12 Gennaio 1848, a Palermo le campane suonano a morto per la dinastia dei borbone

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Categoria: Storia del Risorgimento
Creato Domenica, 12 Gennaio 2014 16:45
Ultima modifica il Martedì, 14 Gennaio 2014 15:55
Pubblicato Domenica, 12 Gennaio 2014 16:45
Scritto da Angelo Martino
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Analizzando la storia del Regno delle Due Sicilie dal 1820 fino all’Unità d’Italia, tutti gli storici hanno evidenziato quanto fosse profondo l’odio dei Siciliani nei confronti della dinastia borbonica.

Non intendiamo nel presente scritto analizzare le motivazioni che portarono al Regno delle Due Sicilie, ma far comprendere che i Siciliani odiavano i Napoletani , durante il Regno delle Due Sicilie , "allo stesso modo in cui i milanesi odiavano i Croati. "

Scrive il patriota e storico Michele Amari in un libro del 1842, che ebbe enorme successo: “il popolo siciliano non è né avvezzo né disposto a sopportare una dominazione tirannica e straniera”.

La Sicilia ambiva all’autonomia ed era portatrice di un forte sentimento indipendentista prima del 1848; i siciliani odiavano quel Regno delle Due Sicilie, governato da tiranni quali i Borbone.

Dopo un terribile inverno segnato da povertà , il 12 gennaio il popolo palermitano eresse le barricate e si rivoltò, sventolando per le strade dell’isola il tricolore italiano e inneggiando all’Italia, alla costituzione.

Dalla tetra fortezza di Castellammare le forze borboniche bombardarono la città con gli artiglieri che scagliarono piogge di proiettili contro la folla degli insorti.

I tiranni borbonici decisero di ritirarsi solo dopo aver lasciato sul terreno in solo quel giorno trentasei vittime.

Il loro sacrificio non fu vano, poiché nel giro di pochi giorni i contadini delle campagne si unirono ai rivoltosi, assaltando i municipi e dando alle fiamme i registri delle imposte e del catasto.

L'esercito borbonico, capitanato dal generale De Majo, cercò di opporre una qualche resistenza ma, dopo che Palermo fu luogo di aspri combattimenti, l'esercito borbonico si ritirò e si insediò un comitato generale che si assunse le funzioni di governo, chiedendo la convocazione di un Parlamento siciliano.

Il 25 marzo dopo 30 anni venne proclamato nuovamente il Parlamento di Sicilia, presieduto da Vincenzo Fardella di Torrearsa, fra l'ottimismo e la gioia dei politici e del popolo, e la Sicilia riesce ad essere nuovamente retta da un governo costituzionale con la proclamazione del nuovo Regno di Sicilia.

Il capo del nuovo governo Ruggero Settimo, già ammiraglio della flotta borbonica, ma che da sempre nutriva schietti sentimenti liberali e si opponeva alla tirannia borbonica nei confronti del popolo isolano, fu accolto con entusiasmo e salutato come padre della patria siciliana.

Tra i ministri, furono nominati Francesco Crispi, Francesco Paolo Perez, Mariano Stabile, Michele Amari e Salvatore Vigo.

La bandiera del Regno della Sicilia fu il tricolore: verde, bianco e rosso.

Alle notizie della rivolta siciliana , la stessa Napoli si sollevò contro i tiranni borbonici, come anche i contadini del Cilento.

Allora in quel frangente Ferdinando II, consapevole ormai che le sue truppe non erano ben disposte a combattere, liberò dal carcere Carlo Poerio e ciò ebbe un significato notevole, dato che diede coraggio a tutti i liberali napoletani che organizzarono una manifestazione di venticinquemila persone sulla grande piazza di fronte al Palazzo Reale.

Ferdinando II fu costretto a concedere la Costituzione del Regno delle due Sicilie il 29 gennaio dello stesso anno, redatta dal liberale moderato Francesco Paolo Bozzelli e promulgata il successivo 11 febbraio.

Tuttavia con il presente scritto intendiamo focalizzare l’attenzione sul sentimento dei siciliani contro la dinastia borbonica per ribadire che vi erano, già tanti anni precedenti l’unificazione, idee ben radicate negli stessi siciliani a favore dell’indipendenza dal Regno borbonico nell’ambito di un’unità nazionale.

Quindi un neoborbonismo che non si fa scrupolo di inneggiare a Francesco II Borbone e al Regno delle Due Sicilie, finge di non ricordare che i siciliani non volevano i Borbone, non volevano essere governati da loro, li odiavano ed è ovvio che attesero l’intervento di Garibaldi come una liberazione. Altro che occupazione!

L’occupazione vera era stato un atto compiuto dai Borboni contro i Siciliani, i quali erano stati da tanti anni tradizionalmente antiborbonici, e precisamente nel corso di oltre un secolo, più volte avevano preso le armi reclamando un’autonomia e autogoverno.

Anche dopo la sconfitta della rivoluzione del 1848, i siciliani, come prima e più di prima, continuarono negli anni successivi e precedenti alla spedizione dei Mille a battersi per l’indipendenza e la costituzione.

Non si può non fingere di non ricordare uno dei più noti momenti storici che avvenne nel novembre del 1856, quando Salvatore Spinuzza e Francesco Bentivegna provarono a spingere le masse contro l’oppressione borbonico-napoletana.

