Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

L'età Giolittiana nella storia d'Italia

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I cinque grandi liberali di governo della storia d'Italia sono stati Camillo Benso di Cavour, Quintino Sella, Giovanni Giolitti, Luigi Einaudi, Benedetto Croce, ad ognuno dei quali è legata una fase fondamentale della storia d'Italia. A parte si pone la complessa, tormentata figura di Piero Gobetti.

L'età giolittiana (1900-1915), che conclude un secolo dal Congresso di Vienna, illumina, incarna, porta al livello più alto, in modo indimenticabile, la vicenda del Risorgimento nella storia d'Italia: questa penisola definita da Metternich nel 1815 una espressione geografica diviene in un secolo una delle più grandi potenze del mondo e sprigiona energie e realizzazioni in tutti i campi della vita civile, economica, sociale, culturale, quali mai si erano viste su questa nostra cara, amara terra dall'epoca romana.

Le grandi acquisizioni legate all'azione di governo o alla politica di Giolitti sono le seguenti: nascita della Banca d'Italia, nuova politica dell'ordine pubblico, nuovo tipo di rapporto tra Stato e ceti operai, legislazione sociale, promozione dell'associazionismo operaio e del movimento cooperativo, nazionalizzazione delle ferrovie, nazionalizzazione delle assicurazioni, conversione della rendita, pareggio del bilancio e prestigio della lira quotata più dell'oro e che faceva concorrenza alla sterlina,  infrastrutture e sviluppo economico (dall'acquedotto pugliese al traforo del Sempione, alle bonifiche nelle province di Ferrara e Rovigo, alle leggi speciali per Napoli e Basilicata), nascita del triangolo Milano-Torino- Genova, il suffragio universale maschile (da 3 milioni e trecentomila a 8 milioni e seicentomila elettori nel 1812, ponendo l'Italia all'avanguardia) e l'indennità mensile per i deputati, difesa sempre della laicità dello stato, statalizzazione della scuola primaria. 

Giolitti si pose nel grande solco di Cavour, come scrisse nelle "Memorie della mia vita", (1922), pensando che, dopo le società reazionarie, quelle liberali dovevano dare piena legittimità giuridica ed economica ai ceti operai, traendone benefici tutta la società e che lo stato dovesse essere non solo neutrale, ma promotore di emancipazioni e liberazioni verso il mondo dei diritti ed il progresso economico e sociale.

Le grandi ombre nere del periodo giolittiana, tanto che Salvemini lo definì il ministro della malavita, furono la pesante interferenza governativa nelle elezioni e nella composizione del parlamento con la nomina di fedelissimi, chiamati 'ascari', come le truppe coloniali nell'esercito regolare,  l'uso spregiudicato del potere politico e con collusioni specialmente nel Sud con la criminalità organizzata, che aggravava la questione meridionale, il gigantesco fenomeno dell'emigrazione transoceanica, il cedimento a correnti nazionaliste, colonialiste, il cedimento ai cattolici con la caduta dello spirito laico, ma per colpa anche dell'estremismo socialista.

Cinque furono i governi Giolitti:

I - maggio 1892-dicembre 1893

II - novembre 1903 - marzo 1905

III - maggio 1906 - dicembre 1909

IV - marzo 1911 - marzo 1914

V - giugno 1920 - luglio 1921

Nato a Mondovì, provincia di Cuneo, nel 1842 e morto a Cavour, provincia di Torino, dove aveva una villa, nel 1928, Giolitti visse quindi 86 anni.

Il padre era  cancelliere del Tribunale di Mondovì, la madre benestante di origine francese, con quattro fratelli, tutti celibi, che vivevano a Torino, dove si trasferirono madre e figlio dopo la morte prematura del padre per polmonite, dopo una gita in montagna, quando il piccolo aveva appena un anno.

A Torino fu studente liceale e poi un universitario così brillante da laurearsi in giurisprudenza a 19 anni, per cui ci volle una deroga del rettore, per fare in un anno gli esami di tre.

Uno degli zii era stato deputato nel 1848 ed era amico del segretario di Cavour e Giovanni lo accompagnava nelle loro passeggiate sotto i portici.

Non fu persona di passioni politiche immediate o romantiche, tanto che non partecipò a nessuna delle vicende risorgimentali, ma ebbe soprattutto  il culto dell'amministrazione dello Stato, entrando nel Ministero di Grazia e Giustizia e poi con funzioni più direttive nel Ministero delle Finanze, collaborando con quel memorabile ministro Sella, che portò al pareggio di bilancio, divenendo suo segretario particolare.

Collaborò col presidente del consiglio Minghetti dal 1873 al 1876.

La sua carriera di alto funzionario statale era quindi cresciuta nella nuova capitale Roma, arrivando alla Corte dei Conti e al Consiglio di Stato nel 1882.

