Celestino V: la contemplazione infranta

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Pubblicato Martedì, 12 Febbraio 2013 11:09
Scritto da Remo de Ciocchis
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L’eremita  Pietro del  Morrone,  divenuto poi papa Celestino V,  è sempre stato per me uno dei  Santi più cari, sia per la sua intensità contemplativa, sia per essere nato nella mia terra molisana.

Forse non sempre ci si è resi dovutamente conto della grandezza spirituale di Pietro del Morrone. Io che ho avuto la possibilità di visitare i luoghi più importanti della sua vita, e in particolare  i suoi eremi della Maiella, posso affermare che è stato una delle grandi anime contemplative che ha avuto la Chiesa Cattolica.

Essendo anch’io sensibile ai valori dello Spirito,  ben so che la contemplazione è la strada che porta a Dio, o per meglio dire è il modo di mettersi in contatto col Creatore tramite la bellezza, la pace e la preghiera.

Le grandi anime religiose vivono di contemplazione estetica e mistica.  Esse infatti vanno alla ricerca continua dei luoghi più belli della natura, perché nella visione estetica del paesaggio la loro anima si ravviva di gioia e si avvicina a Dio.

La bellezza è certamente un volto fondamentale del Creatore. Infatti  i Santi hanno fondato  i loro eremi, le loro chiese e i loro conventi soprattutto nei luoghi incantevoli della natura, vere e proprie anticamere del Paradiso.

La contemplazione non può però esaurirsi solo nella sua dimensione estetica. Questa è solo l’avvio verso la contemplazione più profonda, cioè quella mistica, che ci mette in diretto contatto con Dio tramite la preghiera. Si può ovunque e sempre pregare, ma è certamente più dolce farlo circondati dalla bellezza.

Sia il momento estetico che quello mistico sono quindi tutti e due fondamentali per i Santi. Bisogna però aggiungere un terzo momento, cioè quello della pace interiore, che si ritrova spesso allontanandosi dal frastuono del mondo.

Quando sono quindi presenti bellezza, pace e preghiera l’anima si ritrova vicino al suo Creatore. Chi vive di questi valori vive ovviamente anche di amore, di giustizia e di tutte le altre virtù che rendono santa l’anima.

Per  capire la grandezza contemplativa di Pietro del Morrone talvolta  ho messo la sua spiritualità a confronto  con quella di S. Francesco d’Assisi e di S. Benedetto da Norcia, che sono tra le più grandi figure contemplative della Chiesa Cattolica.

I luoghi belli scelti da S. Benedetto (Subiaco e Cassino) o da S. Francesco (L’Eremo delle Carceri e La Verna) risplendono della stessa intensità estetica  di quelli amati da S. Pietro Celestino (S. Spirito  a Maiella e Sant’Onofrio al Morrone).

Gli altri eremi della Maiella da quest’ultimo Santo preferiti (come  S. Bartolomeo  e S. Giovanni all’Orfento) confermano  la sua capacità di scelte di alta suggestione estetica e mistica.

Questi Santi, pur essendosi fermati  in luoghi di supremo incanto paesaggistico, non hanno mai smesso, quando era possibile, di cercare altri siti ove l’anima potesse provare altre  sensazioni estatiche di bellezza. Ciò spiega spesso il loro peregrinare.

Indicativa della grande sensibilità spirituale di Pietro del Morrone fu anche la scelta della S maiuscola, simbolo dello Spirito Santo da lui infissa  sul braccio più lungo della Croce, come dei luoghi che spesso intestò a questa terza persona della SS. Trinità o del nome Celestino V, quando fu eletto Papa. Per lui la massima dignità era nella santità dello spirito.

Poiché il Conclave, indetto dal 1292 prima a Roma e poi a Perugia, non riuscì, dopo più di due anni, a trovare l’accordo per eleggere il romano Pontefice, Pietro del Morrone inviò dall’Eremo di S. Onofrio una lettera ai Cardinali denunciando lo scandalo che questa situazione aveva creato alla Chiesa.

