Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Le impavide donne invisibili dell’800 meridionale: Giuseppina Guacci Nobile

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C’è una parte del Risorgimento che è definito invisibile, perché riguarda le attività di alcune figure femminili che hanno lasciato un segno particolare sullo scenario storico di quell’epoca chiassosa.

Esse si distinsero in vari campi di attività – letterarie, artistiche, filantropiche, professionali, politiche, lasciando nella società meridionale un’impronta del loro passaggio, che però viene taciuto dalla storia.

Inizierei questa carrellata riportando alla memoria Giuseppina Guacci Nobile (di cui si è già ampiamente occupato il nostro storico, il prof. Nicola Terracciano).

Repetita iuvant.

Napoletana doc, la Guacci nacque a Napoli il 20 giugno 1807 da Giovanni, tipografo, e da Saveria Tagliaferri.

La famiglia viveva modestamente in una traversa di via Toledo, dove si svolgeva la vita della Napoli piccolo borghese e artigiana.

Ebbe inizialmente un’educazione casalinga, studiò da autodidatta ed iniziò prestissimo a scrivere versi.

Frequentò la scuola del Puoti e man mano con i suoi versi diventò famosa fra la sua gente fino a corte.

Nei suoi componimenti Giuseppina affrontava spesso tematiche patriottiche; invocava l’unità della patria ed esaltava le glorie del Risorgimento, non curandosi del controllo della polizia, e non capendo che ciò non sarebbe stato un bene.

La Duchessa di San Teodoro, dama della Real Corte, fu sensibile alle belle arti come ai temi patriottici, la aiutò ad introdursi nei vari salotti letterari di Napoli.

Questi suoi successi la misero in contatto con molti protagonisti del Risorgimento nazionale: Antonio Ranieri e Giacomo Leopardi, Bruto Fabbricatore e Luigi Fornaciari, i fratelli Poerio, Paolo Imbriani, Luigi Settembrini e Francesco De Sanctis, dove si riunivano musicisti come Rossini, Donizetti, Bellini, letterati come Alessandro Dumas, e le giovani poetesse sebezie, tra cui Irene Ricciardi, intima amica di Giuseppina, in quei salotti del liberalismo napoletano, in cui si cospirava per l’indipendenza e per l’unità d’Italia.

Allora decise di avere anch’essa un salotto politico-letterario, nella sua abitazione in via Toledo, un salotto che non potendo competere con gli altri per ricchezza e per fasto, li superò per qualità, per fervore, per gli argomenti che vi si trattavano.

Le riunioni si tenevano il sabato, da qui il nome di sabatine, partecipavano molte donne dell’aristocrazia colta, come Isabella Coppola di Canzano, e letterati tra cui Puoti, Ranieri, Giacomo Leopardi e Giuseppe Giusti.

Le sabatine furono interrotte quando la Guacci sposò Antonio Nobile, giovane astronomo, di estrazione neoguelfa, nel 1835, lasciò la casa paterna di via Toledo e andò a vivere con il marito presso l’Osservatorio astronomico di Capodimonte.

Quando a Napoli divampò l’epidemia di colera, si dedicò personalmente alla cura dei malati, visitando i quartieri della città più degradati dove l’igiene era più scarsa, e scrisse un saggio su questa terribile esperienza.

In seguito riuscì a istituire asili nei quartieri più poveri della città e ad ottenere che nel 1843 il Consiglio provinciale di Napoli riconoscesse la necessità di fondare nella Capitale asili infantili a cura e a spesa pubblica.

Con l’insurrezione calabrese intensificò la sua attività politica e la casa di Capodimonte divenne sede di incontri liberali, attirando i sospetti della polizia borbonica.

Nei suoi scritti si evince il suo fervore in ciò che credeva “la poesia non è una vana arte di diletto….le leggiadre e nobili rime non che da dotti uomini ma altresì da valorose donne saranno accolte” e l’Italia uscirà “dalla viltà e dall’obbrobrio in cui giace”.

Inoltre istituì il comitato Pro Crociati napoletani per raccogliere fondi, sostenuta nell’iniziativa dalla principessa Colonna di Stigliano, dalla duchessa di Lavello e soprattutto dall’amica Laura Beatrice Oliva Mancini.

La partenza da Napoli della Belgiojoso con oltre duecento volontari rese più intensa l’azione repressiva della polizia.

Morì a Napoli il 25 novembre 1848 dopo una lunga malattia e dopo una lunga e fervida battaglia politico culturale.

 

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