Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Giovanni Penna, un religioso evoluto osteggiato dai borbone

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Lo storico Giuseppe Civile definisce il canonico Giovanni Penna, un religioso "evoluto".

Da una conferenza dell'arciprete di Pignataro Maggiore Don Salvatore Palumbo, pubblicata nel numero de Il Pino di novembre-dicembre 1971 per essere poi ripubblicata nel 1977, come saggio introduttivo alla ristampa delle pagine dell'opera del Penna riguardante Pignataro, apprendiamo che l'Autore dello Stato antico e moderno del Circondario di Pignataro di Capua e suo miglioramento, era nato a Pignataro il 20 ottobre del 1754.

Il padre Giuseppe era stato sindaco del paese nel 1766; studiò nel seminario di Calvi; il vescovo Zurlo prese a ben volerlo e lo volle accanto a lui come segretario e, quando divenne Arcivescovo di Napoli, lo condusse con sé.

La morte del fratello Carlo nel settembre 1802 lo richiamò a Pignataro e nel 1806 fa nominato canonico della cattedrale.

Aprì in paese una scuola, ma gli fu imposto di chiuderla. Verso il 1827 diede inizio alla composizione della sua opera.

Moriva a Pignataro Maggiore il 30 maggio 1837.

Nel 1833 il canonico Penna pubblicava un libro di interesse locale che fu considerato un piccolo avvenimento letterario a quei tempi e riempì la cronaca della tranquilla vita cittadina: Stato antico e moderno del circondario di Pignataro di Capua e suo miglioramento.

L'opera del Penna non si riguardava solo Pignataro, ma anche tutto il circondario, che, nella divisione amministrativa borbonica, comprendeva Partignano Giano,Pastorano, S. Secondino, Pantuliano, Camigliano, Vitulazio, Bellona, Calvi, Rocchetta e Croce, Sparanise.

Le pagine dedicate a Pignataro sono circa sessanta.

 

Riguardo all'origine di Pignataro non c'è molto materiale anche se è il primo che fa riferimento alla famosa pergamena del 1268 del fondo curiale campano, ma limitandosi a dire che abbiamo la certezza del toponimo, non certo dell'esistenza del paese. In tale pergamena si fa riferimento alla famiglia capuana "Pignataro".

L'attenzione e l'interesse di Don Salvatore Palumbo riguarda una scuola che il Penna aprì e che in maniera inaspettata dovette chiudere.

Cosa rendeva sospetta alla polizia borbonica la scuola del Canonico Giovanni Penna?

Lo stesso storico locale ne parla con parole piene di tanta disillusione:

"Dopo la morte di mio fratello, accaduta il 5 settembre 1802 mi rimpatriai; e sebbene avessi portato con esso me le mie imperfezioni, che con il mutar del cielo non si cambiano, purtuttavia con ogni studio incominciai ad istruire alcuni figliuoli.

Ma il demonio che s'oppone sempre al bene, frastornò un'opera così santa e così accetta a Dio, venendomi impedito l'insegnare e l'istruire.

Come questo sia stato, non saprei io dirvi se non che fu così.

Sospettai qualche calunnia, ma qualunque fosse stato il motivo, il fatto è certissimo e così va la cosa, ben potete pensare quanto dispiacere ne sentissi; però se essere sincero ed accurato ecclesiastico e non essere adulatore , né iniquo uomo è colpa, confesso in ciò aver peccato; ma di tal peccato non chiederò mai perdono."

Paroli nobili piene di dignità che non potevano non uncuriosire Don Salvatore Palumbo , il quale decide di andare a fondo della questione , sapendo che un rapporto di Mons. De Lucia sui sacerdoti della diocesi aveva bollato il canonico Giovanni Penna quale  irrequieto e iscritto alla carboneria.

Don Salvatore Palumbo ci conduce ad analizzare il contesto storico del periodo al fine di comprendere chi avesse impedito al canonico Penna di insegnare e istruire e perchè.

