Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Le interviste impossibili: Ettore Carafa

Condividi

Non è facile riuscire ad ottenere una sua intervista. Mi è stato detto che il Conte è un tipo strano, riservato, imperturbabile. Ho la possibilità di rivolgergli solo poche domande, sperando mi risponda. E' un personaggio di poche parole.

Sta molto in collera con Napoli, una città per la quale ha speso la vita, ma che, immemore delle sue gloriose  imprese, non gli ha nemmeno intitolato una strada.

Esiste, si, una vaga Via Conte di Ruvo, ma di quei Conti ce ne sono stati ben venticinque.

In fondo, sarebbe bastato specificare Ettore Carafa, Conte di Ruvo, martire della libertà. E invece no. Quei suoi resti mortali ancora giacciono in una fossa comune nella terra fangosa del Carmine Maggiore.

Nessuno parla di lui. Lo hanno relegato ad un tenebroso oblio. Eppure, quando mi viene incontro impettito, nella sua alta uniforme di Generale della Repubblica Napoletana, mi giunge avvolto in un fascio di luce abbagliante.

Pochi istanti, e quell’immagine eterea mi si inizia a delineare  sempre più nitida: ha una statura media, capelli corti e chiari, occhi cerulei, un’espressione un po’ imbronciata.

L’emozione è forte,  un profumo di lavanda mi inebria, ho un momento di confusione mentale. Mi giunge con un tonfo nel petto, una sensazione che non avevo mai provato prima: sono felice. Lo vedo. Mi incanta  il suo portamento austero, nobile, quasi imperturbabile.

"Benvenuta al mio palazzo, cittadina".

Resto attonita, stordita,  tiro un lungo respiro e cerco di ingoiare quel terremoto nell’anima.

Tutto è rimasto immutato in quell’antico palazzo al Largo San Marcellino. Provo a guardarmi intorno e qualcosa mi torna familiare. Sono in un’immensa sala dalle pareti drappeggiate di arazzi, specchiere.

Il Conte mi invita a sedere su una poltroncina dai fregi dorati davanti ad una scrivania con simili intarsi.

Sul ripiano c’è un candelabro, un calamaio con la piuma d’oca e diverse pergamene già vergate, qualche libro.  Intravedo Le vite parallele di Plutarco, ed  Il progetto costituzionale di Mario Pagano.

 

Lui mi si siede difronte, mi punta con il suo sguardo intenso, percepisce il mio disagio, mentre io cerco di superarlo, schiarendomi la voce con un colpo di tosse.

La ringrazio per aver accettato di rilasciarmi un’intervista, Conte. Non le farò tante domande, non abuserò della sua ospitalità, quanto della sua pazienza.

Non amo parlare molto, ma sono io che ringrazio Lei. So che da anni sta cercando di portare un po’ di luce su quell’impresa che nel 1799 ci rese eroi e martiri, ma la prego, non mi chiami Conte. Sono un Cittadino della Repubblica. Ho rifiutato il titolo di Conte e poi di Duca da tanto tempo. Sono il Cittadino Ettore Carafa.

Si, certo, mi perdoni. Lei è stato Generale della sua legione nel 1799 ed ha condotto delle grandi battaglie per democratizzare le province del Regno delle due Sicilie. “Romo” e “Lomo”, Repubblica o Morte, Libertà o Morte”. Ha dato tutto questo?

Si, ho dato tutto per la causa rivoluzionaria. Tutto! Dalle ricchezze della mia famiglia, alla vita. Ho pagato al prezzo della mia esistenza l’amore per la libertà, per i sacrosanti Diritti dell’Uomo!  Il borbone può aver stroncato la mia esistenza, ma non il ricordo di ciò che ho fatto. I miei pensieri sono ancora tutti qua.

Hoc fac et vives – Fa’ questo e vivrai. Fu nei secoli  il motto dei Carafa. E’ stato così anche per lei?

Ho combattuto ed ho dato la vita per la Repubblica. Sono nato e  morto per questo!

Nella letteratura borbonica lei è stato dipinto come un essere infame, esaltato, che non esitò a mettere a ferro e fuoco anche Andria, la città dove nacque il 29 dicembre del 1767. Quanto c’è di vero?

Se democratizzare, portare la libertà e l’uguaglianza tra gente soggiogata dal potere di un dispotico sovrano ha significato rendersi infami ed esaltati, ebbene, lo sono stato. Ho combattuto contro le ingiustizie, la servitù, le oppressioni. Non sono entrato in alcuna provincia con l’intenzione di portare morte e devastazione, ma solo libertà e democrazia. Con il mio esercito ci siamo difesi da attacchi di gente reazionaria, che non ha mai compreso i valori della nostra Repubblica.

