Carmine Crocco: storia di un criminale in carriera.Quando il brigantaggio divenne una splendida occasione di bottino e di fama

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Categoria: Storia del Risorgimento
Creato Martedì, 09 Luglio 2013 15:32
Ultima modifica il Lunedì, 26 Agosto 2013 12:23
Pubblicato Martedì, 09 Luglio 2013 15:32
Scritto da Angelo Martino
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La biografia del brigante lucano Carmine Crocco, scritta da Ettore Cinnella, ex docente di Storia Contemporanea presso l’Università di Pisa, " Carmine Crocco - un brigante nella grande Storia - "non fa parte di quella recente pubblicistica, a volte di successo, che sta provando a riscrivere la storia della fine del Regno delle Due Sicilie attraverso tentativi revisionisti, spesso di esclusivo taglio giornalistico, ma si mostra più che attenta ad inquadrare il brigantaggio in un serio contesto storico.

Il libro utilizza la vasta produzione erudita e la memorialistica prodotte nella seconda metà dell’800, con la successiva, consistente, bibliografia sul brigantaggio. Il risultato è un studio serio e documentato, che finalmente fa giustizia di tanti luoghi comuni che vengono ripetuti per attribuire loro un valore storico.

Quindi una lettura che appassiona, dato che, supportato da una documentazione rigorosa, il libro si fregia anche di un impianto metodologico che “legge” a sua volta la documentazione disponibile e i fatti con il necessario distacco che il secolo e mezzo trascorso impone agli eventi, soprattutto inquadrandoli in quella “grande storia” che impedisce ogni abbandono a localismi di sorta e a idealizzazioni fuorvianti dei protagonisti.

 

Del resto Ettore Cinnella fa da decenni il mestiere di storico in maniera egregia.

L’autore affronta già nelle prime pagine la tanto decantata questione di un brigante che da alcuni è considerato un antesignano degli eroi protagonisti di una lotta di liberazione di stampo socialista, scrivendo a pag- 40 nel capitolo “ Da Pastore a Brigante” :

“Chi si è detto sicuro della collocazione storica del pastore di Rionero, annoverandolo tra gli antesignani della rivoluzione sociale o socialista, non si è nemmeno curato di appurare come davvero egli si chiamasse e ha scambiato il soprannome (Donatelli ) con il cognome autentico.

Eppure per non perpetuare l’equivoco, sarebbe bastato leggere qualche documento originale, anziché copiare maldestramente da altri libri.”

Quindi Carmine Crocco detto Donatelli o Donatello dal nome del nome paterno Donato, già disertore della milizia borbonica per aver assassinato un commilitone, diventò un brigante nelle campagne della Basilicata.

In questo periodo Crocco iniziò ad avere i primi contatti con altri fuorilegge, costituendo una banda armata che visse di rapine e furti.

Fu arrestato e rinchiuso nel bagno penale di Brindisi il 13 ottobre 1855, ricevendo una condanna di 19 anni di carcere. Il 13 dicembre 1859 riuscì ad evadere, nascondendosi tra i boschi di Monticchio e Lagopesole.

“ Non si deve però credere – scrive Cinnella - che Crocco fosse già divenuto un bandito di strada nel vero senso della parola. Le carte processuali ci descrivono piuttosto un ladruncolo casereccio”.

Nella sua autobiografia, Crocco ci parla del suo soccorso alla sorella Rosina, insidiata da Don Peppino, un signorotto di Rionero in Vulture, che il brigante ammazzò per un delitto d’onore. Ettore Cinnella , sulla base di riferimenti storici ben precisi, smonta tale invenzione di Crocco, dimostrando che tale vicenda del delitto d'onore sia completamente priva di fondamento.

 

Ciononostante, la storia del delitto d'onore è stata presa sul serio, secondo lo storico Ettore Cinnella, poiché per molto tempo si è attinto alle ristampe successive dell'autobiografia di Crocco, senza le note e l'apparato critico a cura del capitano Massa che accompagnavano la prima edizione.

Dunque, fuor di ogni leggenda, anche per lo scaltro pastore di Rionero Carmine Crocco (soprannominato Donatelli), figlio di un contadino e una cardatrice di lana, nessuna particolare angheria subita dai suoi familiari da parte di aristocratici locali.

La carriera di rapinatore e grassatore comincia con la brusca fine del suo servizio militare nel 1852, quando si dà alla macchia probabilmente in seguito al regolamento di conti con un commilitone.

Una carriera che comincia rocambolescamente con arresti, condanne ed evasioni che dureranno fino alla fatidica data del 1860.

“Mentre Crocco si stava trasformando, a poco a poco, da piccolo malvivente di paese in pericoloso bandito di strada, eventi turbinosi e grandiosi si svolgevano nella provincia della Basilicata, fino allora la regione più arretrata e sperduta del Regno delle Due Sicilie”

Come racconta nella sua autobiografia, partecipò alla spedizione dei Mille del 1860, e per lui era un tentativo di riabilitarsi e accreditarsi, magari ritagliandosi un ruolo nel nuovo Stato.

E’ un momento storico in cui tratto peculiare della rivoluzione lucana del 1860 è “ la partecipazione del Clero al movimento costituzionalista e poi a quello risorgimentale”. Infatti a Rionero in Vulture, il paese di Crocco, vi fu una vera insurrezione prima dell’arrivo delle truppe garibaldine.

Nella sua autobiografia, Crocco racconta di essersi unito ai battaglioni di Garibaldi, che provenivano dalle Calabrie, seguendo il generale fino a Santa Maria Capua Vetere, anche se l’autore scrive che “ nulla si sa sulla partecipazione di Crocco alle battaglie garibaldine del 1860”.

