Andreotti "il vero portavoce della chiesa"

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Pubblicato Martedì, 07 Maggio 2013 11:55
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Funerali privati e camera ardente in casa per Giulio Andreotti. Si è spento il 6 maggio 2013 nella sua abitazione romana.

Uno dei principali esponenti della Democrazia Cristiana e tra i protagonisti della vita politica italiana nella seconda metà del secolo scorso, Andreotti è  sempre stato presente dal 1945 in poi nelle assemblee legislative italiane: dalla consulta nazionale all'Assemblea costituente, e poi nel Parlamento italiano dal 1948, come deputato fino al 1991. Senatore a vita, ministro, sette volte Presidente del Consiglio, ma anche giornalista e scrittore.

Una carriera accompagnata da oscure vicende giudiziarie, a cominciare da quella di Palermo in cui fu inquisito per mafia.

Subito dopo la diffusione della notizia del ricovero del Senatore a vita, Giulio Andreotti, avevamo contattato un suo vecchio amico, Mario Barone. Siciliano, collaboratore stretto dello statista, ex ufficiale di marina, ex amministratore delegato del Banco di Roma. Si conoscono dal dopoguerra, precisamente dal 1946.

“Ho visto Andreotti l’altro giorno, stava bene. Gli anni pesano, ne ha 93 e si era un po’ ritirato in se stesso, non faceva grande attività, grandi cose. Veniva ogni tanto al Senato, stava tranquillo e sereno per come si può stare a 93 anni. Quella di oggi non è stata una crisi cardiaca, ma una crisi respiratoria. Aveva una bronchite che si andava aggravando e giustamente i familiari, non potendolo curare bene con ossigeno in casa, lo hanno portato al Gemelli. Disgrazia ha voluto che in quel momento ci fosse anche il Papa e la cosa ha creato un pò di confusione. E’ cosciente per ora, però ha 93 anni”.

“Subito dopo la sua nomina – si legge nel saggio ‘Il Caffè di Sindona’ – Barone come responsabile del settore esteri del Banco appose la sua firma a un prestito di 100 milioni di dollari che l’Istituto erogò a Sindona attraverso la filiale di Nassau”.

 

Con Barone, che ha confermato il prestito, abbiamo affrontato anche questi argomenti. “Sono il custode dell’archivio di Andreotti” ha tenuto a precisare, sottolineando che oggi ricopre anche il ruolo di presidente del Comitato Andreotti. Il fedelissimo del Senatore, con una battuta, ha spiegato: “se apro troppo la bocca mi sparano con la lupara”. Siamo partiti dall’inizio. Dal giorno dell’incontro con Andreotti: “Facevo parte dell’azione cattolica. Quando sono venuto a Roma ci siamo incontrati e da allora sono stato al suo seguito, pur facendo una carriera diversa”.

Una carriera diversa ma legata ad Andreotti.

Sempre a sua disposizione.

Un politico sempre presente nella vita politica italiana.

Andreotti per 10 anni è stato fuori dalla vita politica, assorbito completamente da processi che per fortuna si sono risolti in maniera positiva. Lui ha avuto il coraggio, a differenza di altri, di affrontarli a viso aperto. Lui fu tradito dal suo stesso partito al momento delle elezioni della Presidenza della Repubblica, quando venne fuori Scalfaro. Si eliminarono a vicenda lui e Forlani. Da allora è rimasto un pò fuori, meno interessato a quello che succedeva.

Come si ritrova nella politica di oggi?

Non si ritrova, è un mondo nuovo per lui. Non esprime giudizi né critici né positivi. I tempi sono cambiati, non è la politica che è cambiata.

Cosa possiamo aggiungere sul tentativo di mediazione tra il mondo laico e il mondo cattolico?

Lui, come dicevano, è un cardinale mancato. Era in sostanza il vero portavoce della Chiesa, che ha sempre difeso a oltranza, anche quando con qualche Papa ha avuto un contatto più difficile.

Con quale Papa?

Con Pio XII, che pure lo valutava in altissimo senso. Stiamo parlando di 50 anni fa, quando i fascisti tentarono di prendere il Comune di Roma. Ecco il famoso legame con Sturzo. Quando interveniva interpretava esattamente il pensiero del Vaticano. Ma il processo (per mafia, ndr) è stato un trauma e ha spezzato la sua vita. Da quel momento ha smesso di essere attivo nella vita politica.

