L’umiliante arretratezza che i Borbone consegnarono ai governi liberali dell’Italia Unita

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Categoria: Storia del Risorgimento
Creato Venerdì, 17 Gennaio 2014 21:49
Ultima modifica il Sabato, 18 Gennaio 2014 19:02
Pubblicato Venerdì, 17 Gennaio 2014 21:49
Scritto da Angelo Martino
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“ I numeri sono noiosi, ma quando si contano i soldi, cioè la ricchezza di una società, non si possono sostituire con la fantasia o con la nostalgia”. E' questa una considerazione tratta dal volume di  Antonio Caprarica C'era una volta in Italia, espressa dall'autore nell'analizzare le tristi condizioni di arretratezza di ordine politico, economico e sociale del Regno delle Due Sicilie nel 1860, in rapporto a quelle del restante territorio italiano.

Ed i numeri ci indicano un dislivello tra il Nord e il Sud della Penisola, non solo in termini prettamente economici e sociali, ma in relazione a quello di ordine culturale, specificamente il livello di alfabetizzazione.

Novantanove chilometri di ferrovia decantati con una Calabria completamente priva.

Tali erano le infrastrutture del Regno dei Borbone nell’anno dell’Unità, a confronto degli 850 km di strade ferrate del Piemonte, di 607 del Lombardo- Veneto, di 323 del Granducato di Toscana, i 132 dello Stato pontificio. Il piccolissimo ducato di Parma ne poteva  vantare 99, la stessa cifra dell’esteso territorio delle Due Sicilie. La stessa triste arretratezza si ritrova in relazione alla viabilità ordinaria.

“Anche la tanto vantata industrializzazione-  continua Caprarica - appare tardiva e limitata”. Seguono le cifre che dimostrano  la triste realtà lasciata in eredità allo Stato italiano dai Borbone nel settore della seta filata e tessuta con un misero 3,3% dell’ex Regno borbonico contro l’88% di produzione al Nord e con il rimanente 8.7% nel Centro.

I 70.000 tanto decantati fusi di cotone rappresentano solo un misero 15% rispetto al 43% di Piemonte e Liguria, il 27% della Lombardia e il 7% del solo Veneto.

Nel settore dell’industria metalmeccanica gli addetti sono, nel 1861, 11.177 nell’intera Penisola e di questi il 21% lavorano nell’ex Regno delle Due Sicilie contro il 38% del Piemonte e della Liguria, il 24% del Veneto e della Lombardia.

Un’Italia che deve fare i conti con lo sviluppo della Francia, dell’Inghilterra, della Germania e dell’Austria nella quale il Sud costituisce il fanalino di coda di carattere devastante in relazione ad alcuni indicatori economici, come evidenziato.

Il giovane storico Emanuele Felice,  in un recente studio, “Perché il Sud è rimasto indietro” racconta di come le ragioni dell’immobilismo del Regno borbonico fossero state evidenziate bene dal dissidente Antonio Scaloja, che era stato ministro dell’Agricoltura e del Commercio nel regno liberale del 1848, e poi condannato all’esilio.

Lo stato di decadenza ed arretratezza finì per accentuarsi proprio dopo la reazione che seguì ai moti del 1848.

Il rinchiudersi dei Borbone in un isolamento, non dando la costituzione richiesta dai patrioti napoletani e siciliani, fece sì che l’opinione pubblica internazionale liberale accentuasse la repulsione verso il Regno borbonico a tal punto da far affermare a William Gladstone nel 1851 che il Regno delle Due Sicilie era nient’altro che “ la negazione di Dio eretta a sistema di governo”.

E’, tuttavia, in relazione alla cultura, all’alfabetizzazione che nel Regno borbonico, in quel territorio che aveva i più grandi pensatori apprezzati in Europa e nell’America del Nord, che si rimarca l’estremo stato di arretratezza .

Ci riferiamo in particolare a Antonio Genovesi, a Pietro Giannone e soprattutto al grande Gaetano Filangieri la cui Scienza della Legislazione, pubblicata nel 1780 in sette volumi aveva ispirato la Costituzione degli Stati Uniti.

Il divario tra Nord e Sud risulta umiliante per il Sud in rapporto all’alfabetizzazione.

Nel 1861, nel Mezzogiorno solo 14 cittadini su 100 sapevano leggere e scrivere, mentre nel Centro - Nord si arrivava a 37 cittadini su 100. Il tasso di scolarità ci indica una situazione persino peggiore, per cui su 100 bambini in età fra i 6 e 10 anni, solo 17 andavano a scuola, mentre nel Centro-Nord la percentuale si attestava al 67%.

Come fa notare Emanuele Felice, dieci anni dopo l’Unità, la situazione migliorò in maniera sensibile e i bambini del Sud che andavano a scuola erano il 35% contro il 75% del Centro- nord, ma con un significativo recupero del livello di alfabetizzazione,  “ nel 1861 al Centro - Nord i due terzi dei bambini - anche quindi la gran parte dei figli delle classi popolari - andavano a scuola: veniva loro insegnato (almeno) a leggere, scrivere e far di conto, vale a dire gli strumenti minimi per stare al mondo, nel nuovo mondo industriale che si annunciava”.

Precisamente nel Piemonte e in Lombardia il 90% dei bambini erano scolarizzati e anche i più poveri potevano usufruire dell’istruzione di base.

Nel Regno borbonico l’istruzione era stato un privilegio di pochi delle classi agiate a tal punto che solo il 5% degli analfabeti mandava i figli a scuola.

Di tale miseria” morale”, non solo economica – conclude Emanuele Felice - “non è affatto vero che nel nuovo regno appena formatosi non vi fosse preoccupazione”.

Al contrario, in conseguenza del processo di unificazione nazionale il problema del divario culturale fra Nord e Sud fu sentito ed affrontato nelle sedute parlamentari dei governo liberale italiano, sia dagli scranni della Destra storica che da quelli della Sinistra storica.

 

 

 

Riferimenti Bibliografici

 Antonio Caprarica- C'era una volta in Italia- 2011

Emanuele Felice - Perchè il Sud è rimasto indietro- il Mulino- 2013