, allorché, dopo il 1792, si assistette alla nascita di una serie di repubbliche sotto l’egida della Grande nation francese.

E fu appunto nel frangente in cui a Napoli, dopo la precipitosa fuga di Ferdinando IV e famiglia  a Palermo, con la nave ammiraglia di Nelson (23 dicembre 1798), venne proclamata la repubblica (23 gennaio 1799), che nel territorio del Regno si incominciò a piantare un albero, detto della libertà. Che generalmente era un olmo e nei casi eccezionali anche un semplice palo opportunamente addobbato.

Quasi sempre – scrive Peter Nichols in Rosso cardinale (Editori Riuniti, 1983) – era «il solito olmo sdradicato e sormontato da un berretto frigio, a simboleggiare la libertà; più in basso erano state fissate al tronco un’ascia e una lancia, a indicare la forza a disposizione della rivoluzione, e ancor più in basso nastri colorati pendevano da un cerchio che significava l’uguaglianza per tutti dei diritti e dei doveri.

Intorno a esso si inneggiava alla nascita della nuova era, sotto la quale sarebbero prevalse la Libertà, l’Uguaglianza e la Fratellanza. Si celebravano persino dei matrimoni, detti “cittadini”, là dove gli sposi si scambiavano distici del seguente tenore: “ All’ombra di quest’albero fiorito / tu sei mia moglie ed io son tuo marito”.

La congettura che l’olmo di Montepaone sia un albero della libertà venne subito suffragata come “più  che probabile” da fior di studiosi.

Il più entusiasta dei quali fu Francesco Grisi, il quale volle riportare uno stralcio di un nostro saggio nel suo volume Leggende e racconti popolari della Calabria, Newton Compton Editori, 1987, pag. 250. Oggi è divenuta a tutti gli effetti leggenda e questa secolare pianta ha finito con l’essere eletta a simbolo più rappresentativo della storia di questa comunità. Una ipotesi e una leggenda, però, niente affatto perregrine.

In primo luogo per la posizione simmetrica che essa occupa tra la chiesa matrice e la casa natale di Gregorio Mattei che, insieme al cugino Luigi Rossi, fu parte attiva di quel semestre rivoluzionario nel Regno di Napoli.

Entrambi ricoprirono incarichi di rilievo, e tutt’e due, a restaurazione avventa, furono condotti alla forca il 28 novembre 1799. Poi c’è da considerare che Montepaone, sull’esempio della ex città-capoluogo, Squillace, fu uno dei non molti centri nel quale era stata costituita una municipalità in adesione agli ideali repubblicani e quindi schierata su posizioni anti legittimiste.

E si sa, là dove ciò avveniva il primo segno con il quale si suggellava l’evento era l’innalzamento dell’albero della libertà. Come certamente avvenne a Squillace, a Girifalco, a Monteleone (l’odierna Vibo Valentia), a Nicastro, a Catanzaro.

Qui, a restaurazione avvenuta, fu incendiato l’allora palazzo De Nobili (oggi Santa Chiara) e abbattuto l’albero della libertà, che campeggiava nello spiazzo antistante, dagli uomini del cardinale Ruffo in marcia verso Napoli.

 

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