Il canonico Penna era vissuto accanto a colui che sarà l'arcivescovo di Napoli nel periodo della Repubblica Napoletana del 1799 e non possiamo non fare riferimento a tale figura per comprendere non solo il contesto storico, ma anche la misura in cui il rapporto tra il Penna e Zurlo fosse più o meno stato decisivo per influenzare le attività di iniìziative sociali del Canonico tali da attribuirgli la fama di  irrequieto massone.

Il cardinale Zurlo ebbe rapporti difficili con il potere costituito borbonico e con la S. Sede in diverse occasioni, ma ciò che gli fu rimproverato decisamente è non avere usato tutto il suo prestigio per screditare la Repubblica Napoletana .

Come scrive Don Salvatore Palumbo:

"Il vecchio cardinale si era trovato impigliato nelle vicende della Repubblica Partenopea.

C'era stato in Lui un gesto coraggioso , ma certamente non in linea con la politica della S. Sede a quel tempo."

In effetti il Cardinale Zurlo non sottostava in maniera celere alle pressioni della S. Sede allorché le truppe del restauratore Cardinale Ruffo insidiavano le sorti della Repubblica Napoletana.

Essendo argomento storico delicato, intendiamo riportare fedelmente le parole dell' Arciprete Don Salvatore Palumbo riferite al cardinale Zurlo.

"Aveva pubblicamente anatematizzato l'esercito della S. Fede organizzato da un altro cardinale, Fabrizio Ruffo, in Calabria, per attaccare la Repubblica Partenopea; come abbia agito così, dimenticando le persecuzioni della rivoluzione francese, l'incarceramento di PIO VI non riusciamo a spiegarcelo."

Forse - prosegue Don Salvatore Palumbo - fu la presenza di sacerdoti fra le personalità maggiori della governo repubblicano napoletano (uno dei martiri del 1799 fu un Sacerdote: il Conforti).

In effetti alla Repubblica Napoletana del 1799 avevano dato il sostegno e preso parte in maniera attiva tanti sacerdoti e vescovi: oltre Francesco Maria Conforti ricordiamo Mons. Giuseppe Andrea Serrao, Mons. Michele Natale e Mons. Francesco Saverio Granata, Marcello Eusebio Scotti, Antonio Scialoja, martiri della breve esperienza della Repubblica Napoletana.

Don Salvatore Palumbo così prosegue al riguardo:

"La reazione borbonica, abbattuta la Repubblica Partenopea, non risparmiava il novantenne Cardinale Zurlo.

La ingenerosa corte borbonica, senza trovare negli anni del cardinale un'attenuante, lo esiliava a Montevergine dove moriva due anni dopo, il 31 dicembre 1801.

A questo punto Don Salvatore Palumbo ipotizza che le disgrazie del Cardinale Zurlo, abbiano pesato anche sul nostro Canonico Giovanni Penna , il quale aveva vissuto tutte le vicissitudini del Cardinale Zurlo in stretto rapporto con lui a Napoli.

Perchè prendersela tuttavia anche con il nostro " modesto sacerdote", costretto a chiudere la sua scuola?

A tale argomento si appassiona Don Salvatore Palumbo il quale riassume le sue ipotesi in tre punti.

"Innanzitutto chi chiediamo: fu la chiusura della scuola del Canonico Giovanni Penna un'imposizione dell'autorità ecclesiastica?
Non pare "

L'arciprete Don Salvatore Palumbo inizia ad interrogarsi in tale maniera.

"In qualunque anno vogliamo porla, non si sfugge all'anno lunghissimo dell'episcopato di Mons. De Lucia (1792-1829); ora il nostro Penna nella sua opera dedica molte pagine a questo Vescovo, che, anche se non hanno il tono di profonda ammirazione e venerazione di quelle dedicate al Cardinale Capece Zurlo, tuttavia sono sempre elogiative."

"Avrebbe egli scritto quelle pagine, se a quel vescovo risaliva quel provvedimento che lo colpiva così duramente, la chiusura della scuola? - si chiede Don Salvatore Palumbo.

