Quei coraggiosi martiri che proclamarono la Repubblica a Napoli il 23 gennaio 1799

Categoria principale: Storia
Categoria: Articoli sul 1799
Creato Mercoledì, 22 Gennaio 2014 16:15
Ultima modifica il Domenica, 22 Gennaio 2017 21:03
Pubblicato Mercoledì, 22 Gennaio 2014 16:15
Scritto da Angelo Martino
Visite: 3855

La Repubblica Napoletana è entrata nel mito per il sangue versato dai nostri martiri, dai migliori uomini e dalle coraggiose donne di Napoli, della Campania, del Sud, che sacrificarono la loro esistenza per donarci la  possibilità di essere un popolo libero e democratico.

Quelle persone, come ha scritto egregiamente Indro Montanelli, respingendo le tesi di Vincenzo Cuoco in merito alla "rivoluzione passiva", ebbero il torto di nascere in anticipo sui tempi, ma contribuirono moltissimo a farli maturare.

Come tutte le grandi imprese, il Risorgimento aveva bisogno di pionieri, ed essi lo furono. Nel leggere le pagine di Indro Montanelli dedicate alla Repubblica Napoletana, ci si imbatte nel suo disappunto a Cuoco. “Il che è falso”, ripete più volte, per ribadire che quei “sognatori”, i migliori intellettuali napoletani come Francesco Mario Pagano, Domenico Cirillo, Vincenzo Russo, Francesco Conforti, Michele Natale, Eleonora de Fonseca Pimentel e gli altri tantissimi martiri, ci provarono in quei tempi bui e avversi a donarci libertà, uguaglianza e democrazia repubblicana, ad iniziare da quel 23 gennaio 1799, quando fu proclamata la Repubblica.

Tali donne, tali uomini non potevano accettare un ancien régime di monarchia assoluta e di tirannia. I loro riferimenti erano le opere della migliore e vitalissima cultura che aveva espresso ed esprimeva Napoli, da Vico a Giannone, da Genovesi a Filangieri, i quali avevano additato, quali alte vette del pensiero meridionale, la coscienza di un mondo nuovo in cui i concetti erano quelli di libertà, uguaglianza e democrazia repubblicana.

La Scienza della Legislazione proponeva un progetto di radicale trasformazione della società che smantellava il privilegio di nascita e l’arbitrio del principe.

La nobiltà colta, gli intellettuali napoletani, i vescovi del Sud che si schierarono per la repubblica, avevano compreso che quei tiranni  dei Borbone non sarebbero mai potuti essere dei monarchi “illuminati”.

Giova ricordare ciò che scrive Pasquale Villani in Rivoluzione e diplomazia: “ Le opere di Filangieri sono proscritte, i di lui amici tutti in arresto, la virtuosa sua moglie mal veduta, i suoi figli derelitti, il suo elogista forse in arresto. Non si stampa più, non si legge, non si produce per timore di estrinsecarsi letterato, e di essere fulminato dalle saette della Regina che da despota e da sola tutto governa, per dire meglio, distrugge a capriccio”.

Fu per questo che essi diventarono alcuni di loro, pur precedentemente riformisti, diventarono rivoluzionari e ciò è comunicato in maniera esemplare dallo storico americano Timothy Tackett nel testo “Becoming a revolutionary”.

E tra quegli uomini che pagarono con la vita e con una morte umiliante vi era Francesco Mario Pagano, che nei “Saggi Politici” diede un contributo rilevante alla cultura italiana ed europea riguardo alla necessità del repubblicanesimo, anche in rapporto con lo stesso repubblicanesimo antico e moderno.

Allorché arrivarono i francesi di Championnet, i patrioti napoletani avevano già dichiarata a Castel Sant’Elmo la Repubblica, il cui proclama ufficiale porta la data del 23 gennaio 1799, e di cui conserviamo ben sei redazioni a dimostrazione dell’apporto di pensiero di tanti intellettuali e giuristi che scrissero con il Generale in Capo Championnet all’articolo primo:

“Considerando, che la rigenerazione d’un popolo non può effettuarsi sotto l’influenza e la direzione delle istituzioni del dispotismo.

Che la costituzione d’un Popolo libero non può essere severamente calcolata su le sue abitudini, e su i suoi costumi senza il soccorso d’un travaglio assiduo, e d’una profonda meditazione.

Che il corso dell’amministrazione generale non può essere sospeso senza un grande pericolo della fortuna pubblica e privata;

Che il tempo della tirannia non può cessare in un paese che invecchiò nella corruzione de’ suoi usi, senza contrariare i più grandi interessi, o irritare le passioni più vili; e che per conseguenza è del pari urgente, e necessario di opporre ai progetti della malevolenza, ed ai tentativi de’malcontenti un governo egualmente libero e vigoroso, che prepari la felicità del popolo per mezzo di leggi savie, ed aliene le manovre de’ suoi nemici con un’attenta vigilanza”.

Iniziò così il 23 gennaio del 1799 la breve esperienza della Repubblica Napoletana, i cui valori avveniristici di libertà repubblicana e di uguaglianza indicheremo per esemplari ai giovani della Campania, del Sud e dell’Italia, una Repubblica per la quale donne e tanti uomini sacrificarono i loro beni, la vita affinchè la plebe, il popolo potesse assurgere alla dignità di cittadini.

Il loro sangue ha fatto sì che noi cittadini di oggi, a distanza di 215 anni, possiamo considerarci liberi, uguali e in una Repubblica, quella Repubblica che abbiamo conquistato solo nel 1946, ma che i nostri martiri repubblicani di Napoli volevano donare già nel 1799 ai loro contemporanei sudditi di un despota.

Come scrisse la “nostra sempreviva direttrice” sul n° 28 del Monitore Napoletano: “ La libertà non può amarsi per metà, e non produce i suoi miracoli che pressi i popoli tutto affatto liberi”.