Giordano Bruno e tutti i “forsan” della Storia (nel 413esimo anniversario del rogo)

Categoria principale: Storia
Categoria: Storia e Letteratura - Miscellanea
Creato Venerdì, 08 Febbraio 2013 11:05
Ultima modifica il Lunedì, 26 Agosto 2013 12:22
Pubblicato Venerdì, 08 Febbraio 2013 11:05
Scritto da Rossana Di Poce
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Giordano Bruno (Nola 1548-Roma 17 febbraio 1600) studiò nel convento di San Domenico Maggiore a Napoli nell’età adolescenziale, dunque nelle stesse stanze in cui era passato Tommaso d’Aquino, e come Tommaso preferì il crocefisso alle immagini dei santi che già coraggiosamente buttò all’aria durante la sua permanenza nel convento domenicano.

Nel 1575 si laureò in teologia proprio con una tesi su San Tommaso; i primi problemi li incontrò difendendo le eresie di Ario, che gli costarono la fuga da Napoli verso Roma (1576).

Riassunto il suo vero nome, Filippo, allor che dovette lasciare sia Roma che l’abito domenicano, inizia una lunghissima e complicata peregrinazione per tutta Italia ed Europa.

Dall’Inghilterra per emigrare ancora in Francia, Germania, Belgio passare per Ginevra, Tolosa, Praga, Tubinga, Francoforte, Parigi per tornare infine in Italia invitato da quello che si rivelerà esser poi il suo denunciante all’Inquisizione (messer Gioanni Mocenigo).

Seguita la scomunica e l’arresto in Venezia, viene estradato nelle carceri del Sant’Uffizio a Roma. Non sappiamo con certezza se fosse sottoposto a tortura - del resto la privazione della libertà e della possibilità di insegnare sono già forme di tortura, nonostante illustri studiosi continuino a negare l’uso di tali pratiche da parte del Sant’Uffizio- per arrivare al fatidico anno 1600 che chiude con la sentenza del rogo dell’otto febbraio, il suo lungo e complesso processo.

Alla pronuncia della sue sentenza di morte egli risponde: «Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam» («Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell'ascoltarla»).

Condotto legato e con la lingua bloccata perchè non possa più “bestemmiare” il 17 febbraio, Giordano Bruno rinnega ogni conforto religioso, viene denudato, legato al palo e arso in Campo de’Fiori a Roma.

Nel 2000 Giovanni Paolo II per lettera e bocca del Cardinal Sodano sostiene finalmente che: "oggettivamente alcuni aspetti di quelle procedure e, in particolare, il loro esito violento per mano del potere civile non possono non costituire oggi per la Chiesa - in questo come in tutti gli analoghi casi - un motivo di profondo rammarico".

Forse però dopotutto, a rammaricarci dovremmo essere noi, per l’iniquità di aver permesso l’omicidio di un grande pensatore e non solo allora: omicidio filosofico, perchè gli studi di Giordano Bruno sono ancora da sviluppare e riabilitare -la sua è una eresia più che moderna, quasi contemporanea- dopo che ovviamente fu bandito dalle biblioteche di tutta la cattolicità.

Il suo “furore” e “impeto razionale”, la sua provocante satira alle sfere ecclesiastiche e alla pedanteria -l’erudizione fine a sè- e il suo grande portato innovativo circa il pensiero positivo, liquidato e confuso troppo spesso con la magia quando invece frutto di speculazioni di molta filosofia antica allora vietata soprattutto per la formazione di un frate, restano oggi di sconvolgente attualità.

Le sue ceneri dopo il raccapricciante rogo, furono sparse nel Tevere, e anche nel collocare la sua statua ci fu una ferma opposizione papale, tanto che dovette intervenire direttamente Francesco Crispi per sedare le rivolte degli studenti universitari.

Ancora nel 2012 alcuni hackers entrano nel sito del Vaticano chiedendo le scuse ufficiali della Chiesa, segno che la Storia è ancora tutta da scrivere. Per intendere in una frase il portato di Giordano Bruno egli arrivò a sostenere:

“Che ci piaccia o no, siamo noi la causa di noi stessi. Nascendo in questo mondo, cadiamo nell'illusione dei sensi; crediamo a ciò che appare. Ignoriamo che siamo ciechi e sordi. Allora ci assale la paura e dimentichiamo che siamo divini, che possiamo modificare il corso degli eventi, persino lo Zodiaco” .

Al centro della piazza di Campo de’ Fiori, l’unica piazza di Roma senza chiese, dove si svolgevano le esecuzioni capitali, oggi campeggia la statua di Giordano Bruno dal 1889, il cui volto severo guarda accigliato in direzione del Vaticano, monito e memoria della atrocità commesse in nome della religione.

Si potrebbero architettare notevoli teorie su Giordano Bruno, ma riabilitare il suo coraggio è forse il gesto rivoluzionario più importante che si possa ancora oggi compiere: ogni volta che il pensiero precorre i tempi, come accadde alle sue opere, viene duramente perseguitato.

Al contrario di Galileo, egli sostenne con furore e rigore quasi folle le sue opinioni che gli costarono la morte, studiò testi vietati ed elaborò pensieri che sono di una contemporaneità sconcertante. Al volgere del 1600 in pieno Barocco, Galileo portò la scienza materiale e una certa incoerenza spirituale, Giordano Bruno fece ben altre scoperte rivoluzionarie: che il pensiero è libero e libera persino la Patria dove si manifesta per allargarsi al mondo interno.

Dunque non si può che invitare ad approfondire un filosofo così grande, difficile da sintetizzare per il portato gigantesco e innovatore del suo pensiero: “E noi, per quanto ci troviamo in situazioni inique [...] tuttavia serbiamo il nostro invincibile proposito [...] tanto da non temere la morte stessa”

Napoli, che si era ribellata prima l’11 maggio 1547 e sanguinosamente nel luglio dello stesso anno, impedendo lo stanziamento del Sant’Uffizio in città contro i soldati spagnoli, per poi doversi risollevare ancora nel 1564, forse avrebbe impedito l’inutile martirio di Giordano Bruno.

Quello che mi colpisce è quella sua coraggiosa frase pronunciata difronte alla sentenza di morte dell’Inquisizione «Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell'ascoltarla».

Vi riecheggia in qualche modo, lo stesso forsan usato sul patibolo nel 1799 da Eleonora Pimentel Fonseca che si chiedeva se tutto ciò e dunque anche la sua morte, avrebbe giovato ricordare ("Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo").

Nella potenza dubitativa di questi due forse pronunciati in punto di morte per difendere le proprie idee, non vi è solo coraggio e consapevolezza del prezzo che si paga che si trasforma in valore per chi subisce la punizione, ma anche l’interiore certezza di una potente forza affermativa in apparente latenza nel dubbio dei secoli : martirio ha per radice sanscrita “io mi ricordo”.