Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Angelo Duca “ brigante sociale” massacrato senza processo dai Borbone

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Tra le figure di “briganti ” che meritano di essere annoverati, quale vera anima nobile della Campania e del Sud, allontaniamo lo sguardo da quei banditi che avevano rilevanti problemi giudiziari per gravi delitti commessi ai tempi dei Borbone, come Carmine Crocco e Ninco Nanco, per ricordare ed omaggiare l’animo nobile di Angelo Duca, detto Angiolillo, colui che incarnò la figura del “ brigante sociale”, fatto decapitare dal tiranno borbone Ferdinando IV, naturalmente senza alcun processo.

Il despota, secondo la macabra usanza del tempo, fece smembrare pezzi del suo corpo, e la sua testa fu a lungo esposta sulla “Porta di Nanno” a Calitri.

Merita di essere ricordato, Angiolillo,  perché fu un "brigante" positivo che combattè contro i nobili, destinando ai contadini il denaro di coloro che si erano arricchiti sfruttando la povera gente.

Siamo quindi ben lontani da quei criminali come Carmine Crocco, Ninco Nanco, Giuseppe Caruso, Francesco Guerra, Angelo Bianco ed altri che operavano al servizio della reazione borbonica, come al servizio di chiunque, pur di perpetuare i loro gravi delitti: furti, grassazioni, rapine, sequestro di giovani ragazzi, stupro di giovani donne.

Nato a San Gregorio Magno in provincia di Salerno nel 1734, Angelo Duca dovette darsi alla macchia nel 1780 per essere entrato in lite con il marchese Francesco Caracciolo, latifondista Calabrese.

Divenne “brigante” e le sue gesta di uomo dalla grande umanità furono conosciute nell'entroterra di Salerno, Avellino e nella Basilicata settentrionale.

I suoi aspetti di persona dalle grandi idealità sociali si diffusero a Cassano Irpino, ad Avigliano, a Muro Lucano, a Calitri, Ruoti e Rionero in Vulture.

A lui furono dedicati alcuni poemi composti da dotti autori, come anche un racconto popolare in versi dal titolo La bellissima istoria delle prudezze ed imprese di Angelo Duca in cui si racconta di quando procurava la dote alle ragazze povere, elargendo  denaro e grano, ed altri nobili atti di generosità verso gli umili.

E’ noto a San Gregorio Magno l’episodio di quando ad Ascoli Angelo Duca irruppe nel palazzo del duca Sebastiano Marulli, ove era imbandito un sontuoso banchetto, chiedendo ed ottenendo che venisse preparato  un pranzo anche per il popolo.


L’episodio è ricordato nei versi della Bellissima Istoria:

"Lui salì sopra, quindici zecchini
si fece dar da tutti quei signori;
calò poi abbasso e , a donne , e poverini
un pranzo fece far di bei sapori,
con dir : Se festa fa la signoria,
pure alla povertà festa si dia".

Diversi scrittori e storici dedicarono ad Angelo Duca parole pregne di ammirazione: Alexandre Dumas, Benedetto Croce, Hans Mathes Merkel, Francesco Saverio Nitti.

Croce, in una breve biografia,  scrisse che il suo esempio, pur non potendosi ascrivere nell’ambito di un programma di carattere politico - sociale, rappresentò, in relazione al brigantaggio delle nostre province, la pura anima sociale ed ideale, quegli “sparsi elementi di bontà, di generosità, di eroismo, coi quali il Cervantes compose la sua figura ideale”.

Il tedesco Hans Mathes Merkel, dedicò alla sua figura di brigante gentiluomo un’opera intitolata Il buon diritto del brigante Angelo Duca.

Francesco Saverio Nitti nel saggio Eroi e Briganti, mise in risalto di questo generoso brigante il desiderio di proteggere l’onore delle fanciulle dalle prepotenze di taluni baroni che erano soliti abusare di loro  in modo indegno.

Per il  successo popolare che Angelo Duca riscosse, il governo borbonico iniziò contro di lui una dura repressione: Angiolillo si presentava come portatore di un modello di giustizia alternativo e vicino alla povera gente, ragione per la quale la sua fama si era estesa non solo al paese natale, ma a tutta la provincia.

Fu Ciccio Zuccarino a tradirlo, un giovane di Caposele  che in breve tempo si era conquistato la sua fiducia. Dopo aver trattato ed ottenuto la salvezza per sé, Zuccarino guidò un nutrito gruppo di soldati borbonici presso un convento di Muro Lucano, dove Angelo Duca si rifugiava.

Il “brigante buono”  venne catturato insieme al suo compare Peppe Russo. Condotto prima ad Avellino e poi a Salerno, fu fatto decapitare per ordine diretto di Ferdinando IV, naturalmente senza alcun processo.

Secondo la macabra usanza in stile borbonico, il suo corpo fu smembrato e la testa fu a lungo esposta sulla “ Porta di Nanno” a Calitri.

 

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