Cristo e Ovidio: due diverse concezioni dell'amore

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Categoria: Storia e Letteratura - Miscellanea
Creato Sabato, 11 Maggio 2013 10:15
Ultima modifica il Lunedì, 26 Agosto 2013 12:23
Pubblicato Sabato, 11 Maggio 2013 10:15
Scritto da Nicola Terracciano
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Amore e PsicheNon sembri un confronto azzardato: è vero che non si sono conosciuti, ma essi hanno avuto anni di vita storica in comune, hanno respirato la stessa temperie in due angoli diversi del mondo, ma comunque accomunati dall'essere entrambi vissuti nell'orbita della Grande Repubblica Romana, benchè Ovidio visse per gran parte della vita nel suo centro e Cristo nel Medio Oriente, in una delle periferie più ardenti, accese, quella ebraica, a Gerusalemme.

Il parallelo Cristo-Ovidio è una delle tante dualità, che esemplificano il contrasto tra le tre città della storia universale, Roma, Atene, Gerusalemme, tra le loro visioni del mondo, che hanno inciso profondamente nelle profonde visioni della vita ed incidono sulla qualità ed il sapore del nostro vivere quotidiano, sulla tinta della nostra profonda esistenzialità personale.

Ovidio nacque a Sulmona il 47 avanti Cristo e morì nel 17 dopo Cristo, quindi ha avuto in comune con Cristo 17 anni di vita storica.

Per strana curiosità storica una delle più importanti e note opere di Ovidio, "L'arte di amare", si colloca proprio a cavallo della nascita di Cristo, tra l'1 avanti Cristo e l'1 dopo Cristo.

Uno spartiacque della storia umana, conservando l'ottica cristiana (in altre culture vige altro calendario, dal mondo romano, ad es. che partiva dalla fondazione di Roma, all'ebraismo che parte dalla creazione del mondo, all'islam, che parte dalla vita di Maometto), è sul modo di concepire l'amore, se assumiamo il Cristo in una delle sue originalità storiche nei confronti dell'ebraismo (nel cui grembo per tutta la vita si svolse la sua parabola esistenziale e spirituale, giacchè non ebbe altra esperienza religiosa e culturale che quella, pur vivendo nel ricchissimo, plurale, vivacissimo mondo romano della sua epoca) come personalità storica, che propose nel suo mondo ebraico proprio un diverso modo di concepire l'amore.

Su questo grande terreno dell'amore è allora possibile un confronto tra Cristo ed Ovidio, che all'amore dedicò tutta la sua immensa, memorabile vicenda poetica e letteraria, che incise anche drammaticamente sulla sua esistenza, poichè fu quel "carmen", cioè 'L'arte di amare", la fondamentale causa del suo tragico esilio in una remota località sul Mar Nero della Repubblica Romana, Tomi (attuale città di Costanza in Romania) per decisione dura e irrevocabile del severo, moralista all'estremo Augusto nell'anno 8 dopo Cristo.

Augusto fu talmente duro da mandare in esilio figlia e nipote e infliggere la morte ad altri lontani dalla sua morale austera.

Ovidio, pur richiedendo costantemente comprensione e perdono e possibilità di rientro nell'adorata Roma, trovò la durezza del potere della famiglia Giulia (Augusto e Tiberio) e morì esule, e solo dieci anni dopo, in quella estrema periferia del mondo di allora (ma oggi nel centro storico di Costanza troneggia, come giusto omaggio di nobile memoria, la sua statua in bronzo innalzata doverosamente nel 1887, opera del grande scultore italiano Ettore Ferrari, autore tra l'altro della statua di Giordano Bruno a Campo dei Fiori).

I due destini di Ovidio e Cristo per qualche aspetto si avvicinano: per aver lanciato due messaggi memorabili conobbero la dura reazione del potere costituito e pagarono l'uno col lungo esilio, e l'altro con l'atroce crocifissione la loro audacia.

Non si pensi che Ovidio sia personaggio storico minore.

Publio Ovidio NasoneEgli fu posto da Dante, che se intendeva e che tanto trasse da Ovidio nella sua opera, nel Castello degli Spiriti Magni accanto a Omero, Orazio, Lucano, e con Virgilio la sua fama si estese dalla letteratura all'immaginario collettivo medievale come un mago, una personalità eccezionale che conosceva i segreti dell'amore, del suo accendersi, del suo possibile guarire, essendo l'amore non solo estasi, ma anche dolore e malattia.

In cosa consistono le principali differenze tra Cristo ed Ovidio, che danno luogo a fondamentali dimensioni di due distinte visioni del mondo, di due diverse possibili civiltà?