I Cardinali, pur di uscire dall’incresciosa situazione in cui versava il Conclave, credettero di trovare la soluzione, anche se momentanea, nell’eleggere come papa, proprio Pietro del Morrone, l’eremita della Maiella che li stava rimproverando e che era in odore di santità.

Quando la decisione del Conclave fu ufficialmente resa nota all’Eremita, questi, dopo alcune esitazioni iniziali, decise di accettarla, convinto anche dai confratelli e seguaci. E il 29 agosto 1294, giorno della sua solenne incoronazione  a L’Aquila, volle formalmente iniziare il suo pontificato con  la fraterna idea dell’indulgenza della Perdonanza.

Il tempo del suo papato fu brevissimo, poco più di 5 mesi, cioè dal 5 giugno al 13 dicembre 1294, e poi decise di dimettersi.

All’inizio di questo periodo mostrò volontà di volersi assumere gli oneri del suo incarico, ma poi si rese conto che non aveva le forze sufficienti per assolverlo, che la sua vocazione di eremita non si addiceva ad una vita istituzionale, di cui si sentì inesperto  e che era piena di intrighi e compromessi, che gli facevano perdere la pace.

Alcune decisioni che prese furono anche affrettate, influenzate e non immuni da errori, di cui si rese subito conto. Per questi e altri motivi pensò allora di dimettersi.

Più esattamente le ragioni del “gran rifiuto” sono precisate nella formula di rinuncia, che lesse nell’ultimo giorno del suo pontificato, alla presenza dei Cardinali a Napoli, precisamente in una delle sale di Castel dell’Ovo, che il re Carlo II d’Angiò aveva riservato al Papa e alla sua curia.

Celestino V rinunciò  “per umiltà”, perché non era attirato dalla gloria del mondo, “per obbligo di coscienza”, perché non se la sentiva di sottoscrivere atti che non approvava, “per debolezza del corpo”, perché era un vecchio ormai di 80 anni, “per scarsità di dottrina”, perché non aveva ricevuto una preparazione culturale adeguata per svolgere la funzione di Pontefice, “per la malignità del mondo”, per non vedere più la cattiveria delle persone, che tra l’altro approfittavano della sua bontà, “per desiderio di miglior vita” e “per recuperare la tranquillità perduta”, perché solo la pace e la bellezza degli  suoi eremi riuscivano a soddisfarlo.

Aveva creduto che non fosse giusto resistere alla  “divina chiamata” e che la “divina misericordia” non avrebbe lasciato “senza aiuto, tra i flutti, Noi inesperti e deboli, posti in così alto mare”, come scrisse nell’Enciclica con la quale annunciava formalmente la sua elezione a Sommo Pontefice. In verità Dio si era servito di lui per far in qualche modo riflettere con il suo radicalismo evangelico la Chiesa peccatrice ed egli si rese conto di essere un Papa di rapida transizione.

Abbandonò il soglio pontificio perché voleva ritrovare la pace e la contemplazione nel suo eremo maiellese di S. Onofrio, ove avrebbe voluto preparare la sua anima per restituirla a Dio, ma ciò non gli venne permesso dal suo successore Bonifacio VIII.

Questi, più che mostrare gratitudine nei suoi confronti per essere diventato Papa a causa della sua rinuncia,  preferì imprigionarlo e isolarlo per rafforzare la sua autorità. Infatti egli temeva che i Francesi, i Colonna e gli spirituali avrebbero potuto invalidare la rinuncia di Celestino V e contestare la validità della sua elezione.

In verità la contemplazione estetica e mistica di Pietro del Morrone fu infranta quando egli accettò di essere Papa. Le straordinarie atmosfere contemplative ed estatiche, che aveva provato negli eremi della Maiella, vennero meno con la sua elezione.

Furono per l’ultima volta da lui fugacemente rivissute, quand’ egli, disubbidendo alle disposizioni di Bonifacio VIII, dopo un tentativo di fuga, raggiunse il suo Eremo di S. Onofrio. Dopodiché gli fu proibita definitivamente la sua eremitica contemplazione. Fatto prigioniero a Vieste fu portato per volontà pontificia, prima ad Anagni e infine alla Rocca di Fumone, dove morì misteriosamente il 19 maggio 1296, dopo otto mesi di isolamento.