Lei ha affermato che fu tradito dal suo partito. Per molti osservatori l’omicidio del suo braccio destro siciliano Salvo Lima, nel marzo del 1992, gli fece perdere la candidatura alla poltrona di Presidente della Repubblica.

Andreotti con il suo partito non ha mai avuto un incarico. Era l’uomo più potente, ma non faceva parte del gruppo che comandava il partito. E il partito, quando Andreotti era il candidato naturale, gli mise tra i piedi Forlani, che si fece prendere da questa idea. Poi venne fuori il compromesso e presero Scalfaro. In Italia c’è l’abitudine che qualunque cosa succede è colpa della mafia. Io non lo so se la mafia era tanto potente. Io sono siciliano e faccio parte della Sicilia buona e non di quella cattiva. Credo che fu una lotta interna al partito. La politica, i giornali vivono di queste voci, io non lo credo. Certamente alcuni uomini del partito democristiano avevano legami con la mafia in Sicilia.

Come Salvo Lima?

Non lo posso dire, non sono in grado di fare affermazioni del genere. Ripeto: dieci anni di processo lo estraniarono un pò dalla vita e da allora gli è rimasta questa amarezza.

Lei parla molto del processo. Che pensa di quel periodo?

Era un periodo un pò complesso perché stavamo vedendo che lentamente la Prima Repubblica stava morendo. Fu un preciso disegno del partito democristiano, che gli fu nemico. L’ostacolò in tutte le maniere.

Lei è un profondo conoscitore di Andreotti, può chiarirci molte cose.

Oggi faccio il pensionato, ho 90 anni. Se apro un pò troppo la bocca qualcuno mi spara con la lupara (ride).

Perché dice così?

Perché quando si parla troppo… il segreto è il silenzio.

E’ la stessa massima di Andreotti?

No, questa è mia.

Ma chi potrebbe sparare con la lupara?

Son quelle battute che si dicono.

Nel saggio ‘Il Caffè di Sindona’ si legge: “la nomina di Barone (amministratore delegato del Banco di Roma, ndr) coincise con il versamento di una tangente di 2 miliardi di lire alla Dc da parte delle banche sindoniane”.

Ho 91 anni, ho parlato abbastanza. Ero fiero di valere due miliardi, ma le pare possibile? E’ una delle tante balle che circondarono Sindona a suo tempo.

E i 100 milioni di dollari erogati a Sindona, con la sua firma?

Sindona li ha restituiti dopo un mese. Sono prestiti che si fanno.

Lei che rapporti aveva con Sindona?

L’ho visto due o tre volte.

In una commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Sindona si legge che lei era stato nominato terzo amministratore delegato del Banco con il patrocinio di Sindona e l’appoggio politico di Andreotti. Chi era Sindona?

Una persona di grande genialità finanziaria. Poi, probabilmente, si fece prendere la mano dall’ambizione. Sindona era socio di Cuccia, aveva una società insieme a Cuccia. Era uno dei protetti di Cuccia, forse un giorno verrà fuori un pò di verità. Non posso parlarne né bene né male. Il suo fu un peccato d’orgoglio e si mise in un sentiero sbagliato.

Il suo amico Andreotti dopo la morte di Giorgio Ambrosoli disse: “se l’andava cercando”.

Ambrosoli era una persona molto seria con la quale ebbi un ottimo rapporto di cordialità, lo aiutai molto. Ambrosoli si illuse di poter superare tutta una serie di contorni che l’affare aveva. Poi in 50 anni di vita politica ogni tanto la battuta spiritosa può essere infelice.

Ambrosoli è stato ucciso perché faceva il suo dovere.

Non per colpa di Andreotti, se c’è un responsabile è proprio Cuccia che non avvertì nessuno.

Un segreto, dopo la sua ‘battuta’ sulla lupara, deve dirlo però…

No, ho già parlato troppo.

Lei parla spesso del processo di Andreotti. Ma per lei prescrizione vuol dire assoluzione?

Lo domandi all’avvocato Bongiorno (avvocato di Andreotti, ndr). Per me è stato assolto.

Anche se è una prescrizione?

Lei vede Andreotti che va a sparare al giornalista (Mino Pecorelli, ndr) o Andreotti che va a baciare un mafioso?

Ma non è stato assolto.

Parli con l’avvocato Bongiorno.

 

Paolo De Chiara