Conobbe quindi dall'interno il meccanismo dello Stato e seppe pertanto manovrarlo, quando andò al governo.

Fu colui che tradusse sul piano concreto quotidiano uno dei risultati più alti del Risorgimento: lo stato liberale e costituzionale.

Si sposò con Rosa Sobrero e ne ebbe sette figli (da uno dei quali nacque il compianto onorevole socialista Antonio Giolitti).

Abitò in Via Cavour, restando piemontese nelle abitudini, sobrio e riservato.

Solo a 40 anni cominciò la sua vita più strettamente politica, eletto come deputato nel collegio di Cuneo con un programma di liberalismo moderno, facendo parte della "sinistra costituzionale ".

Si distinse nella lotta contro gli eccessi di spesa del governo Depretis.

Era contro il trasformismo, per partiti stabili e programmi chiari, fondamentali per far vivere un regime liberale e costituzionale.

Era per una politica democratica, tendente al benessere interno, e non imperialistica e coloniale.

La sua rara competenza amministrativa lo portò ad essere nominato Ministro del Tesoro nel 1889 e per breve tempo Ministro delle Finanze nel secondo Governo Crispi, ma, dopo un anno, si dimise per la sua opposizione alla politica coloniale e per questioni di bilancio.

Essendosi affermato in Parlamento come uno degli uomini politici più preparati e seri, il re Umberto I gli diede l'incarico di formare il governo nel maggio 1892 (quello che fu il  primo dei cinque della sua lunga vita). Aveva 50 anni.

Fu coinvolto dallo scandalo della Banca Romana (già Banca dello Stato Pontificio), uno dei più famosi scandali finanziari della storia d'Italia per il coinvolgimento di politici (es. Crispi, lo stesso Giolitti che negò, il deputato De Zerbi che si suicidò) e dello stesso Re (che Giolitti cercò di coprire ), banca centrale di emissione con altre cinque, coinvolta dalla crisi dell'edilizia, dai favoritismi politici e regi, anche pontifici, che dai 60 milioni autorizzati, coperti da riserve auree, giunse ad emetterne 110, con 40 milioni di serie doppie, aventi lo stesso numero.

Giolitti allora fondò la Banca d'Italia con ruolo principale di emissione, unendo tre banche nell'agosto 1893, che provvide alla liquidazione anche della Banca Romana, restando l'unica col Banco di Napoli e il Banco di Sicilia ( nel 1926 restò poi la sola, come è oggi ).

Ma per queste operazioni, la neutralità per gli scioperi dei Fasci Siciliani e il progetto di una imposta progressiva sul reddito, fu costretto alle dimissioni.

Per queste linee nuove, inedite di politica interna, pur restando fuori e all'opposizione per i successivi anni, egli si affermò come il riferimento politico contrapposto al crispismo e alle tendenze autoritarie, appoggiate anche da ambienti regi ( si vedano le stragi di Milano di fine secolo), che portarono al regicidio del 1900.

Allora si vide quanto era stata lungimirante la posizione realistica ed equilibrata del Giolitti, che crebbe nel consenso fino a riprendere in mano direttamente il potere nel 1903, anche se anche il governo precedente Zanardelli ( 1901-1903) fu sua espressione.

In esso infatti egli fu Ministro degli Interni e impresse quella svolta che fu caratteristica della sua opera di governo: la neutralità dello stato nei conflitti di lavoro, non la repressione violenta dei moti operai e contadini.

Essi fanno parte dell'ordinario svolgimento sociale ed economico e lo stato deve essere l'arbitro, onde evitare esiti violenti e permettere la ricomposizione (ciò che è acquisizione dell'atteggiamento anche oggi dello stato liberale e democratico).

La presenza del sindacato è benefica, va riconosciuta, perchè è più costruttiva e garante di un moto spontaneo cieco e senza scopo, e si muove sul solo terreno economico, senza finalità politiche sovversive, rivoluzionarie.

Da vero liberale moderno cercò di portare a responsabilità di governo, con prospettiva lungimirante, onde allargare le basi di consenso allo stato liberale risorgimentale, il nuovo partito socialista, in modo che gli interessi dei lavoratori avessero diretto potere e responsabilità politica, pronto ad offrire un posto di ministro al loro esponente più noto, il milanese Filippo Turati.

Ma la tragica storia socialista si espresse con l'opposizione e il veto della componente massimalista e rivoluzionaria presente nel partito.

Ma Giolitti non venne mai meno ad una "mano tesa" alla componente riformista socialista ed alcune grandi riforme furono compiute in accordo sostanziale con essa.

Resta comunque merito di Giolitti questa grande intuizione di un governo di centro-sinistra allargato nella composizione ai socialisti che, solo col tragico martello dell'esperienza storica, si è realizzato negli anni Sessanta del Novecento.