Si racconta che, nonostante lei fosse alleato coi francesi, non esitò ad ammazzarne qualcuno.

Ammazzai un francese che stava cercando di violentare una donna, ed un altro che aveva rubato tutti gli ori e gli ex voto da una chiesa dal paese e si aggirava fiero ricoperto di gioielli, proferendo blasfemie. Si l’ho fatto, non lo nego e lo rifarei. Fu per me un atto di giustizia.

E’ rimasta immortale una sua affermazione a proposito di un giovane prete che le si presentò chiedendo di essere arruolato nella sua legione e lei gli risposte che in guerra servivano “le palle”.

Si, ricordo. Riconobbi in quel “prevetariello” il figlio di un fornaio che mi aveva dato rifugio nei giorni successivi alla mia fuga da Castel Sant’Elmo. Si rivelò essere un soldato valoroso,  “con le palle”. Un uomo che non ha il coraggio di combattere per la libertà sua e del suo popolo, non è un uomo, è un vile codardo, un servo del potere!

Mi tratterrei a parlare per ore. Sa, Ettore, io l'ho cercata tanto tra i libri, le carte d'archivio, nei luoghi dove lei ha vissuto, e sono ancora  tantissime le domande che vorrei rivolgerle, da come visse quei suoi anni da prigioniero politico, alla fuga, all’emozione per la proclamazione della Repubblica, alle sue imprese negli Abbruzzi e nelle Puglie, fino a quel tragico 4 settembre. Ma questa è storia, in parte nota. Ed allora, oso chiederle dell’altro. Provi a fare un balzo nel tempo, fino al 2013. Cosa è cambiato secondo lei da allora e particolarmente a Napoli?

Nonostante le innovazioni tecnologiche e scientifiche abbiano rivoluzionato la qualità della vita, purtroppo, nel DNA di una parte del popolo napoletano, credo siano ancora presenti quegli antenati lazzari che allora esultarono a vederci sul patibolo. Gli intellettuali se ne stanno arroccati nelle loro torri d’avorio e Napoli è sempre più nella morsa dei lestofanti approfittatori. Allora erano Ferdinando e la sua corte. Oggi sono cambiati i  suonatori, ma la musica è rimasta la stessa.

Insomma, se potesse scegliere di vivere oggi, cosa farebbe il Cittadino Carafa, sarebbe ancora pronto a sacrificare la sua vita per il bene comune?

Probabilmente cercherei di essere un paladino della giustizia, ma avrei meno speranze di cambiare le cose. Credo sia scomparso del tutto quell’eroismo che allora mosse la nostra impresa. Mi sentirei disperatamente solo.

Ha dei rimpianti? In fondo ha vissuto solo 32 anni...

No. Ho avuto una vita breve, ma intensa. Ho amato la libertà più di ogni altra cosa e non esiste bene più prezioso. Non ho mai tradito la Repubblica, i miei ideali, nemmeno quando vidi venir giù la lama assassina.

Ferdinando, commentò la sua morte dicendo O duchino ha fatto ‘o guappo fino all’ultimo!

Sono stato coerente con me stesso fino alla fine. Sono fiero d’essere stato un Generale della Repubblica.

Il 4 settembre lei ascese il patibolo. Finì un’epoca?

Finì un sogno glorioso, un qualcosa che aveva reso Napoli una Repubblica eroica agli occhi di tutta l’Europa. Ma non era il suo destino. Fu solo un bagliore di luce. Da allora sono calate le tenebre, le stesse che ancora oscurano la nostra storia e tengono i nostri resti mortali  nel fango.

E’ stata un’emozione immensa per me incontrarla, Cittadino Carafa. Grazie per avermi concesso questa intervista. La sua luce oggi ha vinto quelle tenebre.

Non è la mia luce, è l’amore che lei ha dentro e con il quale sta cercando di portare in vita le imprese di quanti come me allora combatterono per la libertà. A volte un altare costruito nel cuore vale molto di più di un muto monumento alla memoria.  E finchè questo altare è vivo, anche noi lo saremo, per sempre. Arrivederci!

 

Statistiche

Utenti registrati
137
Articoli
3179
Web Links
6
Visite agli articoli
15333911

(La registrazione degli utenti è riservata solo ai redattori) Visitatori on line

Abbiamo 339 visitatori e nessun utente online