Anche tale tentativo, pur velleitario, ma ricco di generosità e idealità, si concluse drammaticamente con una sconfitta che costò ai due patrioti la condanna alla pena capitale dopo un sommario processo nel marzo dello 1857.

Non si può fingere di non ricordare che il 4 aprile 1860, a poche settimane dallo sbarco dei Mille, si verificò un ultimo disperato tentativo rivoluzionario, questa volta ad opera di un popolano, l’artigiano Francesco Riso, quella che gli storici chiamano “rivolta della Gancia.

“Anche quella rivolta si concluse con il sacrificio di ben tredici vittime il cui martirio acuì l’odio che i siciliani nutrivano verso i Borbone, considerati, anche dalle classi popolari, come stranieri e oppressori.

In Sicilia era diffusa negli ambienti borghesi e aristocratici, come anche tra i ceti popolari e nello stesso clero, un 'idea di costituzione che i Borbone si erano sempre rifiutati di concedere, abituati all'ambiente napoletano e continentale in cui esercitavano la loro tirannide in maniera più tranquilla rispetto allo spirito vivo patriottico, costituzionale molto sentito in Sicilia.

“ All’inizio del 1860- scrive Alfonso Scirocco- la Sicilia appariva sempre più inquieta, tanto da destare le preoccupazioni dei governi europei, che temevano un’insurrezione imminente”.

Tuttavia , nonostante le sollecitazioni continue di Rosolino Pilo, fervente mazziniano siciliano che perirà in uno scontro a fuoco in marcia verso Palermo nel 1860, Giuseppe Garibaldi non voleva arrischiare un ‘impresa senza possibilità di successo.

Come evidenzia bene lo stesso Scirocco: “in sintesi (Garibaldi) non era disponibile a un tentativo avventuroso, rivolto a suscitare un’insurrezione non ancora iniziata  come erano stati quelli dei Fratelli Bandiera e di Pisacane”.

Tale questione non è di poco conto: la sconfitta dei Fratelli Bandiera e soprattutto quella più recente di Pisacane avevano incrinato le certezze dei mazziniani.

Pisacane aveva scritto nel saggio sulla Rivoluzione, di essere disponibile ad un «sacrificio senza speranza di premio»: «ogni mia ricompensa io la troverò nel fondo della mia coscienza e nell'animo di questi cari e generosi amici... che se il nostro sacrificio non apporta alcun bene all'Italia, sarà almeno una gloria per essa aver prodotto figli che vollero immolarsi al suo avvenire». Le parole di Pisacane erano nobili, ma tante sconfitte avevano lasciato il segno.

Lo storico Scirocco si sofferma su tanti momenti di esitazione prima della spedizione dei Mille in Sicilia, ma infine si era deciso che l’impresa si mostrava necessaria per liberare anche la Sicilia dall’occupazione borbonica.

E anche a tal riguardo, si finge di dimenticare che proprio Giuseppe Garibaldi, liberata la Sicilia, consigliato dal suo segretario di Stato, Francesco Crispi, ordinasse il ripristino, in blocco, dei decreti, delle leggi e dei regolamenti esistenti il 15 maggio 1849″, cioè quel sistema normativo che i Siciliani si erano dati a seguito della gloriosa rivoluzione del 1848 e che i Borbone, appena tornati sul trono, si erano affrettati ad abrogare.

E’ lo storico Salvatore Lupo che ci invita a seguire quello che definisce "lo spirito pubblico nell’isola" tramite le relazioni inviate dal luogotenente borbonico Paolo Ruffo di Castelcicala mese dopo mese in quel 1860.

Paolo Ruffo scrive nel gennaio 1860: “I faziosi sperano nelle orde rivoluzionarie che sono raccolte nell’Italia Centrale, puntano su “ Cavour , su Garibaldi e su quella funesta pleiade di nomi che personificano da anni la sovversiva idea unitaria”.

A febbraio il luogotenente Ruffo mette in risalto come le idee di sovranità del popolo, di suffragio universale e di quelle che definisce “stranezze simili” si siano diffuse nella plebe palermitana.

Quindi si può obiettivamente dedurre che il popolo siciliano avesse già interiorizzato i principi del suffragio universale e della sovranità popolare.

Nel mese di marzo l’allarme del luogotenente borbonico in Sicilia è ancora più allarmante “I facinorosi di tutti i comuni guardano verso Palermo aspettando che vi si levi lo stendardo della rivolta”.

“La rivoluzione siciliana - commenta Salvatore Lupo - che da quarantacinque anni si confronta con Napoli trova il sostegno di quella pan-italiana” di Garibaldi e Vittorio Emanuele.”

Quindi, se da un canto la forte motivazione indipendentista e costituzionalista aveva spinto nel corso di tanti anni a ribellarsi ai Borboni, nel 1860 vi è un ‘altra forte motivazione che lo storico Salvatore Lupo definisce “ pan-italiana”.




Riferimenti bibiografici:


Salvatore Lupo – L’unificazione italiana- Donzelli.
M. Amari- Prefazione a La guerra del Vespro siciliano- Hoepli
Denis Mack Smith- Storia della Sicilia medievale e moderna- Laterza
Alberto Scirocco- Garibaldi- Laterza
Carlo Pisacane – Saggio su la Rivoluzione- 1944