Per Cristo l'amore è slancio tutto psichico e spirituale, appassionato, di fraternità, di sentire gli uomini come fratelli, le donne come sorelle, tutte dotate della dignità di figli, di figlie di un Dio non solo di giustizia, ma di amore, che ama le sue creature, è sempre aperto al perdono e alla salvezza. Le ha così amate da mandare il figlio sulla croce

Questo slancio appassionato di amore come fraternità si riversa naturalmente nella carità, che è il cuore poi del cristianesimo, secondo il fondamentale commento di S.Paolo, nel concreto aiuto al fratello, alla sorella, specialmente, quelli, quelle più umili, deboli, malati. Dai miracoli del Cristo alle infinite azioni di carità lungo i millenni è segnalata questa intuizione spirituale nuova.

Ne nasce una nuova visione del divino, ne nasce una nuova visione della persona umana e della sua dignità, che fonda la civiltà cristiana, così possente nella storia e pervasiva ancora oggi.

L'ultima aggiunta del Cristo-Dio inviato dal Padre per sanare la colpa originaria, comunque segno del suo amore, è successiva elaborazione cristocentrica di S. Paolo, che non conobbe personalmente Cristo, e che è il vero creatore dopo Cristo del cristianesimo storico che conosciamo, diffuso fuori del mondo ebraico nel quale era nato e si era svolto, tanto che nella messa quotidiana sempre, anche oggi, col vangelo, si leggono solo le lettere di S.Paolo, e non di altri apostoli o di altri innumerevoli personalità della millenaria storia cristiana, a segnalare a livello inconscio profondo che il cristianesimo storico non è costruzione del Cristo storico, che è soltanto, si ripete, secondo onesta e indubitabile verità storico-filologica, originale profeta ebraico di un popolo ricco di profeti, ma costruzione fondamentale di S. Paolo.

Gesù di NazarethIn Cristo e nel cristianesimo l'amore non coinvolge i sensi, è tutto psichico e spirituale, proiettato verso la fonte di esso che sta nell'al di là, lassù, nell'eternità.

I sensi sono rimossi, repressi, controllati, spiati, condannati ed essi, come con forza e coraggio intellettuali memorabili ha scoperto e illuminato Freud, reagiscono in vari modi, dalla nevrosi all'isteria, alle altre forme che gli esploratori dell'inconscio e del vasto mondo emozionale hanno descritto e stanno descrivendo e devono ancora descrivere.

In Cristo storico è vero che non mancano le tenerezze, le carezze; tra quelli che lo seguono vi sono donne, che lo avvolgono di gesti delicati, ma si tratta di particolari ed eventi secondari, mai divenuti momenti essenziali di un vissuto cristiano.

In Ovidio l'amore è l'amore dei sensi, dell'uomo e della donna, visti nella loro terrestre creaturalità, che è anche psichico, che è anche mentale,  è un insieme inestricabile di senso, di psiche, di mente, è occhio, orecchio, palpito ed affanno, carezza ed estasi, sogno e immaginazione liberamente assecondati e coltivati, nostalgia e attesa.

Ma è anche dolore, gelosia, possesso, violenza, potenza dominatrice di volontà, di pensiero, di vita.

L'amore è una potenza immensa multiforme, proteiforme, che può decidere il destino di umanizzazione e di felicità  o di dolore e anche di malattia delle singole esistenze.

Negarlo o reprimerlo non si può, nè si deve, perché esso si vendica in mille modi e da esso dipende molto della vita degli uomini e delle donne, come abbiamo scoperto, come constatiamo costantemente.

Verso l'amore quindi per Ovidio, il grande memorabile, commovente poeta e non profeta, quindi umanissimo Ovidio, occorre avvicinarsi con apertura e accortezza, con cura, assecondando, ma senza lasciarsi travolgere, guidando e facendosi guidare, con una sapienza che è frutto di libertà e di dono, di slancio e non di schiavitù, di commozione e non di perdizione.

E Ovidio seppe capire l'amore anche come dolore e malattia e indicare per essi i rimedi, senza troppo soffrire o morire, senza far soffrire e far morire, con intuizione modernissima di fronte a tanta violenza, che si scatena tra uomini e donne, tra uomini contro le donne in questo per tanti aspetti drammatico, condizionato clima antropologico cristiano, ignaro, inesperto, che rimuove sistematicamente questo universo complicato.

Insomma 'un'arte' importante come quella del vivere, quella di amare,  una componente fondamentale della più ampia e complessa 'arte del vivere', che la Sapienza e l'esperienza greco-romane seppero individuare e concretamente far vivere e che furono perdute nei millenni successivi, anche col loro grande patrimonio di opere ( noi possediamo solo i relitti sparsi di quelle grandi civiltà), tranne solitarie eccezioni, essendo stata l'umanità attratta ora con il fascino, ora con la forza e la brutalità, da una commovente, tutta spirituale, profezia ebraica, perdendo, ahimè, il senso della terra, della nostra miracolosa ed, arcobalenata terrestrità, unica nostra ricchezza, unico nostro dono, da curare con arte appassionata e delicata, tra i misteri del nascere e del morire.