Altra sarebbe stata la storia d'Italia se i socialisti fossero stati al potere direttamente coi liberali progressisti, in una gestione sostanzialmente liberalsocialista del potere già agli inizi del secolo, tenendo conto delle posizioni neutraliste comuni tra Giolitti e Turati, quali emersero ad es. nel 1915 e che potevano evitare il coinvolgimento in quella guerra sconvolgente nel cui grembo maturò di tutto, compreso il tragico fenomeno totalitario.

Varò norme a favore del lavoro infantile e femminile, della invalidità e della vecchiaia, favorì negli appalti le cooperative sia di sinistra che cattoliche.

Si trattò di svolte profonde, quasi rivoluzionarie, che suscitarono reazioni e ostilità nei ceti proprietari e nei riflessi classisti secolari vigenti nel profondo.

Nel marzo 1905 si dimise, anche perchè era favorevole alla nazionalizzazione delle ferrovie, ponendo così fine al suo secondo governo, benchè il suo peso politico rimanesse inalterato.

E infatti questo grande cavallo di battaglia, la nazionalizzazione delle ferrovie, della proprietà statale quasi completa (tranne qualche tratta) di questa fondamentale infrastruttura nel tempo in cui non c'erano altri mezzi di trasporto terrestri oltre gli animali, fu fondamentale per agevolare il gigantesco sviluppo economico che si ebbe durante il primo quindicennio del secolo.

Essa fu approvata un mese dopo la sua caduta sotto il governo dell'amico Fortis, ma a lui riconducibile.

Il terzo governo Giolitti, il più lungo e il più fattivo, iniziò nel maggio 1906 fino a dicembre 1909, quindi tre anni e mezzo.

In campo finanziario operò la conversione della rendita, portando gli interessi dei titoli di Stato dal 5 al 3,5 per cento con uno sgravio della finanza pubblica, arricchendo il bilancio pubblico di 50 milioni di lire, con ostracismo duro dei ceti proprietari e il persuaso consenso della gente.

Si completò la nazionalizzazione delle ferrovie, si avviò quella delle assicurazioni, si ebbero mezzi per affrontare la grave sciagura del terremoto di Messina del 1909.

Si continuò la legislazione sociale fissando limiti all'orario di lavoro (12 ore, conquista di allora, scandalo di oggi) e di età nel lavoro (12 anni ).

Ci furono interventi infrastrutturali nel Mezzogiorno, sgravi fiscali, in generale un tale sviluppo economico e industriale specialmente nel triangolo Milano-Torino-Genova, che, con le rimesse degli emigranti, si ebbero stabilità, pareggio del bilancio, tanto che la lira divenne moneta forte, più prestigiosa dell'oro.

Nel quarto governo dal 1911 al 1914, si ebbero ulteriori progressi civili, sociali ed economici, con l'introduzione del suffragio universale, che produsse tuttavia effetti spesso diversi dalle intenzioni di un allargamento e di una stabilizzazione dell'ordinamento liberaldemocratico, perchè ne trassero vantaggio forze di possente insediamento sociale come cattolici e socialisti, ma entrambi estranei al Risorgimento e al liberalismo.

Giolitti fece approvare contestualmente la prima indennità mensile ai deputati, per motivi democratici, permettendo l'elezione e la presenza a eletti di ogni ceto.

Come prima attuazione della nazionalizzazione delle Assicurazioni fu costituita l'Ina, Istituto Nazionale delle Assicurazioni.

Spinto dal clima europeo del possesso di colonie come necessario corollario del ruolo di grande potenza, per non lasciare il Mediterraneo a Francia e Inghilterra, per offrire uno sbocco più vicino al gigantesco flusso emigratorio, fenomeno non solo italiano, ma europeo, Giolitti, governante coi piedi per terra, si lasciò persuadere a compiere l'impresa di Libia, che ebbe però diversi contraccolpi negativi.

Implicando la guerra con l'impero ottomano, richiese la mobilitazione fino a mezzo milione di uomini, diede forza alle posizioni nazionaliste e belliciste nel paese da un lato e a estremiste posizioni pacifiste nel campo socialista, come quelle di Mussolini, che divennero fortissime nel partito socialista, disarticolandolo e mettendo in minoranza la componente riformista con espulsioni, quali quella di Bonomi e Bissolati.

Questo produsse un allentamento sostanziale e definitivo della componente liberale da quella socialista e il legame di esse con quella cattolica con il patto Gentiloni alle elezioni del 1913, che, in cambio dell'allentamento del non expedit vaticano di non partecipazione alla vita politica dopo la caduta del potere temporale del 1870 e l'appoggio a candidati liberali, implicava però l'abdicazioni a posizioni laiche, che erano state caratteristiche di quasi tutto il ceto dirigente  liberale da Cavour in poi.

 

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