E' difficile pensarlo e quindi si potrebbero, tramite gli indizi, individuare tre ipotesi palusibili.

La prima concerne la battaglia che il Canonico Penna intraprende per favorire la scuola e la cultura in genere.

A tal riguardo Don Salvatore Palumbo così scrive:

"I borboni avevano motivo di sospettare della scuola e della cultura in genere, perchè sulla falsariga della scuola penetravano le idee dissolvitrici della rivoluzione francese."

La seconda ipotesi va ricercata nella sensibilità del Canonico Penna per le condizioni del "basso popolo" che egli descrive nella sua opera con dettagli per rimarcare quanto" nostro uguali o nostri fratelli " conoscessero fatiche dure, eccessive, ingiustizie essendo la loro sorte già segnata dalla nascita.

Don Salvatore Palumbo, a tal riguardo, considera il Penna "un uomo che guarda in anticipo alla questione sociale con l'occhio del sacerdote sensibile alla miseria umana, ma che non chiude nel suo animo la disapprovazione verso l'ordine costituito che gli sta innanzi, bensì alza la voce in favore degli oppressi quando nessuna voce si levava.

E' questo il lato più umano del Canonico Penna, che lo avvicina ai nostri tempi, ce lo rende più simpatico. E' bene che anche i Pignataresi di oggi sentino e meditano sulla parola scritta, 140 anni or sono, da questo sacerdote."

Don Salvatore Palumbo scriveva tali nobili riflessioni su Il Pino di gennaio - febbraio 1972, continuando in tale maniera, che ci fa ancora apprezzare la sua figura di sacerdote amatissimo:

"Ma mi domando: non erano questi i fermenti che avevano agito nella Rivoluzione Francese? Una migliore giustizia sociale di fronte alle classi privilegiate".

Quindi quale seconda ipotesi ritroviamo la la sensibilità verso il popolo non gradito all'ordine costituito.

La terza ipotesi concerne la simpatia del Penna per Mario Pagano, uno dei martiri della Repubblica Napoletana del 1799.

Così conclude Don Salvatore , ricordando che un rapporto di Mons. De Lucia sui sacerdoti della Diocesi , accanto al nome del Canonico Giovanni Penna era riportata la nota: Antico iscritto alla Carboneria...irrequieto:

"Il Penna a pag. 266 della sua opera in una nota ci fa sapere che egli aveva scritto delle dissertazioni, due delle quali erano state pubblicate in un libro del barone Ricca sotto il nome di Mario, l'illustre giurista condannato nel 1799, nobile vittima della rivoluzione partenopea.

E' un indizio molto sintomatico: avrebbe posto i suoi scritti sotto quel nome, se quel nome non gli avesse ispirato profonda simpatia?"

Anche queste ultime parole di Don Salvatore Palumbo ci confermano che il Penna era un uomo giusto, un sacerdote molto serio nell'affontare tematiche storiche delicato.

Una polemica dura derivò dal fatto che il Canonico nel suo testo dedicava un centinaio di pagine al tema dell'istruzione impartita nel seminario diocesani di Calvi, criticando duramente i sistemi pedagogici ed educativi impartiti .

Il Rettore del Seminario, i professori e il Vescovo stesso lo ritennero uno scandalo per cui il libro era da Proibire e da scoraggiare in tutti i modi la sua diffusione.

Il libro del Canonico Penna offuscava il buon nome del Seminario e come scrive il Canonico Teologo Filippo Sgueglia, Rettore del Seminario, in un documento in latino del 10 maggio 1834.

"Si chiede il sequestro di tutte le copie e che l'autore venga sospeso a divinis finché non presenti in curia tutte le copie del suo libro sequestrato".

Le accuse del Penna sono considerate velenosi morsi dei maldicenti e il suo libro opera di un cane rabbioso.

Così fu molto difficile trovare il saggio storico di Giovanni Penna per tanti anni.

Solo nell'ottobre del 1988 l'Editrice Atesa di Bologna riuscì in qualche modo a trovarne una copia per farne una riedizione anastatica.

 

Angelo Martino

 

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