Il potere spirituale, che inaspettatamente la Provvidenza divina aveva concesso a Pietro del Morrone, facendolo eleggere Papa, fu la più grande occasione che la chiesa radicale ebbe e non doveva forse essere subito sciupata. Se Celestino V avesse avuto la forza di prolungare il suo pontificato può darsi che avrebbe potuto almeno in parte realizzare il sogno spirituale e gioachimita di una Chiesa rinnovata, operando alcune importanti  trasformazioni, come quella di rendere la Chiesa meno ricca e sfarzosa e quindi più vicina allo spirito evangelico.

Nessuno più di lui che credeva nella semplicità e nella povertà, testimoniate dalle sua vita, poteva diventare l’atteso Papa Angelicus, che avrebbe potuto redimere la Chiesa. Anche se ciò non fu possibile la sua esperienza resta per sempre un richiamo continuo nella storia contro gli eccessi del potere ecclesiastico.

La santificazione di Pietro del Morrone ebbe luogo ad Avignone il 5 maggio 1313. Fu il papa Clemente V, il francese Bertrand de Got, a canonizzarlo anche per volontà di Filippo il Bello, re di Francia, acerrimo nemico di Bonifacio VIII. Ma al di là dei fatti politici, che accelerarono la santificazione, le motivazioni  pronunciate dal Papa d’Oltralpe erano vere:

“Non la scienza, non la dottrina fecero grande quest’uomo, ma la lunga vita trascorsa nelle selve lo santificò. Gli mancarono gli illustri natali, le ricchezze, gli splendori del secolo. E tuttavia fu grande.

Il suo amore per tutti, la sua umiltà, la semplicità sublime, la povertà, il candore, il distacco dalle attrattive del mondo fino alla meravigliosa sua rinuncia, ce lo rendono degno di ammirazione. Noi, conoscendo la santità della sua vita e i molti prodigi rivelatori delle sue virtù, lo abbiamo giudicato degno di essere santificato” (O. Gurgo, Celestino V. Il fascino e le ragioni del “gran rifiuto” al potere,  1982).

Non so quante volte nella mia vita, sulle piste di Pietro del Morrone, sono andato nell’Eremo del S. Spirito a Maiella. Quando vidi per la prima volta questo luogo ebbi l’impressione di aver scoperto un sito di un incanto particolare. Tanto è vero che ho accompagnato anche diversi amici a visitarlo.

Non dimentico mai l’impressione profonda da me sempre provata, dopo aver superata Roccamorice,  nell’osservare la lunga e suggestiva vallata, verso la fine della quale a sinistra si annida nella roccia l’Eremo del Santo Spirito, che è stato Abazia e Casa Mare dell’Ordine di Pietro del Morrone dal 1246 al 1293. Sono stato quasi sempre  inizialmente attratto dalla bellezza di un lontano chiarore che vedevo verso la fine della vallata quasi sotto la Maielletta.

Ho provato ogni volta una profonda emozione e una riverenza nell’inoltrarmi nell’ incantevole paesaggio che porta all’Eremo del Santo Spirito. Quest’eremo mi ha sempre colpito per essere costituito  in parte dalle concavità della roccia e in parte da semplici costruzioni.

La visione che si prova nel guardare dalle finestre dei  piccoli vani dell’eremo la natura,  caratterizzata tra l’altro da rocce che si sposano con le radici degli alberi, è di una dolcezza, di una pace e di una bellezza che fanno scoprire all’anima la sua più grande dignità. Sorge spontanea l’esigenza di ringraziare e pregare il Signore.

In questa atmosfera raccolta, preziosa e salvifica ha vissuto a lungo  Pietro del Morrone e chiunque la rivive avverte di essere in un luogo di letizia e di salvezza, ove dappertutto risplende dolcemente la presenza di Dio.