Tuttavia alcune missioni gli furono conferite e conobbe il colonnello Boldoni, da cui ricevette l’assicurazione del “ perdono” delle sue azioni criminali, ma tali promesse si mostrarono fallaci e Crocco ritornò alla vita da brigante.

Fu il momento della delusione in quanto non si attuarono quelle riforme “rivoluzionarie”, sociali che tanti contadini attendevano. Si scelse la strada del compromesso con Garibaldi che fu persuaso della bontà dei Plebisciti, consegnando di fatto il Regno a Vittorio Emanuele e ritirandosi a Caprera.

La reazione dei Borbone trovò terreno fertile, e iniziarono le più importanti campagne brigantesche del 1861, un misto di operazioni militari e di restaurazione legittimistica, in realtà caratterizzate da innumerevoli rapine, saccheggi e omicidi, mentre le questioni demaniali, tensioni sociali, conflitti ideologici tra liberalismo e legittimismo, portavano nel Meridione una sorta di revanscismo riguardo al quale Ettore Cinnella è chiaro: la dinastia borbonica seppe approfittare degli errori e della “stolida politica vessatoria, messa in atto nelle contrade meridionali dai funzionari del governo di Torino” reagendo in maniera dura e poliziesca. :

“Sulla carta la causa borbonica disponeva di prestigiosi e devoti paladini, i quali però preferivano ai rischi della guerra la tranquillità e gli agi della Roma papalina (…) A scendere in campo e a rischiare la vita (…) furono per lo più, alcuni aristocratici e ufficiali stranieri” sovente abbandonati a loro stessi. E non a caso, il fallimento di quel moto insurrezionale, mal organizzato e diretto, e l’esecuzione di Don José Borges (Borjes), fecero cadere la “foglia di fico” con cui la reazione colorava politicamente le gesta brigantesche di cui doveva forzatamente servirsi.”

Lo stesso Crocco ricorda nell’autobiografia che i burattinai della sollevazione armata contro il nuovo governo andassero ricercati tra i notabili nostalgici del vecchio Regime, dal brigante definiti “ serpenti velenosi”.

Lo stesso Crocco, d’altronde, era uno dei maggiori protagonisti dell’insurrezione in combutta con i comitati borbonici locali, pur non lasciandosi completamente sedurre dalla causa borbonica. Come era avvenuto in relazione alla sua partecipazione alle vicende garibaldine, l'insurrezione contro il Nuovo Governo aveva poco di politico, di ideale. L’autore la definisce “ disincantata” .

“Quella mia condiscendenza alla distruzione, al saccheggio, era fornite per me di maggior forza l’avvenire, l’esempio del fatto bottino traeva dalla mia altri proseliti anelanti di guadagnar fortuna col sangue”

Così Crocco diventò il generale dei Briganti e il suo destino si incrociò con quello di un generale vero, qual era Don José Borges, convinto sostenitore della causa legittimista fino alla morte , un rappresentante degli ideali della conservazione .

Invece l’etichetta della rivolta politica non si mostra calzante per Carmine Crocco e le sue bande.

Scrive Cinnella che “ l’etichetta di “politico” si adatta ad alcuni episodi e situazioni locali”, ma è fuorviante attribuirlo a Carmine Crocco e alle sue bande. Lo stesso generale Borjes aveva evidenziato tale assenza.

I rapporti “ burrascosi" tra Borjes e Crocco non riguardavano solo questioni di natura militare, ma “il modo d’intendere l’azione brigantesca”.

Mentre per il generale spagnolo, la guerriglia partigiana brigantesca doveva essere intesa quale lotta partigiana, per il “capobrigante lucano rappresentava una splendida occasione di bottino e di fama”.

A proposito del ruolo del brigante che primeggia su quello di carattere politico – sociale, è lo stesso Crocco a scrivere nell’autobiografia:

“I miei compagni anelanti di sangue e più ancora di bottino, appena penetrati in paese cominciarono a scassinare porte per rubare tutto ciò che di meglio capitava nelle case. Chi resisteva, chi rifiutava di consegnare il denaro od i gioielli, era scannato senza pietà.”

Cade l’equivoco sulla guerriglia partigiana e lungi dal rivelare, successivamente, la sua natura di moto sociale, il brigantaggio resta a questo punto per quel che fu sempre nella mente dei suoi protagonisti: “una splendida occasione di bottino e di fama”, pur nella consapevolezza che tanti errori erano stati commessi dai nuovi governanti, tante ingiustizie erano state perpetrate e il “ gattopardismo” aveva avuto la sua apoteosi.

Eppure , su Crocco – scrive l’autore - è fiorita un’altra leggenda, meno diffusa ma non meno fantasiosa di quella che ha fatto del pastore di Rionero un ardimentoso campione del riscatto sociale…Secondo questa visione, Carmine Donatelli Crocco, era “fin che si vuole brigante, ma anche guerrigliero per il suo Re e per la sua Terra”.

Ettore Cinnella sostiene che “ se si vuole attribuire al brigantaggio postunitario un qualche afflato sociale, non bisogna fissare lo sguardo sulle bande più grosse e famose (come quelle di Crocco), ma scavare gl’interstizi del fenomeno principale, cioè le comitive più piccole, alcune delle quali riuscivano talora a vivere in simbiosi con il mondo contadino”.

Questa lunga fase del brigantaggio, apertasi tra la fine del ’61 e il ’65, travolge anche Crocco che, a differenza di molti suoi compagni d’avventura, sfuggì alla morte e fu arrestato definitivamente nel 1870.

Processato e condannato a morte, pena commutata nei lavori forzati a vita, Crocco si spense negli stessi "panni" del suo esordio, dopo aver conosciuto la fama di più importante brigante della storia d’Italia.

 

Angelo Martino